di Piero Di Siena
Bisogna riconoscere che se c’è un luogo da cui è possibile che nasca la sinistra italiana del futuro questo è sicuramente la comunità diuomini e donne che si è data appuntamento a Roma, al Palazzo dei Congressi dell’Eur, dal 19 al 21 febbraio di quest’anno. Protagonista di tre giorni di intense e appassionate discussioni, che si sono alternate tra assemblea generale e affollatissimi gruppi di lavoro – secondo una modalità inventata dai movimenti“no global” agli inizi del secolo e assurta ai riti della politica che aspira al successo con gli appuntamenti alla Leopolda di marca renziana – è stato quello che, con linguaggio di altri tempi, si potrebbe definire come il “quadro attivo” di una nuova formazione politica in divenire.
È da questa presa d’atto che è necessario partire se si vuole dare un giudizio equanime su che cosa sia stata “Cosmopolitica”, se vogliamo usare il neologismo un po’ astruso con cui i promotori hanno voluto battezzare il raduno romano dell’Eur. E sarebbe bene, se si vogliono riallacciare relazioni che potrebbero rivelarsi feconde, che lo facessero anche quanti a sinistra si sono sentiti esclusi o anche solo messi di parte.
Mi riferisco a Rifondazione comunista o anche a ciò che resta dell’Altra Europa per Tsipras, protagonisti sino a dicembre con i promotori dell’appuntamento di febbraio di un comune percorso unitario, poi interrotto per la non disponibilità del partito di Ferrero a sciogliere completamente le fila, così come invece ha fatto Sel.
Mi riferisco a Rifondazione comunista o anche a ciò che resta dell’Altra Europa per Tsipras, protagonisti sino a dicembre con i promotori dell’appuntamento di febbraio di un comune percorso unitario, poi interrotto per la non disponibilità del partito di Ferrero a sciogliere completamente le fila, così come invece ha fatto Sel.
In verità a molti gli argomenti usati dall’attuale gruppo dirigente di Sel e da quanti sono usciti da sinistra dal Pd nei confronti di Rifondazione sono sembrati per tanti aspetti pretestuosi.
Quest’ultima infatti non ha mai fatto derivare dal mantenimento in vita della propria organizzazione la conseguenza che il nuovo soggetto politico in costruzione dovesse essere una sorta di federazione delle organizzazioni preesistenti. Né poteva essere diversamente.
La Rifondazione comunista del dopo Bertinotti è stata infatti la principale vittima del fallimento di ipotesi federative tra vecchie formazioni e gruppi dirigenti precostituiti, dall’implosione della Federazione della Sinistra al vero e proprio collasso elettorale di Rivoluzione civile guidata da Ingroia, perché vi potesse essere il sospetto che si ostinasse a perseguire una strada sin qui battuta. E del resto la Rifondazione nata dopo la sconfitta della Sinistra Arcobaleno e la scissione di Vendola è ormai essa stessa ridotta a un manipolo, essendo molti dei suoi protagonisti – da Grassi a Vinci – completamente conquistati al progetto che si è avviato all’Eur. Vi erano insomma i margini, e per tanti aspetti vi sono ancora, per mantenere aperta una discussione unitaria i cui sviluppi potevano essere affidati, invece che a strette di carattere organizzativo, all’evoluzione di un quadro politico generale che – come è noto – è in grande movimento, e alla definizione di una prospettiva di carattere strategico che è al di là da venire per tutti i possibili attori del processo di ricostruzione della sinistra italiana.
Il rapporto col Pd
D’altra parte, che cosa debba essere anche solo dal punto di vista organizzativo un nuovo partito della sinistra dopo la fine dei partiti di massa e il trionfo dei partiti personali che hanno accompagnato la crisi della politica democratica nel nostro Paese è questione tutta da definire. Credo che nessuno metta in discussione che nel nuovo partito sarà possibile la formazione di maggioranze e minoranze. Ma a queste ultime sarà consentito di darsi un’organizzazione di carattere permanente? E saranno garantiti meccanismi di tutela delle minoranze nella formazione delle rappresentanze istituzionali?
