di Gianni Ballarini
Un tempo avrebbe destato, se non scandalo, perplessità. Ora, soprattutto dopo l’approvazione della legge 125 del 2014 che disciplina la nuova cooperazione, l’episodio passa in sordina. Scassinando ogni remora etica. E rappresentando il nuovo modello di sviluppo della cooperazione integrata. A cosa ci riferiamo? La Marina italiana ha annunciato in pompa magna, il 27 aprile, che militari italiani, impegnati nella nave “Euro” – forza navale europea che continua la missione antipirateria “Atalanta” – sono sbarcati a Dar es Salaam per addestrare i marinai tanzaniani sull’uso di «ordigni esplosivi improvvisati», la loro classificazione e bonifica.
Non solo. Con gli artificieri italiani c’erano anche i fucilieri della Brigata Marina San Marco che hanno insegnato ai tanzaniani le tecniche relative alle operazioni di abbordaggio.
Una missione di addestramento militare in Africa, come ormai accade sempre più spesso. Quindi? Da dove nascono le perplessità?
La Marina non si è fermata solo a esercitazioni volte a garantire la sicurezza dei mari e del traffico mercantile. Ma si è prodigata pure in azioni umanitarie. Infatti, l’equipaggio sbarcato a Dar es Salaam oltre a spiegare come si utilizzano le armi, ha portato generi alimentari, materiale di cancelleria, medicinali, un computer, un proiettore e beni di prima necessità all’asilo di Kawe e alla scuola di Vingunguti. Trascorrendo «una giornata insieme ai bambini».
La Marina non si è fermata solo a esercitazioni volte a garantire la sicurezza dei mari e del traffico mercantile. Ma si è prodigata pure in azioni umanitarie. Infatti, l’equipaggio sbarcato a Dar es Salaam oltre a spiegare come si utilizzano le armi, ha portato generi alimentari, materiale di cancelleria, medicinali, un computer, un proiettore e beni di prima necessità all’asilo di Kawe e alla scuola di Vingunguti. Trascorrendo «una giornata insieme ai bambini».
«Gli aiuti – si legge sul sito della Marina – sono anche giunti fino al cuore della Tanzania, per gli orfani, affetti da gravi malattie, dell’orfanotrofio di Nyololo, grazie alla collaborazione con il CoPe (Cooperazione Paesi emergenti), ong con la quale la Marina ha realizzato progetti per lo sviluppo della Tanzania».
Collaborazione con il CoPe. Progetti realizzati insieme. Sviluppo condiviso. Prima dell’approvazione della 125/2014 si sarebbe guardato con molto sospetto a un’alleanza tra militari e organizzazioni non governative italiane. Nel 2014, ad esempio, aveva suscitato un vivace dibattito la missione della portaerei Cavour che attraccò in 7 paesi del golfo arabico e in 13 porti africani. Una valigia galleggiante che ospitò non solo militari, aziende del settore armiero e colossi come l’Eni, ma anche tre organizzazioni umanitarie: il Corpo nazionale delle infermiere volontarie della Croce rossa italiana, la Fondazione Operazione Smile Italia Onlus e la Fondazione Francesca Rava N.P.H Italia Onlus.
L’allora vice ministro degli esteri, oggi all’Eni, Lapo Pistelli in un’intervista a Nigrizia giustificò quella scelta e sostenne che «non esiste un modello dove le ong fanno la parte della buona coscienza che sciacqua quella cattiva di altri settori». Ora la riforma della cooperazione (fortemente sostenuta da Pistelli) prevede proprio un nuovo modello, dove convivono le attività dei militari e quelle civili, il profit e il non profit, il commercio e la cooperazione.
E tutto il dibattito sul tenere separata la politica della cooperazione dagli interventi militari è finito nel gran falò acceso dalla nuova filosofia politica del “tutti insieme appassionatamente”.
Per questo la collaborazione tra Marina e CoPe non ha minimamente turbato gli operatori della ong, nata nel 1983 a Catania, federata alla cattolica Focsiv, e che ha progetti in campo sanitario, agricolo, educativo, sociale in Guinea Bissau, Madagascar e Tanzania.
Ordigni esplosivi e medicinali, quindi, convivono “pacificamente” nella nuova cooperazione. In barba ai paradossi.
Fonte: Nigrizia
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