di Giorgio Ferrari
A distanza di poche settimane dal sequestro di un filmato posseduto dagli attentatori di Bruxelles che riprendeva un esperto dei programmi di ricerca nucleare in Belgio, questa notizia sembra confermare che c’è una particolare attenzione verso quei luoghi dove è più facile asportare sostanze radioattive per compiere un attentato (centri di ricerca, laboratori universitari, fabbriche di sorgenti radioattive per scopi medici o industriali). Di queste località nel mondo ce ne sono migliaia e la maggioranza si trova in Europa con una concentrazione massima tra Francia, Belgio e Germania. Come affrontare il problema?
Nel 2004 gli Usa hanno varato il programma Global Threat Reduction Initiative (Gtri) sotto l’egida del Ministero della Difesa americano e in particolare della Nnsa (National Nuclear Security Agency, parente stretta della più nota Nsa).
Lo scopo è quello di ritirare e portare negli Usa (con molta discrezione, per non dire in segretezza) il materiale fissile e/o altamente radioattivo disseminato in migliaia di piccoli reattori sperimentali o di ricerca in tutto il mondo, compresi paesi dell’Est e arabi. Si tratta di materiale spesso classificato come «weapon grade» perché altamente arricchito (anche al 90%, ma che non ha niente a che vedere con gli armamenti), di piccole quantità (alcuni Kg) che giace spesso abbandonato e con scarsi controlli.
Finora nel mondo sono stati denuclearizzati 88 tra reattori di ricerca e laboratori oltre a 1700 siti radiologici da cui, complessivamente, si sarebbe potuto produrre migliaia di bombe sporche. Perché gli USA fanno tutto questo? Per due motivi: il primo è impedire che questa roba possa servire per attività terroristiche (attentati, ricatti); il secondo è che nella quasi totalità dei casi è materiale fornito da ditte Usas a partire dal varo del programma Atoms for peace degli anni ‘50.
Il programma Gtri (di cui in parte si occupano i vertici biennali sulla sicurezza nucleare mondiale) ha riguardato anche l’Italia: il trasporto avvenuto a La Spezia nel 2014 rientrava in questo quadro, così come ci rientrava quello avvenuto l’anno prima a luglio dal centro di Rotondella, per il quale si fecero ipotesi fantasiose poi smentite (rimpatrio delle barre di Elk River e/o soluzioni radioattive imbarcate su aerei militari,etc).
In realtà si è trattato di trasporti messi in conto già al vertice di Seoul del 2012 nell’ambito del Cppnm Convention on Physical Protection of Nuclear Material che rientravano negli obiettivi del programma Grti. Ma non si può contare sull’amico americano, perché nel mentre che la Nnsa toglie di mezzo un po’ della sporcizia nucleare disseminata dai tempi di Eisenhower (e meno male!), dall’altra Obama vara un programma di riammodernamento degli arsenali nucleari Usa: come dire che in un mondo in cui «chi non terrorizza si ammala di terrore», gli Usa vogliono esser certi di avere l’esclusiva del terrore, Russia e Cina permettendo ovviamente.
In questo fosco contesto, lo scorso 4 aprile la Commissione Europea ha varato un documento in cui si prevede, per il 2050, un apporto di energia elettrica da fonte nucleare pari a 105.000 Mw (appena 16.000 Mw in meno rispetto al 2015) da ottenere – più che con la costruzione di nuovi reattori ormai costosissimi- prolungando la vita operativa di quelli vecchi fino a 60 anni con rischi enormi dato che la vita media attuale dei 123 reattori in funzione in Europa è di 29 anni ma circa un terzo ha più di 40 anni.
Se a questo si aggiunge che degli altri 89 reattori già posti fuori servizio le operazioni di smantellamento non decollano, che l’ammontare dei rifiuti radioattivi sta saturando gli impianti esistenti, si ottiene un quadro allarmante per ciò che riguarda sia la safety (sicurezza nucleare) che la security (sicurezza/sorveglianza dei siti).
Quanto alle vicende di casa, basta prendere in considerazione gli ultimi provvedimenti di legge (Dlgs 15.02.2010 n.31; Dl. 04.03.2014 n.45) per rendersi conto che la questione dei rifiuti radioattivi sparsi in una ventina di depositi (di cui alcuni decisamente insicuri e mal controllati) è in preda al disordine: con l’eccezione dei criteri di selezione del sito del deposito assegnati ad Isin (Ispettorato per la sicurezza nucleare), ma emanati da Ispra, tutte le attività più importanti relative alla sitizzazione, progetto, costruzione ed esercizio del deposito sono affidate a Sogin che risulta essere non solo operatore principale di tutta la catena dei rifiuti, ma anche ente normatore laddove gli si assegna il compito di fissare le caratteristiche dei rifiuti che dovranno essere ospitati nel deposito essendo contemporaneamente progettista e costruttore dello stesso.
L’evidente conflitto di funzione/interesse è dovuto al fatto che in tutti questi anni non si è pensato di stabilire quali fossero i Waste acceptance criteria che secondo la normativa Iaea devono essere stabiliti da un soggetto diverso da chi materialmente esegue le operazioni di trattamento dei rifiuti l’istruttoria tecnica, procedurale e amministrativa per la selezione/assegnazione del sito ivi incluse le fasi di informazione/coinvolgimento della popolazione e dei soggetti interessati, è fortemente caratterizzata dal ruolo assegnato a Sogin l’esercizio/gestione del Parco tecnologico è affidata a Sogin del Programma nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi che doveva essere definito entro il 31 dicembre 2014 non c’è traccia.
Intanto la carta preliminare dei siti per il deposito nazionale, pronta da oltre un anno, è bloccata dal governo che non vuole andare incontro ad un’altra querelle con gli enti locali dopo quella sulle trivellazioni e chissà che non si aspetti cinicamente la minaccia di un attentato per imporre, sull’onda dell’emergenza, la scelta del sito.
Fonte: il manifesto
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