di Nicola Fratoianni
Una settimana fa, gli operai metalmeccanici di tutta Italia sono scesi in piazza per rivendicare il rinnovo del loro contratto. Chiedono l'aggiornamento dei salari, paghe adeguate al lavoro che fanno. Le organizzazioni datoriali, i proprietari delle aziende, non ci sentono e continuano a rispondere picche, sostenendo che va aggirato il contratto nazionale e che l'aumento dei salari non può essere generalizzato. C'è la crisi, dicono, o c'è stata, bisogna trovare nuove forme contrattuali. E chissà perché, però, la scusa della crisi è buona solo quando sono i lavoratori a chiedere maggiori retribuzioni, ma non vale per i manager e i super manager delle aziende.
Sergio Marchionne nel 2015 ha guadagnato 54 milioni di euro, 150 mila euro al giorno. Un operaio FCA guadagna circa 1.100 € al mese. La disparità di trattamento fra un manager come Marchionne e un operaio che per Marchionne produce, è impressionante, se letta con i numeri crudi: quel che l'AD di FCA può comprare in un giorno, una famiglia acquista con un mutuo gravoso sulle spalle per circa 25 anni.
Certo, Sergio Marchionne non è l'unico caso di manager super pagato e, in realtà, è in buona compagnia in Italia e in Europa. Segno che la disuguaglianza è uno degli elementi ormai divenuti strutturali della nostra società, del nostro tempo, del nostro sistema economico. Le profonde disparità di trattamento economico sono un problema di giustizia sociale e anche un problema economico. E però c'è qualche ulteriore dato che andrebbe preso in considerazione e che ci dice che la disuguaglianza in Italia è ancora più insopportabile. Secondo una tabella elaborata dall'Economist, i nostri CEO - ossia i capi azienda - sono i più pagati tra quelli dei 22 Paesi presi in considerazione. L'AD di Wolksvagen, omologo di Marchionne, per esempio, guadagna un terzo rispetto all'AD di FCA. Per altro, gli operai italiani, gli operai del manager più pagato in Europa, sono i meno retribuiti del settore, se si considera che i loro colleghi tedeschi percepiscono mediamente 2.500 € al mese.
Nella vicenda di Marchionne risalta ancora una volta l'insopportabile peso di una diseguaglianza che cresce invece di ridursi, rendendo la contrapposizione tra una maggioranza del 99% sempre più povera ed espropriata ed una minoranza dell'1% sempre più ricca e potente. "Quando è troppo è troppo" dice Bernie Sanders. Io penso che abbia ragione. Certa politica ci racconta che i soldi non ci sono. Che non si può investire nella ricerca, che il diritto allo studio non può essere garantito fino in fondo. Ci dicono che non ci sono i soldi per riformare le pensioni ed impedire che una intera generazione sia condannata ad una vecchiaia di povertà ed esclusione. Non ci sono i soldi per misure di sostegno al reddito che incidano sulla povertà crescente e sulla precarietà che continua a crescere in barba alla propaganda del jobs Act come dimostra l'aumento spaventoso dell'uso dei voucher. "Non ci sono i soldi" è il mantra di chi non vede o fa finta di non vedere.
La questione della lotta alle diseguaglianze è la questione dell'oggi e del domani. È il punto attorno a cui si definisce una idea di società. Quella che abbiamo davanti non funziona. E va messa radicalmente in discussione. Servono politiche fiscali fortemente progressive: è necessaria una tassa sui grandi patrimoni che favorisca una tendenza redistributiva e renda meno conveniente l'accumulazione di enormi ricchezze. Servono investimenti pubblici e politiche salariali che contrastino una idea di crescita fondata sulla svalorizzazione del lavoro e sulla riduzione dei diritti. Intanto alla Camera giace da tempo una proposta di legge di Sinistra Italiana che dice una cosa semplice: lo stipendio massimo in una azienda non può superare di 20 volte quello più basso. Discuterla e magari approvarla non sarebbe una cattiva idea.
Fonte: Huffington post - blog dell'Autore
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