di Roberto Della Seta e Francesco Ferrante
Comprensibilmente le analisi e i giudizi sul primo turno delle elezioni presidenziali austriache di domenica scorsa si sono concentrati su un unico aspetto: la vittoria, del tutto inattesa per dimensioni, del candidato del partito di estrema destra Fpö Norbert Hofer, votato dal 36% degli elettori. Per la prima volta in Europa occidentale una forza dichiaratamente anti-europea, e con tratti inequivocabilmente xenofobi, vince un’elezione nazionale, per la prima volta si concreta la possibilità che un esponente della destra radicale diventi capo dello Stato in uno dei Paesi simbolo dell’Europa democratica. A rafforzare l’impatto anche psicologico di questo passaggio inedito vi è il fatto che esso sia avvenuto in Austria, dove il concetto stesso di “estrema destra” richiama memorie, evoca suggestioni tanto più allarmanti.
Ma il successo dell’Fpö non è l’unico dato che meriti attenzione in questo voto austriaco. È altrettanto significativo che a contendere a Hofer l’elezione nel ballottaggio del 22 maggio non sarà un esponente di partiti tradizionali, né il candidato socialista né quello popolare, ma il Verde Alexander van der Bellen, che si è presentato come indipendente e nel primo turno ha raccolto oltre il 20% dei voti.
Dunque è affidata a un Verde, a un ecologista la speranza di fermare in Austria la marcia per ora trionfale dell’estrema destra. Un caso? Non del tutto. La storia dei Verdi in Europa è ormai relativamente lunga: comincia tra gli anni ’70 e gli ’80 del secolo scorso, con l’ingresso dei primi eletti Verdi nei Parlamenti della Svizzera, della Germania, del Belgio, dell’Austria, dell’Italia (1987, 13 deputati). Tra i suoi luoghi di “incubazione” vi fu il Tirolo, regione di confine tra Austria e Italia con al centro il valico del Brennero dove il governo austriaco (non di destra: lo guida un socialista) minaccia di alzare un muro per chiudere la strada ai migranti che arrivano da sud. È cresciuto e si è formato in Tirolo van der Bellen, per oltre dieci anni presidente dei Verdi austriaci, ed era sud-tirolese, cioè altoatesino, Alex Langer, tra i fondatori dei Verdi italiani.
Dai loro primi passi i Verdi europei hanno collezionato vittorie e sconfitte. In Germania, Austria, Belgio, Olanda, Francia, Danimarca, Svezia, Finlandia si sono affermati come una presenza stabile, sebbene minoritaria, nel paesaggio politico, con percentuali di voto intorno al 10%. Quasi sempre inseriti in schieramenti e coalizioni di centrosinistra, hanno avuto ruoli di governo in molti Paesi e tuttora sono alla guida di città e regioni importanti: sono Verdi i sindaci di Valencia, di Stoccarda, di Grenoble, è Verde il presidente del Baden-Württemberg, uno dei più ricchi e popolosi land tedeschi. In Italia invece i Verdi sono di fatto scomparsi, più precisamente si sono auto-dissolti: dopo anni di galleggiamento tra vuoto antagonismo, scivolate folkloristiche e piccoli carrierismi personali, dal 2008 non hanno più eletti in Parlamento né con rarissime eccezioni consiglieri regionali.
Certo è che a quasi cinquant’anni dal loro battesimo politico, i Verdi in Europa non sono ancora riusciti a rappresentare agli occhi dell’opinione pubblica una convincente alternativa ai partiti tradizionali. Non ci sono riusciti, bisogna dire, innanzitutto per propri limiti, per non avere saputo, in tanti casi voluto, liberarsi dall’immagine assai diffusa che li “racconta”, non del tutto infedelmente, come una “costola” della sinistra radicale. Insomma per non avere saputo e spesso voluto proporsi come ciò che erano nati per essere: un’alternativa politica, di governo certo vicina alla sensibilità e alle aspirazioni dell’elettorato di sinistra ma ideologicamente estranea alla mentalità, all’idea del mondo, al linguaggio di tutte le culture politiche del Novecento, sinistra compresa; un’alternativa che dall’economia ai diritti, dalla nozione di progresso allo sguardo su individuo e società si pone né di qua né di là ma semplicemente “altrove” rispetto alle declinazioni novecentesche di sinistra e destra.
Per questo le elezioni austriache, con l’affermazione del Verde “indipendente” van der Bellen alternativo sia all’estrema destra anti-europea sia all’establishment socialista-popolare, è una buona dimostrazione di quale debba essere la via strategica da battere per i Verdi: presentarsi come una forza legata ai valori di apertura, di inclusione, di solidarietà connaturati alla sinistra e quindi radicalmente alternativa agli Hofer come ai Salvini, ai Farage come alle Le Pen e ai Wilders, ma al tempo stesso rivendicare la propria estraneità alla sinistra com’è oggi, del tutto omologata alle “larghe intese” conservatrici nella sua versione “riformista” e incapace di rinnovarsi superando analisi e proposte fuori dal tempo in quella “radicale”.
Non solo in Austria ma in Europa, davanti al confronto sempre più desolante tra un’estrema destra che avanza e minaccia di vincere cavalcando le ansie e le paure di comunità sempre più sfiduciate e una sinistra che ha rinunciato ad ogni progetto di vero cambiamento – di sé e del mondo -, i Verdi hanno l’occasione di imporsi come portatori credibili e magari pure vincenti di un’altra storia, che dia futuro sia all’Europa che a loro stessi.
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