La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 29 aprile 2016

La ostile presa del potere di Trump

di Serge Halimi
Molti Repubblicani devoti detestano il ‘cane sciolto’ che si sta appropriando della candidatura del partito nel tentativo di diventare presidente.
Sabato 27 febbraio a Mobile, Alabama, l’incontro del comitato esecutivo annuale del Partito Repubblicano dell’Alabama si è tenuto tre giorni prima delle primarie in altri stati del Sud. Vi hanno partecipato varie centinaia di rappresentanti locali, nella sala principale di un centro per convegni. Stranamente, c’era maggiore probabilità di incontrare un delegato nero invece che un sostenitore di Trump, in uno stato dove lui è molto popolare (come è dimostrato dalla sua sonora vittoria nelle successive primarie in Alabama) e i membri Repubblicani sono quasi del tutto bianchi [1].
Il nome di Trump non è stato citato sul podio, ma era nella mente delle persone, dato che un successo della sua campagna avrebbe effetto sul futuro del partito. Ogni elezione comprende un gruppo di candidati che suscitano antipatia (pochi dei colleghi di Trump al Senato hanno un qualsiasi affetto per il texano Ted Cruz).
Il fenomeno Trump è però molto diverso – i testi di management lo chiamerebbero una presa ostile del potere. Molti Repubblicani, compresa la stragrande maggioranza dei rappresentanti del partito, sospettano che la sua unica motivazione derivi dal suo sfrenato narcisismo e da istinti autoritari, e che sia meno interessato al “partito di Lincoln e di Reagan” che alla sua catena di alberghi e al suo marchio di vodka. A Mobile, perciò, i membri del comitato Repubblicano hanno condotto una disperata esercitazione arbitraria: riaffermare le convinzioni dei fondamenti del partito per mezzo del voto elettronico, consapevoli allo stesso tempo che Trump potrebbe subito trasformarli in coriandoli.
Per fare al sistema elettronico una prova di collaudo, i 300 e più membri del comitato Repubblicano hanno votato elettronicamente per il loro film di guerra preferito. Patton (film americano del 1970 sul Generale Patto nella II Guerra mondiale, n.d.t.) ha battuto Pearl Harbour a mani basse. Le scelte in offerta e il risultato hanno indicato che i membri del partito hanno il gusto delle grandi battaglie e amano vincere.
Quando hanno votato, il 76% ha chiesto che le primarie del 2020 in Alabama dovrebbero essere “chiuse” , cioè aperte soltanto agli elettori iscritti al GOP (il Grande Vecchio Partito, quello Repubblicano) al contrario delle primarie di quest’anno. Lo scopo era trasparente: rendere la vita più difficile per futuri cani sciolti come Trump che attrae elettori Democratici e indipendenti. E nel caso che il messaggio a Trump, proprietario di casinò non fosse abbastanza chiaro, un’altra mozione ha fatto obiezione a tutte le forme di nuovi giochi d’azzardo in Alabama (una tribù indiana gestisce tre casinò in quello stato). Il resto dei voti è stato più prevedibile: condanne della “agenda distruttiva di Barack Obama e di Hillary Clinton”; un promemoria che l’elezione presidenziale determinerà l’equilibrio politico della Corte Suprema; una nuova richiesta di limiti per il diritto all’aborto, e un rifiuto ripetuto del controllo delle armi.
All’ingresso della sala c’erano degli stand che pubblicizzavano i candidati che allora erano ancora ‘in corsa: Ted Cruz, Marco Rubio, John Kasich e Ben Carson – e dove si distribuivano distintivi promozionali e volantini, ma non per Trump che sembrava avesse pochissimo supporto tra gli attivisti Repubblicani che già prevedevano il disastro nel caso che in novembre dovesse essere “stracciato” e dopo, nel caso che venisse eletto.
Gli insulti di Trump ai musulmani erano lungi da ciò che eccitava di più i Repubblicani. Anche la mozione 2016-06 consigliava che gli Stati Uniti rifiutino l’asilo a tutti i “rifugiati che provengono da paesi che hanno legami con l’Islam radicale”. Un delegato ha parlato a sostegno di questo, dicendo che i Repubblicani hanno la sensazione che metà del mondo voglia venire negli Stati Uniti a uccidere gli americani. Questa sensazione, come l’imprecisione della mozione che la sostiene, attesta una conoscenza incompleta della politica internazionale: a un visitatore che veniva dalla Francia è stato chiesto, seriamente, se la maggioranza della popolazione francese era musulmana. La mozione è stata battuta, ma soltanto di pochissimo.
