di Umberto Mazzantini
Save the Children è molto preoccupata per quello che sta succedendo in Europa, dalla chiusura della frontiera del Brennero al voto «profondamente deludente» della Camera dei Comuni britannica che, con uno stretto margine di voti, ha deciso di negare accoglienza a 3.000 minori rifugiati soli che si trovano già in Europa. Secondo Kirsty McNeill, direttore Advocacy e campagne di Save the Children Uk , «la misura, sebbene non risolutiva per le migliaia di bambini che arrivano ogni anno in Europa, avrebbe rappresentato un piccolo passo avanti e una testimonianza della volontà di voler dare un contributo concreto. In molti luoghi in Europa migliaia di questi bambini, soli e spaventati, sono costretti a dormire all’aperto, rinchiusi in un centro di detenzione o negli accampamenti informali. Alcuni di loro hanno solo dieci anni e molti sono fuggiti da guerre e persecuzioni per cercare rifugio in Europa. Questi bambini hanno bisogno del nostro aiuto. Ignorandolo, il problema non solo non sparirà, ma è destinato a peggiorare sempre più. Il governo britannico non ha ancora dato risposta all’opinione pubblica e ai tanti parlamentari che si sono mobilitati per chiedere al Regno Unito di offrire accoglienza ai minori soli in Europa.
Visto che la Camera dei Lord sarà ora chiamata ad esprimersi su questa legge, il Parlamento britannico ha ancora la possibilità di dimostrare di essere all’altezza dei suoi valori di nazione capace di tendere una mano ai bambini più vulnerabili che hanno bisogno del nostro aiuto».
Visto che la Camera dei Lord sarà ora chiamata ad esprimersi su questa legge, il Parlamento britannico ha ancora la possibilità di dimostrare di essere all’altezza dei suoi valori di nazione capace di tendere una mano ai bambini più vulnerabili che hanno bisogno del nostro aiuto».
Ma quel che ha fatto più indignare Save the Children sono i gas lacrimogeni usati dalla polizia contro dei rifugiati e dei migranti, compresi i bambini, nel centro detentivo di Moria, nell’Isola greca di Lesbo, per disperdere una manifestazione delle persone che vivono nel campo che protestavano contro la durata della detenzione e le condizioni disumane in cui sono costretti a vivere. La protesta era iniziata il 26 aprile nella sezione del campo nella quale sono detenuti i minori non accompagnati, durante una visita alla struttura del ministro dell’Immigrazione greco e di un ministro olandese. Secondo alcune testimonianze, dei minori hanno incendiato un bidone e dopo aver preso un tubo d’acqua per spegnerlo, l’agitazione si è poi diffusa al resto del campo.
L’Ong che difende i bambini sottolinea che «in base a rapporti provenienti da fonti affidabili, un certo numero di rifugiati e migranti nel campo, tra cui 33 bambini, hanno riportato ferite e molti sono stati portati in ospedale». Amy Frost, responsabile della risposta di Save the Children in Grecia, spiega: «Benché la situazione fosse estremamente difficile da controllare, l’uso della violenza contro i rifugiati e i migranti non è mai una risposta accettabile, oltre ad essere del tutto inutile. Save the Children condanna con forza l’uso di gas lacrimogeni contro i bambini e adulti all’interno del centro»
Molti dei minori che hanno innescato la proteste sono tenuti nel campo di Moria per settimane, addirittura mesi, in spazi angusti. La salute di alcuni bambini e ragazzi è peggiorata. Nella struttura ci sono stati casi di furto e forti litigi scoppiano spesso tra gli ospiti. La Frosti ricorda che «la detenzione dei bambini, in particolare di quelli che viaggiano da soli, è inaccettabile – soprattutto se sono detenuti per lunghi periodi di tempo, in condizioni deplorevoli, senza avere informazioni circa il loro futuro. I bambini sono stati traumatizzati da quello che hanno visto accadere nei loro Paese e durante il viaggio insidioso alla volta della Grecia. È scioccante che l’Europa ormai non solo non riesca a proteggerli da ulteriori traumi e sofferenza, ma continui a ferirli. Save the Children, in collaborazione con Praksis, gestisce strutture di accoglienza per i bambini che arrivano da soli in Grecia: una a Lesbo e un’altra in via di apertura a Samos. Le nostre strutture sono gestite in collaborazione con le autorità locali e forniscono una valida alternativa alla detenzione fornendo assistenza appropriata e protezione per i minori non accompagnati».