Avranno ancora un ruolo le primarie per la designazione delle candidature e come saranno disciplinate? Si tratta di problemi aperti, neppure toccati dalla discussione avvenuta sinora, alla cui soluzione si sarebbe potuto subordinare l’atteggiamento da assumere verso l’esigenza di Rifondazione di non sciogliere preventivamente le righe.
Se questo non è avvenuto sarebbe tuttavia riduttivo addebitarlo solo alla permanente conflittualità che segna i rapporti tra gruppi dirigenti. Vi sono molteplici ragioni che vanno tutte esaminate.
La prima, probabilmente, corrisponde alla necessità di produrre una soluzione di continuità nelle pratiche dell’agire politico a sinistra, di liberarsi dell’autoreferenzialità che si è sedimentata nel corso degli anni ed è cresciuta con la crisi che ha travolto, a partire dal 2008, le esperienze maturate in un ventennio dopo la fine dei partiti di massa. L’esigenza di ritrovare la strada per riannodare un rapporto fecondo con quanto si muove e si agita nella società è stata ovviamente fortissima. E tutto ciò che si è sedimentato nel corso di questi anni che hanno visto progressivamente la sinistra italiana dissolversi è visto come un ostacolo. A essere portatori di questa esigenza nell’iniziativa tenutasi all’Eur erano soprattutto coloro che provengono dai cosiddetti “movimenti”, protagonisti di esperienze legate al “sociale” – dall’occupazione delle case a forme inedite di tutela del lavoro precario –, in un certo senso eredi dei movimenti “no global” dei primi anni Duemila. Ma anche la generazione dei più giovani quadri attivi di quel che resta della sinistra italiana che, per i modi in cui sono intervenuti nel dibattito, si sono variamente candidati alla formazione di una nuova leadership emancipata da antiche tutele.
Bisogna riconoscere ai promotori di Cosmopolitica che più di altri hanno saputo intercettare questa esigenza e farsene in qualche modo interpreti, anche se ora essa può avere uno sbocco se saprà indicare la strada attraverso cui si ricostruisce un sistema di rapporti tra politica e società, alimentati da una nuova idea di democrazia organizzata, dalla costruzione di nuovi corpi intermedi e dalla riforma di quelli tradizionali (partiti e sindacati). Da questo punto di vista c’è da augurarsi che si metta la parola fine a progetti che sono destinati a durare lo spazio di un mattino, sapendo che il lavoro da fare è necessariamente di lunga durata. E a tal proposito sarebbe utile sapere che fine abbia fatto la “coalizione sociale” promossa solo alcuni mesi fa dalla Fiom.
La seconda ragione sta nel fatto, probabilmente, che si è voluto far precipitare su una questione meramente organizzativa un problema di più vasta portata che riguarda la politica delle alleanze della futura formazione della sinistra italiana e il giudizio relativo all’evoluzione del quadro politico e delle forze in campo, tutte sogget te a un processo di radicale trasformazione. È noto che da tempo, ben prima dell’affermarsi della leadership di Renzi, Rifondazione ha fatto della trasformazione “genetica” del Pd il suo cavallo di battaglia, quasi uno degli elementi del suo tratto identitario. Tra i promotori e i protagonisti di Cosmopolitica la discussione è aperta e a tratti lacerante. Le faglie di frattura attraversano soprattutto Sel e rischiano di avere momenti di precipitazione nella discussione in atto sulle liste e le coalizioni per le prossime amministrative. Il tema in discussione (in verità accuratamente lasciato sullo sfondo nella tre giorni romana) è se debba o meno ritenersi definitivamente chiusa ogni possibile alleanza di centrosinistra con il Pd o parti di esso a livello locale.
Si tratta di un tema cruciale, sinora affrontato con una certa approssimazione e incertezza. Se esiste un accordo pressoché unanime sul fatto che, sino a che resta in campo l’indirizzo che Renzi ha dato al Pd, sul piano generale nessun rapporto sia possibile, le differenze emergono sul giudizio da dare sulle coalizioni di centrosinistra a livello regionale, a cominciare dall’esperienza del Lazio, e a livello locale a partire dal ruolo svolto dalle cosiddette amministrazioni ”arancioni” nel quinquennio che ci lasciamo alle spalle. Sinora la discussione non ha superato i limiti di un confronto orientato da scelte collocate entro un orizzonte politico di breve termine, governato nelle circostanze migliori dal criterio del caso per caso.