‘Guardatevi dai falsi profeti’
Durante la cena che è seguita (mediocre, malgrado costasse 150 dollari), due terzi del personale che serviva ai tavoli erano neri, il 98% dei commensali era formato da bianchi. Ogni candidato aveva inviato un emissario. Carson aveva mandato suo figlio. In un implicito attacco a Trump (anche se Carson meno di due settimane dopo
ha iniziato a sostenerlo), ha aperto il suo discorso con una citazione biblica: “Guardatevi dai falsi profeti.” Il portavoce di Cruz ha fatto altrettanto per mettere in risalto l’affidabilità ideologica di Cruz: “Li riconoscerete dai loro frutti.” Rubio, aveva mandato come delegato un pezzo grosso, Rick Santorum che è molto popolare tra gli evangelici; aveva vinto le primarie in Alabama nel 2012 quando era un aspirante alla presidenza. Un rappresentante locale apparentemente poco noto, ha difeso Trump: “La cosa migliore di Trump è che sta infiammando le masse.”
Infine, il piatto forte (pubblicizzato) è stata la comparsa di Mark Geist, un ex agente della sicurezza in Libia, trasformato in oratore di lusso del dopo cena, che parlò a lungo dell’attacco del 2012 al consolato degli Stati Uniti a Bengasi (2). La sua conclusione inequivocabile ha ottenuto l’approvazione di tutti: l’inettitudine dell’allora Segretario di stato, Hillary Clinton, era stata la colpevole della morte dell’ambasciatore John Stevens. Il tono della campagna era stato stabilito, e non da americani arrabbiati che sono vittime della precarietà del posto di lavoro, della disoccupazione e dei trasferimenti delle aziende. Quasi tutti i presenti si erano pagati da soli il viaggio, l’alloggio in albergo e la cena, cioè l’equivalente di varie settimane di paga di coloro che hanno il salario minimo locale (7,25 dollari all’ora), il più basso del paese.
L’avversione verso Obama e la Clinton, suscitata nei circoli Repubblicani, basteranno a superare la loro diffidenza nei riguardi di Trump? Non ci si scommetterebbe, dopo aver ascoltato Vaughn Poe, un amministratore di sicurezza informatica all’Università dell’Alabama e presidente di contea del partito in Alabama, che è nero. Crede che la popolarità del newyorchese, possa essere attribuita all’unione del potere della TV della realtà con lo “estremismo” esistente nell’elettorato degli Stati Uniti. “Anche Adolf Hitler era molto popolare nella sua epoca. Come ha funzionato per lui? Se Trump sarà il candidato, come Repubblicano proverò imbarazzo. Non potrei fare questo [votare per lui] al mio paese. […] Ho un quoziente intellettivo superiore a 50. Quando si ha un cervello, Trump non è una persona che va considerata.” Ancora peggio: “Trump non è un Repubblicano, è un Democratico. I veri conservatori non si fanno prendere in giro da Donald Trump. E’ un tipo che come lavoro fa accordi. Non mi sorprenderei se a metà settembre [quando i due partiti saranno in vista delle elezioni di novembre] Trump decidesse di essere il candidato a posizione di vice di Hillary. Sarebbe troppo tardi per il GOP scegliere un altro candidato.
Il suggerimento di uno schema così bizzarro può sembrare sorprendente, ma molti Repubblicani, terrorizzati della traiettoria politica atipica di Trump, fanno subito notare che Hillary Clinton era stata invitata al suo terzo matrimonio. Non è che quella
congettura sospettosa sia appannaggio di irati delegati o attivisti locali “messi su” dal (canale televisivo) Fox News, dai media sociali e dai teorici della cospirazione. Il 16 marzo, in Arizona, Ted Cruz ha accusato i media – “quasi tutti sostenitori “liberali” – di “cercare di fare tutto quello che possono per far diventare candidato Trump, perché sanno che è l’unico su tutto il pianeta che Hillary Clinton può battere nell’elezione generale.”
