di Christian Marazzi
È denso e tagliente l’ultimo libro di Gigi Roggero, Elogio della militanza. Note su soggettività e composizione di classe (DeriveApprodi, pp. 213, euro 13). Ed è attraversato dalla ricerca di quello sguardo, di quella linea di condotta, di quel grimaldello di cui il militante ha bisogno per agire nel tempo presente della lotta di classe. La lotta tra un capitale pervasivo nelle forme del suo sfruttamento e una classe che appare e scompare nelle forme della sua soggettività, del suo rifiuto, dei suoi desideri, della sua vita. Nelle forme, soprattutto, della sua scomposizione. Un capitale che, per distruggere l’autonomia della classe operaia fordista, si è trasformato in «capitale-crisi», incapace di innescare nuovi cicli di sviluppo perché privo della sua più grande forza produttiva, la classe operaia stessa. «Perché la classe operaia può essere autonoma, il capitale no: strutturalmente dipende dal proprio nemico. La crisi è esattamente questa nemesi storica». Con esiti che si riverberano, lacerandolo, all’interno del pensiero critico con, da un lato «una mitologica composizione di classe senza operaismo, dall’altro un mitologico operaismo senza composizione di classe».
Inevitabile, nella ricerca di Roggero, interrogarsi sul passaggio storicamente determinato dall’operaio massa all’operaio sociale e da quest’ultimo al lavoratore cognitivo, un passaggio non solo tecnico, determinato dalla composizione organica del capitale e dalle forme dell’organizzazione dei processi produttivi, ma anche politico, che rimanda alle forme della sua organizzazione, della costruzione di processi di lotta, di «controsoggettività», di strategie, cioè di anticipazioni. Il che significa ripercorrere in modo genealogico il concetto di composizione di classe, cioè tentare di rispondere, e sempre di nuovo rispondere, alla domanda posta da Marx: che cosa costituisce una classe? «La classe – in senso marxiano, dunque forte – non è una questione di stratificazione, ma di contrapposizione». Nelle parole di Mario Tronti: non c’è classe senza lotta di classe. Classe significa antagonismo di classe, quell’antagonismo che portò alla giornata lavorativa normale e che da allora ha segnato i tempi della nostra civilizzazione.
Se composizione tecnica e politica della classe si intrecciano continuamente, non per questo le due composizioni si specchiano l’una nell’altra. Ad essere decisiva nella composizione di classe, più che la coscienza astratta di classe, è la soggettività, e più ancora la controsoggettività. «Solo nelle strade insanguinate di Pietroburgo gli operai sono diventati classe», solo seguendo la misteriosa curva della retta di Lenin si può deviare, interrompere e rovesciare lo sviluppo del capitale. Qui il problema non è solo quello della soggettività costituente della composizione di classe, bensì anche quello dell’autonomia operaia e della sua organizzazione, della sua direzione politica, del partito. Il leninismo di Gigi Roggero è tutto dentro questi rapporti. Ed è la parte più difficile della riflessione di Roggero: come arrivare prima, per evitare di non arrivare proprio. Come risolvere la risposta che Romano Alquati, suo vero maestro, diede alla domanda se gli operaisti si aspettassero Piazza Statuto e l’espolosione delle lotte: «Noi non ce l’aspettavamo, però l’abbiamo organizzata».
Coerentemente con la sua esperienza militante, Roggero identifica, senza pretesa d’esausitività, due luoghi da cui ripartire per sciogliere il nodo dell’anticipazione delle lotte e della scommessa militante dentro la composizione di classe: la logistica e l’università, luoghi in cui la «cognitivizzazione» e la banalizzazione del lavoro si intrecciano, determinando ambiti di soggettivazione e di possibile ricomposizione. La scommessa militante è quella del passaggio dall’operaio cognitivo di mestiere all’operaio cognitivo di massa: «Pensiamo che un nuovo discorso di autonomia operaia debba oggi ripartire da qui», che da qui si possa rompere la dicotomia tra accelerazione del futuro e ritorno al passato.
La politica è quella attività che mette in gioco i termini reali del potere nella società. Roggero lo fa ritornando ai princìpi, prendendo per mano o per i capelli, Marx, Lenin, l’operaismo e lo stesso Lukács. E lo fa dall’interno della crisi del capitalismo, ponendosi la domanda di quale possa essere il nostro uso della crisi, della crisi come macchina capitalistica. Una macchina che esclude includendo, che mette la vita al lavoro senza con questo riuscire a sussumere completamente la soggettività come possibilità di ricomposizione di classe. «La tendenza è reale, la sua realizzazione no», ed è in questo scarto che si forma e agisce il militante, cercando di abbattere la separazione tra produzione di sapere e produzione di organizzazione, facendo cioè conricerca. Agendo cioè dall’interno della composizione di classe per deviare lo sviluppo capitalistico facendo emergere controsoggettività.
Ma chi è il militante? È un soggetto che produce continuamente il «noi» e il «loro», che separa per ricomporre la propria parte. C’è qualcosa di sacrificale in questa definizione del militante che per Roggero non ha nulla a che fare con la privazione, ma molto con «la disciplina della passione sovversiva». Con l’agire dentro e contro la storia, non seguendo lo spirito del tempo, ma aggredendolo.
Fonte: il manifesto
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