di Eleonora Martini
La chiama «collaborazione assolutamente inadeguata», il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, ma dalle autorità egiziane, ben lungi da ammettere la sistematica violazione dei diritti umani in patria, continua ad arrivare solo qualcosa di più simile ad una sfacciata provocazione.
Probabilmente il titolare della Farnesina pronunciando queste parole ieri non si riferiva all’ultima sfida lanciata dal vicepresidente della Camera dei rappresentanti del Cairo, Soliman Wahdan, che ha rinverdito la falsa pista di Giulio Regeni spia dell’intelligence, arrivando perfino a paventare «enormi problemi» con l’Italia se ciò risultasse vero. Né di certo alle invettive dell’ex ministro dell’Interno Mohamed Ibrahim Yossef che ieri ha di nuovo rilanciato la tesi del complotto «criminale». E neppure alle richieste fin troppo propagandate dal ministero degli Esteri egiziano di fare altrettanta chiarezza su casi di cittadini scomparsi o morti in circostanze da chiarire a Roma, a Chicago e, ultimo, lunedì scorso a Londra, come risposta esplicita alle pressioni esercitate anche dal governo britannico e da quello americano sul caso Regeni.
Però non può essere sfuggito, al ministro Gentiloni, che uno dei capi di imputazione addossati ad Ahmed Abdallah, il consulente della famiglia Regeni arrestato il 24 aprile scorso, è di «leader di gruppo terroristico», un reato per il quale rischia la pena di morte.
Difficile dunque capire a cosa si riferisca l’esponente del governo Renzi quando parlando aRadio 1 ieri mattina ha confermato «la nostra pressione e la nostra ricerca di verità» sul caso Regeni anche se «purtroppo l’Italia ancora non ha avuto risposte soddisfacenti» dal Cairo. Per Gentiloni aver richiamato per consultazione l’ambasciatore Maurizio Massari dall’8 aprile scorso è stato già «un gesto molto forte nei rapporti tra Stati». Ora il governo attende solo di vedere i «risultati» dei «nuovi contatti tra le procure», dopo che il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone «ha inviato una nuova rogatoria in Egitto». Sia chiaro, precisa il ministro: «Se qualcuno immaginava che il trascorrere del tempo avrebbe diminuito l’attenzione dell’Italia, per noi il ritorno alla normalità delle relazioni dipende solo da una collaborazione seria che continuiamo ad esercitare anche con altre forme una pressione diplomatica perché si arrivi alla verità, ma sappiamo che non sarà facile».
Il capo della Farnesina riferisce ancora di aver «parlato della questione anche a Lussemburgo», riscontrando durante la riunione dei ministri degli Esteri europei «una consapevolezza generale del fatto che si sia trattato di un caso gravissimo, anche per le modalità terribili in cui è avvenuto». Ma nelle parole di Gentiloni si percepisce la preoccupazione del governo Renzi di perdere nuove opportunità per una partnership privilegiata con il regime di Al Sisi: «Non siamo ingenui – ha ammesso il ministro – sappiamo che in questo raffreddamento delle relazioni tra Italia ed Egitto ci sarà qualcuno che cercherà di inserirsi per conquistare relazioni privilegiate nei rapporti con il Cairo». Anche se, ha concluso, «non possiamo essere mossi in modo prevalente da questo».
Molto meno cauto, il discorso pronunciato davanti alle telecamere di un’emittente privata cairota, la Ten Tv, dal vicepresidente della Camera egiziano: «L’omicidio di Regeni rappresenta un incidente isolato ed è stupido accusare il governo di aver avuto un ruolo in questo crimine – ha detto Soliman Wahdan – L’Egitto è uno stato di diritto e lavorerà per trovare i responsabili e giudicarli. Se però fosse dimostrato che Regeni era una spia si creerebbe un problema enorme tra l’Egitto e l’Italia. La fiducia tra i due paesi verrebbe meno».
Secondo l’Agenzia Nova, la seconda carica del Parlamento egiziano ha poi ripetuto la versione ufficiale egiziana paragonando l’omicidio Regeni a quello del procuratore generale Barakat, come «già in passato avevano fatto sia il presidente Abdel Fatah al Sisi che il ministro dell’interno Shoukry», riferisce l’agenzia stampa internazionale. «Per il nostro procuratore generale Nabil Sadeq, Regeni non è meno importante del martire Hesham Barakat – ha affermato il vicepresidente della Camera Wahdan – Anche se Barakat è stato ucciso in un attacco terroristico, dopo 7 mesi abbiamo trovato i colpevoli. Le indagini richiedono tempo. La delegazione che si è recata in Italia per fare il punto sulle indagini ha fatto il suo dovere, nonostante le accuse al governo egiziano».
E invece per le opposizioni italiane è ormai “time out“: l’«attenzione» assicurata dal ministro Gentiloni, dicono, va sostituita con azioni concrete. Secondo Nicola Fratoianni, Sinistra Italiana, «forse è arrivato il momento di dichiarare l’Egitto “Paese non sicuro” soprattutto se, come sta accadendo, si inasprisce ancor di più la repressione del regime di Al Sisi nei confronti degli attivisti egiziani per i diritti umani». Per i deputati della commissione Esteri del M5S, «il governo deve attuare, ora più che mai, un immediato embargo di armi e di ogni materiale che possa essere utilizzato dal Paese per la sua repressione interna, come previsto da una decisione del Consiglio dell’Unione europea dell’agosto 2013 e come richiesto con vari atti presentati alla Camera».
Fonte: il manifesto
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