Né poteva essere diversamente, essendo assente alle spalle una qualsiasi analisi differenziata del grado di evoluzione dell’intero sistema politico italiano, su a che punto sia giunto il processo di trasformazione delle forze politiche in campo, quali siano le contraddizioni che le attraversano e come una politica delle alleanze della nuova formazione politica in fieri della sinistra possa influire sull’esito di tale processo ancora in corso, sulle ragioni che hanno impedito alle numerose esperienze amministrative guidate da personalità di sinistra, a cominciare da Milano e dalla stessa Regione Puglia, di esercitare una qualche influenza sull’evoluzione del quadro politico generale. Naturalmente vale anche l’argomento che per avere un ruolo qualsiasi in futuro, anche da questo punto di vista, questa nuova forza della sinistra ci sia, inizi a radicarsi nella società italiana, definisca una sua funzione di portata strategica.
Un programma fondamentale
Da questo punto di vista importante sarà il giudizio sull’intensa elaborazione programmatica che ha caratterizzato la discussione nei gruppi di lavoro, se e quando saranno resi pubblici i materiali e gli interventi che si sono succeduti. Non si tratta di capire solo se sono già in campo gli elementi costitutivi di un programma politico a breve, alternativo a quello della maggioranza di governo, ma se si sono fatti passi avanti nella definizione di un programma fondamentale in grado di aprire una prospettiva strategica che sia all’altezza degli sconvolgenti cambiamenti che stanno investendo non solo il Paese ma l’intero scenario internazionale. Penso alla crisi economica mondiale che dura ormai da quasi un decennio, una nuova “grande depressione” di cuinon si vede lo sbocco. Penso ai nu merosi fronti di guerra, ai tanti focolai latenti e palesi di conflitto armato, all’instabilità generalizzata dello scenario mediorientale di cui Siria e Iraq e Libia sono solo le situazioni più gravi. E penso a una sinistra europea impotente, che pure al sorgere degli attuali scenari di guerra agli inizi del secolo fu protagonista di una vasta ondata pacifista, oggi non più riproducibile in quei termini a causa delle novità della situazione odierna e alle risposte che queste richiedono.
Penso a questa Europa unita giunta ormai al capolinea, impotente e miope di fronte all’emergenza dei profughi e al grande tema strutturale dei flussi migratori che la investono, prostrata dalla crisi economica e dalle sue politiche che l’alimentano e ne dilatano gli effetti, alla crisi storica ormai conclamata degli assetti democratici usciti dalla sconfitta del fascismo dopo la seconda guerra mondiale.
E essenziale sarà la definizione, da parte della nuova formazione politica in fieri, del ruolo di portata storica che le forze del lavoro potranno avere per la soluzione della vera e propria crisi di civiltà che stiamo attraversando. È questa infatti, come ha sottolineato soprattutto Stefano Fassina nelle giornate di Cosmopolitica, la chiave di volta su cui si regge o meno la possibilità di ricostruire una forza di sinistra all’altezza dei tempi.
I mesi che abbiamo di fronte e che ci separano dalla data fissata per il congresso fondativo della nuova forza politica della sinistra italiana a dicembre saranno cruciali. Il tempo che intercorrerà tra l’esito delle elezioni amministrative e il referendum sulle riforme costituzionali ci dirà se il vero e proprio mutamento di regime politico perseguito da Renzi sarà coronato dal successo, sarà travolto, o subirà una battuta d’arresto che lascerà il Paese ancora in quella sorta di limbo in cui ora si trova. Nel corso dell’anno cioè saranno chiari i rapporti di forza e gli scenari sociali e politici entro i quali la nuova forza politica dovrà operare.
L’importante è che coloro che si sono dati convegno a febbraio al Palazzo dei Congressi dell’Eur non ne siano travolti, e non facciano dipendere il prosieguo dell’impresa iniziata dal risultato del primo appuntamento elettorale, ma mantengano vive e operanti le ragioni e le finalità strategiche insite all’impresa iniziata. C’è da augurarsi che ne siano capaci.
Fonte: criticamarxista.net
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