di Guido Viale
Per anni l’Eurobarometro ha indicato negli italiani uno dei popoli più “europeisti” e favorevoli all’ulteriore integrazione dell’Unione. Ma diverse indagini mostravano anche che gli italiani sono tra i meno informati sulle istituzioni e le politiche dell'UE. É una caratteristica della vita politica italiana: meno se ne sa e più ci si appassiona. Questo fenomeno ha toccato il grottesco nelle risposte date ad una recente indagine pubblicata dal quotidiano Repubblica sull’atteggiamento verso il trattato di Schengen in quattro paesi europei.
Ora, con una completa inversione di marcia, i più favorevoli al ritorno ai confini nazionali (e i più contrari all’UE) risulterebbero di gran lunga gli italiani. Un risultato in parte dovuto al modo bislacco in cui sono state poste le domande: nessuno ha spiegato agli intervistati che l’abolizione di Schengen avrebbe effetti tra loro molto diversi: per gli altri paesi europei sarebbe la soluzione “ideale” per tenere i profughi lontani dai loro territori; per noi significherebbe farsi carico di tutti gli arrivi, senza la possibilità di condividerne l’onere con il resto dell’Europa.
Ma tant’è: una diffusa avversione per i profughi si mescola ormai in modo inestricabile con l’avversione per l’Europa, chiamata in causa dai nostri governanti, a volte anche a sproposito, per giustificare tutte le sofferenze e le malversazioni inflitte ai propri concittadini.
Ma tant’è: una diffusa avversione per i profughi si mescola ormai in modo inestricabile con l’avversione per l’Europa, chiamata in causa dai nostri governanti, a volte anche a sproposito, per giustificare tutte le sofferenze e le malversazioni inflitte ai propri concittadini.
E’ una ventata di feroce stupidità che non si ferma ai valichi del Brennero e Ventimiglia. Investe ormai in forme altrettanto irrazionali tutta l’Europa, dove nessuno di coloro che vogliono respingere i profughi costi quel che costi ha la minima idea di che cosa ciò comporti. Eppure è chiaro che il filo spinato e l’esercito messo lì a presidiarlo (la nuova “cortina di ferro”) sono una soluzione che rischia di provocare una strage di proporzioni mai viste, respingendo tra le braccia dei loro macellai i profughi che cercavano di sfuggirgli, trasformando il controllo dei confini in una guerra vera e propria contro gli abitanti più infelici del nostro pianeta e rendendo impraticabile per anni, per tutti i cittadini europei, i paesi di cui oggi non vogliamo accogliere i fuggiaschi. Queste misure, rischiano anche di suscitare delle reazioni incontenibili tra gli immigrati di prima, seconda e terza generazione già presenti in Europa e in larga parte già cittadini europei. In una situazione come quella attuale, in cui ogni Stato va per conto suo, cercando di scaricare sui vicini gli oneri che non vuole accollarsi, pensare che si possa continuare a fare la stessa vita che si è fatta finora, e forse anche a migliorarla, è pura follia. Forse i politici che spingono in questa direzione lo sanno (non è detto), ma contano di ricavarne dei vantaggi per loro. Ma il popolo che li segue, e che ne pagherà le conseguenze, non lo immagina di certo.
