di Roberto Sommella
Proviamo a capire cosa hanno in testa i tedeschi, rileggendo un loro concittadino? Lo studioso Jörg Huffschmid ammonì come il problema delle società avanzate fosse il “finanzcapitalismo” e non la crisi. La finanza al cubo ha infatti completamente rovesciato il concetto di capitale. C’è quello classico, che produce valore, quando si costruisce una scuola, un ponte, si creano posti di lavoro. Insomma, oggi è quasi un’utopia. Poi c’è il capitale contemporaneo, che il valore invece lo estrae, imponendo costi di salvataggio, manipolando tassi, erogando prestiti a chi non può chiederli, rovesciando sulla collettività i debiti degli altri. In Europa viviamo nel regime dell’estrazione di valore ma ci servirebbe piuttosto crearlo.
Questa premessa serve per capire le mosse, alla luce del sole e non, che si stanno per compiere intorno al paese più indebitato dell’Unione, l’Italia, leader nella tradizionale costruzione di valore ma certo non efficiente nel finanzcapitalismo.
A prescindere dalle lettere e dalle condivisioni dei piani di riforma che il governo Renzi sta presentando presso le istituzioni europee, un nodo scorsoio si sta stringendo intorno alla nostra gola. Cinque indizi possono fare una prova, che per il nostro paese potrebbe essere durissima.
A prescindere dalle lettere e dalle condivisioni dei piani di riforma che il governo Renzi sta presentando presso le istituzioni europee, un nodo scorsoio si sta stringendo intorno alla nostra gola. Cinque indizi possono fare una prova, che per il nostro paese potrebbe essere durissima.
Salvataggi bancari. Nonostante le reiterate pressioni della Banca d’Italia e del ministero dell’economia, Bruxelles non modificherà la normativa sul bail-in, che tanto sta costando (insieme ad altri fattori come la sottocapitalizzazione) alle banche tricolori: per avere un’idea, nel primo trimestre del 2016 i nove principali istituti della penisola hanno perso in borsa oltre 48% del loro valore. In caso di necessità, per evitare che il salvataggio lo paghino azionisti, obbligazioni e correntisti sopra i 100.000 euro, ci dovrà quindi pensare Atlante [il nuovo fondo d’investimento creato per sostenere le banche italiane, NdR], con una potenza di fuoco tutta da decifrare. Meglio sarebbe aumentare la sua leva finanziaria, altrimenti lo sforzo titanico non sarà sufficiente.
È ormai evidente che la Germania non vuole la garanzia comune dei depositi. Nonostante essa sia la base dell’unione bancaria, Berlino sta facendo di tutto per convincere ad ogni ECOFIN il presidente di turno olandese a mettere sul piatto questo scambio del tutto irricevibile: tutela UE dei conti correnti contro tetto al possesso dei titoli di Stato nei bilanci bancari, con conseguente eliminazione del risk-free. In soldoni significa che circa 1.600 miliardi di euro di bond sovrani potrebbero dover trovare altre allocazioni in Europa. Per l’Italia il conto si aggira intorno ai 100 miliardi di euro che finirebbero sul mercato con conseguente aumento dello spread (ricordate il 2011?). Nessuno ha avuto la forza di chiedere ad Angela Merkel se crede ancora nell’Europa, perché questa operazione che i suoi saggi, d’intesa col ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, hanno messo a punto, sa tanto di scissione finale: Europa solida del nord da una parte, Europa indebitata del sud dall’altra.
Tutti o quasi concordano che senza un ministro del Tesoro europeo la confederazione resterà tale. Un ministro unico può emettere debito e farselo comprare alla bisogna dalla Banca centrale europea. La proposta è arrivata in primis dalla Francia e dalla Germania, ma anche in questo caso sembra che Parigi e Berlino pensino piuttosto ad un direttorio dei bei tempi andati e non certo ad un Tesoro dei 19 paesi dell’euro. Anche perché questa scelta – cruciale e importantissima – sarebbe il via libera alla successiva emissione di eurobond, uno strumento che la Germania vede come il diavolo, come ha dimostrato nel bocciare i migration bond proposti dall’esecutivo Renzi. Dunque attenzione: quando Merkel, Hollande e i loro stretti collaboratori parlano di ministro unico, forse pensano al ‘‘loro ministro unico’’, una tavola apparecchiata per quattro o cinque paesi nordici al massimo, che non prevede l’Italia. Salvo non assegnarli compiti e poteri di veto fortissimi nelle finanze pubbliche dei paesi più indebitati, il che equivale a dire la stessa cosa. Berlino non vuole alcuna condivisione dei rischi e delle spese (conti correnti, banche, migranti) e nessun debito comune. Pensar male è un peccato ma a volte ci si azzecca.
L’Italia ha meritoriamente presentato a febbraio scorso una proposta per rivedere i trattati e principalmente il fiscal compact. Nato lustri fa quando non si ipotizzava nemmeno il fallimento della Lehman Brothers e la deflazione, il patto di stabilità e di crescita alla fine non ha centrato né l’una né l’altra. La flessibilità che serve davvero è quella legata allo scomputo delle opere pubbliche dal deficit e di tutte le spese che i paesi devono affrontare – in assenza di una politica comune europea – per fronteggiare l’immigrazione e il terrorismo jihadista. Altrimenti si dovranno varare manovre da decine di miliardi di euro per raggiungere target che non hanno più senso in questo contesto. Purtroppo, nessuna di queste istanze sembra essere appoggiata da Berlino, che preferisce andare avanti sul rigore in beata solitudine.
Il quantitative easing della BCE, portato sopra la soglia dei 2.000 miliardi, ha avuto l’indubbio vantaggio di ridurre il cambio euro-dollaro, favorendo le esportazioni e azzerando i tassi (e Draghi ha confermato che a zero rimarranno fino al 2017). Allo stesso modo, il bazooka di Francoforte ha fatto virare in negativo i rendimenti dei titoli di Stato di moltissimi paesi emittenti, ma questo comporta che la Germania, che ha le sue assicurazioni scoperte sul fronte dei rendimenti promessi ai propri clienti, prima o poi dirà stop. È difficile indicare una data, ma è molto probabile che essa cadrà ben prima della fine del mandato di Mario Draghi, previsto per il 2019. In questi tre anni sono previste elezioni cruciali in Germania, Francia, Italia e Unione Europea e il referendum sulla Brexit. Berlino si muoverà in anticipo per avere un tedesco alla guida dell’Eurotower, una delle poche cose che potrebbe sopravvivere alla fine dell’Unione, che imponga il rialzo dei tassi e la fine della politica monetaria accomodante salva-spread.
Lo schema teutonico è dunque questo: nessuna condivisione dei rischi, salvataggi a carico dei paesi, fine degli acquisti di bond sovrani da parte della banca centrale e delle stesse banche nazionali. Autarchia finanziaria totale: chi ce la fa da solo, vivrà. Noi italiani possiamo dirci al sicuro?
Pubblicato sull’Huffington Post il 29 aprile 2016.
Fonte: Eunews Oneuro
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