Intanto, più a nord, l’Austria va avanti con il suo piano per maggiori controlli al Brennero. Ieri il il capo della polizia tirolese, Helmut Tomac, ha decretato la fine dell’Unione europea così come la conosciamo: a sorvegliare la frontiera con l’Italia ci saranno 250 poliziotti e, in caso di necessità «saranno inviati anche soldati, ma la decisione spetterà al ministero della Difesa». L’Austria, spaventata dall’avanzata dell’estrema destra favorita dalle politiche dei democristiani e dalla vigliaccheria dei socialdemocratici, vuole addirittura effettuare controlli sui treni e sull’autostrada già sul territorio italiano, e l’ineffabile Tomac ha aggiunto che «l’allestimento di una rete sul confine italo-austriaco al Brennero dipende dall’Italia. In vista dell’imminente incontro dei ministri Sobotka e Alfano a Roma, sono stati rinviati i lavori di allestimento».
L’Austria ci tratta così un po’ come noi trattavamo ai bei tempi la Libia di Gheddafi, ma senza attendamenti, amazzoni, cavalli ed hostess nel cuore di Vienna. Quanto alla rete di 370 metri, il poliziotto austriaco ha spiegato, bontà sua, che «si tratta di una normale rete e non di un filo spinato. Sarà allestita solo se necessario in caso di massiccio arrivo di migranti. La struttura portante sarà allestita prossimamente ma la rete vera e propria sarà “attaccata” solo in caso di bisogno. L’Austria non intende isolarsi ma incanalare gli eventuali flussi di migranti». Basta che siano incanalati da un’altra parte.
E pensare che siamo proprio nel cuore di quell’Europa che, al tempo della Cortina di ferro, teorizzava l’abbattimento di ogni reticolato e invocava la libera circolazione per le popolazioni vittime del comunismo, cosa che ora non sembra più valere per le vittime della guerra, dello Stato Islamico e delle dittature amiche dell’Occidente o della Russia. Ha ragione il presidente del Consiglio Matteo Renzi: «L’ipotesi di chiudere il Brennero è sfacciatamente contro le regole europee, oltre che contro la storia, contro la logica e contro il futuro». E ha ragione persino il ministro dell’Interno, il rinsavito Angelino Alfano, quando dice che quello che accade al Brennero «è inaccettabile perché non soltanto è contro le regole dell’Unione europea sulla libera circolazione ma è contro la logica e il buonsenso: siamo al minimo storico nei flussi di attraversamento tra Italia e Austria. Il nostro compito è convincere i nostri partner austriaci dell’insensatezza dei loro comportamenti».
Ma in un’Europa a dominio tedesco, dove l’obiettivo principale sembra quello di continuare a vessare e dissanguare la Grecia mentre i governi di destra dei Paesi dell’Est fanno ciò che vogliono e la Gran Bretagna potrebbe uscire dall’Ue perché non vuole rispettarne le regole (imposte ad Atene), ormai è difficile parlare di una politica comune e ci si chiede dove siano finiti gli ideali di giustizia, solidarietà e internazionalismo della socialdemocrazia europea, ridotta a fare lo sgabello delle politiche neoliberiste tedesche e alle disastrose strategie elettorali dei democristiani austriaci.
L’asse germanico potrebbe ancora una volta costarci caro, come spiega l’Ufficio studi della Cgia di Mestre, che ha analizzato i dati di Alpinfo, l’Ufficio federale trasporti svizzero riferiti al 2013: «Un terzo delle merci che entrano ed escono su gomma dal nostro paese attraverso le Alpi “investono” il Brennero. Degli 89 milioni di tonnellate di merci che complessivamente transitano ogni anno lungo i nostri confini alpini su Tir, 29 sono “assorbiti” da questo valico. Se poi aggiungiamo anche gli 11,7 milioni di tonnellate di merci che viaggiano su ferrovia, la dimensione complessiva delle merci in transito sul Brennero supera i 40 milioni di tonnellate all’anno», e l’eventuale blocco di Schengen «avrebbe un effetto dirompente anche per l’Unione europea che nella peggiore delle ipotesi potrebbe costare fino a 94 miliardi di euro all’anno».
Il bastone che è ricaduto sulle spalle dei greci ieri – ai quali è stato negato un confronto in seno all’Eurogruppo – è stato agitato anche contro l’Italia, quasi a “suggerire” di abbassare i toni. Ma l’estensione ad altri Paesi di uno scenario greco – che somiglia sempre più, per ferocia e insensatezza, all’esperimento neoliberista del golpe cileno – rischia si spappolare definitivamente un’Europa che, tra vigliaccheria politica, regimi autoritari, lacrimogeni ed estrema destra rampante, sembra avviata a rinnegare le sue stesse fondamenta democratiche e verso lo sfaldamento dei suoi stessi principi. Serve un’altra idea d’Europa, serve subito, prima che l’Europa non abbia più ragione di essere.
Fonte: Green Report
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