Alle forze anti-profughi e anti-Europa, in grande avanzata in tutti i paesi membri dell’Unione, e già vincenti in diversi di essi, si è da tempo accodato di fatto l’establishment che oggi governa l’Europa e la maggior parte dei suoi Stati, in una gara a chi propone le misure più feroci e impraticabili. Così, dopo la favola della lotta agli scafisti, che si tradurrebbe in una vera e propria guerra ai profughi e che per questo non è stata ancora intrapresa, e dopo l’illusione di poter distinguere tra profughi e migranti, per far credere di potersi liberare di almeno la metà dei nuovi arrivati, l’ultima misura senza senso è stata promossa da Angela Merkel. É il tentativo di “esternalizzare” nella Turchia di Erdogan la gestione di quei flussi che l’Europa non sa e non vuole accogliere, sperando così di tener insieme la sopravvivenza dell’Unione europea e la politica di austerity che ne ha innescato la crisi e che è anche la causa dell'assenza di una politica europea in grado di trasformare i nuovi arrivati da problema in opportunità. Si vorrebbe remunerare non solo con miliardi di euro ceduti senza alcun controllo, ma soprattutto con l’avallo alla soppressione di ogni istanza di libertà, di pacificazione e di vita democratica, una Turchia sempre più fascistizzata e impegnata direttamente nella guerra ai Kurdi e nel sostegno alle forze dell’integralismo islamista in Siria. Ma è un espediente senza futuro anche questo, che infatti stenta a concretizzarsi sia per il continuo “rilancio” da parte di Erdogan, sia, perché finirebbe per mettergli in mano le chiavi delle politiche dell’Unione; il che è come dissolverla. Per questo la rincorsa delle destre razziste e nazionaliste da parte della governance europea non fermerà né la loro avanzata, che anzi non fa che rafforzare, né l’acutizzarsi delle guerre e della pressione dei profughi ai confini diretti o indiretti dell’Unione. Per quanto apprezzabili possano essere i tentativi di Frau Merkel di salvaguardare un principio di umanità nell’accoglienza dei profughi, la soluzione escogitata assume l’aspetto di un assalto frontale ai caposaldi della democrazia.
Ora, nonostante la storia stia imboccando una svolta così pericolosa, occorre più che mai definire e farsi carico di un’alternativa globale che abbia la sua chiave di volta in un diverso atteggiamento verso i profughi; perché è intorno a questo nodo che si avviluppano tutti gli altri problemi con cui l’Europa e i suoi popoli devono confrontarsi: innanzitutto quello della lotta al razzismo, all’autoritarismo, per la democrazia: una democrazia sostanziale e partecipata e non solo formale. Poi quello delle guerre in cui l’Europa si lascia trascinare passo dopo passo in forme sempre più inestricabili, moltiplicando la spesa a scopo distruttivo, la devastazione di interi paesi e la pressione di nuovi profughi ai suoi confini. Poi le politiche di austerity che, nonostante Draghi continui a inondare le banche di quei miliardi che sta negando al welfare e all’occupazione, hanno ormai dimostrato quanti danni stiano infliggendo a tutta la popolazione europea, compresa quella degli Stati che contavano di poterne beneficiare. Poi quella delle politiche ambientali e in particolare della lotta ai mutamenti climatici: soltanto un grande piano di conversione ecologica dell’apparato produttivo, a partire da energia, mobilità, agricoltura e alimentazione, edilizia e riassetto dei territori, può garantire sia la difesa degli equilibri ambientali del pianeta che la restituzione di ruolo, lavoro, reddito e dignità ai tanti profughi alla ricerca di un futuro per sé e per il loro paese di origine (molti dei nuovi arrivati vi faranno ritorno se, e non appena, se ne presenterà la possibilità), ma anche ai tanti cittadini europei, soprattutto giovani, oggi privati del loro futuro. Non ultimo, il riequilibrio demografico e culturale di un’Europa che ha assoluto bisogno dell’apporto di forze fresche: non solo per compensare il progressivo invecchiamento e la drastica riduzione della sua popolazione, ma anche per risollevarsi, attraverso un incontro autentico con culture e persone diverse, dalla sclerosi in cui l’ha sospinta la dittatura del pensiero unico, che non contempla alternative all’attuale miseria materiale e spirituale. L’arrivo di tanti profughi (meno, comunque, finora, di quelli che fino a pochi anni fa arrivavano in Europa come “migranti economici” e vi trovavano lavoro), viene presentato dalle forze razziste, a cui quelle dell’establishment al governo dell’Unione si sono accodate, come un’invasione. E verrà percepita sempre come tale se tutti gli sforzi saranno concentrati nel respingerli, o nell’isolarli, o nel tenerli inoperosi trattandoli come parassiti. Ma accolti con generosità, aiutati a trovare un ruolo e a difendere la propria dignità, ascoltati con attenzione, con la disponibilità a imparare dalla loro vicenda e dalla loro miseria almeno tanto quanto possiamo essere capaci di insegnare noi a loro, lo “tsunami” dei profughi può rivelarsi invece una corrente favorevole, in grado di trasportare l’Europa verso una nuova solidarietà tra i suoi membri e con i suoi vicini.
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 24 di Marzo-Aprile 2016 "Il Grande Esodo"
Fonte: Attac Italia
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