Le ombre di George Wallace
Barbara Priester fa parte del comitato esecutivo del partito in Alabama. E’ una gagliarda ottuagenaria e una Repubblicana devota in uno stato che dal 1874 al 2010 è stato governato dai Democratici ma i cui funzionari eletti in tutto lo stato sono ora tutti Repubblicani. La Priester ha fatto una campagna contro il governatore Democratico dell’Alabama, George Wallace (1919-1998), a cui spesso viene paragonato Trump. Le invettive di Wallace contro l’establishment e gli intellettuali , la sua retorica segregazionista e la sua violenta repressione del movimento per i diritti civili, hanno lasciato il loro segno sulla storia degli Stati Uniti.
Wallace che si candidò quattro volte alle elezioni per la presidenza degli Stati Uniti, vinse in 4 stati nel 1968, compreso l’Alabama, con il 66% dei voti . Questo risultato è ancora più sorprendente perché concorreva contro dei ‘pesi massimi’: il Repubblicano Richard Nixon (che vinse) e il Vice Presidente Democratico Hubert Humfrey. I suoi comizi elettorali erano spesso turbolenti – come quelli di Trump. Di solito Wallace si scontrava con i disturbatori e diceva loro di andarsi a lavare e a farsi la barba. Quando era di umore migliore, si offriva di “scrivere il suo autografo sui loro sandali.” Durante il suo terzo tentativo, nel 1972, un tentativo di assassinio lo costrinse a restare in sedia a rotelle per il resto della sua vita, ma non mise fine alla sua carriera: svolse in totale quattro mandati come governatore. Secondo Ann Bennet, figlia di Barbara Priester e, come suo marito, anche attivista per il partito (entrambi furono delegati alla Convenzione Repubblicana a Tampa, nel 2012), la forza di Wallace era che dava voce al popolo (del Sud) sconfitto: “Questo spiega Trump. Obama ha fatto degli Stati Uniti un popolo sconfitto. Abbiamo perso l’Iraq, l’Afghanistan, e abbiamo perduto terreno nei confronti dell’ISIS. Come Wallace, Trump fa appello a coloro che si sentono sconfitti e che accetterebbero chiunque dica che noi contrattaccheremo.”
Un popolo sconfitto a causa di leadership debole, è un tema costante della campagna elettorale di Trump. Oltre al narcisismo dell’uomo di affari che lo spinge a voler vincere (uno dei verbi preferiti) ogni battaglia, e quindi a diventare presidente, il nazionalismo autoritario è la sua guida. Questo stato d’animo forse fa ora parte del lo spirito del tempo, ma Trump lo ha espresso oltre 25 anni fa in un’intervista a Playboy [3], in cui attaccò i presidenti George H. W Bush e Mikhail Gorbaciov. Trump accusava Bush Sr di debolezza verso gli alleati degli Stati Uniti (specialmente Giappone, Germania e gli stati del Golfo) quando riuscivano ad avere dei vantaggi senza pagare alcun prezzo, malgrado la loro ricchezza. Di Gorbaciov diceva: “Prevedo che sarà deposto perché ha dimostrato una debolezza straordinaria.” Nel 1990, parlando del secondo mandato di Reagan, e con un nuovo presidente Repubblicano alla Casa Bianca, Trump reputava che i leader mondiali “non hanno rispetto per noi […] ridono della nostra stupidità […] tutti ci calpestano”. Ora è entrato nell’arena “per fare di nuovo grande l’America” combattendo gli accordi di libero scambio e costruendo un muro fortificato al confine con il Messico. Nel frattempo, la Cina e il Messico, sono entrati nella lista dei paesi che Trump sostiene sfruttino l’ingenuità degli Stati Uniti.
In Wallace, la Priester trovò un demagogo che attribuiva la maggior parte dei problemi a una classe politica che proteggeva le minoranze, gli stranieri e i criminali. La Priester ricorda ancora con che perizia manipolava i media: criticava aspramente i giornalisti e si presentava come il solo oratore che parlava all’uomo della strada, abile maledire e a difendere le sue idee a qualunque costo. Quindi non lei non si fida di Trump. E, come sua figlia e suo genero, legge regolarmente i sondaggi di opinione e così è in grado di guidare i suoi vicine e parrocchiani verso il candidato Repubblicano che ha la migliore possibilità di batterlo. Tutti e tre ertano incerti tra Rubio e Cruz, ma hanno preferito Cruz. Invano [4].

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Originale: Le Monde Diplomatique
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2016 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0

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