di Campagna Stop TTIP
Non esce dalla retorica consueta pro-mercato, l'articolo di Andrea Montanino su La Stampa del 26 aprile: "Perché serve l'accordo sul commercio". In un momento in cui ci sarebbe bisogno di un confronto reale, concreto su opportunità e rischi del partenariato transatlantico su commercio e investimenti (TTIP), l'accordo di liberalizzazione negoziato tra Ue e Stati Uniti, la comunicazione dei sostenitori diventa quasi marketing, dipingendo come una panacea un trattato che, come ogni liberalizzazione che si rispetti, avrà vincitori e vinti.
L'opposizione che sta crescendo è innanzitutto transatlantica. Non c'è alcun rischio di antiamericanismo nascosto, come dimostrano le molte realtà della società civile statunitense, così come del mondo politico americano a partire daSharon Treat recentemente venuta in Italia per descrivere i rischi del TTIP, ma molte voci che sempre più chiedono trasparenza e soprattutto approfondimento serio sui temi in campo.
Montanino parla di aumento del Pil, ma purtroppo omette molto, nel suo tentativo di rendere accettabile l'indigeribile. L'aumento dello 0,48% di prodotto interno lordo (medio, quindi con un contributo molto variabile dai vari comparti economici) nei più accreditati studi è previsto al 2027, dopo un'implementazione di 10 anni, considerando la conclusione dei negoziati e la ratifica del trattato al 2017, e solo nelle condizioni ottimali (100% di tariffe tagliate e 25% delle barriere non tariffarie eliminate). I dati medi, come ogni cittadino di media cultura sa, nascondono molte informazioni e non dicono che a fronte della crescita di alcuni settori vi sarà una contrazione di altri.
Quali? Uno studio della Bertelsmann Foundation, tra i principali sostenitori del TTIP, parla esplicitamente del rischio di trade diversion, cioè di riorientamento dei flussi commerciali a trattato concluso: mentre si rafforzeranno gli scambi transatlantici, diminuiranno quelli intraeuropei con punte del -29% tra Italia e Germania. E chi ci rimetterà di più se non le piccole e medie imprese? Ancora una volta l'articolo descrive una realtà parziale: sono 150mila le PMI che esportano negli Usa, ma su oltre 22 milioni che hanno invece mercati di sbocco prevalentemente nazionali o europei e che avrebbero serie ripercussioni per il calo degli scambi intraUE e per l'entrata di prodotti statunitensi a basso costo, considerato che rispetto agli Stati Uniti il mercato europeo è più protetto (sommando tariffe più barriere non tariffarie). Sfugge che i maggiori impatti saranno sull'agricoltura europea e italiana, considerato che studi del Parlamento europeo prevedono che a fronte di un aumento delle esportazioni europee del 60% ci sarà un aumento delle importazioni dagli Stati Uniti del 118%. Uno scenario che potrebbe ridurre l'avanzo commerciale europeo (di attuali 7 miliardi di euro per l'agroalimentare) a poco più di 800 milioni di euro, come descritto dalla stessa US Departement of Agriculture nel novembre scorso.
Un nuovo report redatto da Friend of the Earth Europe con il contributo dell'organizzazione italiana Fairwatch mostra come il TTIP possa essere una vera e propria minaccia per l'agricoltura europea. Lo studio, lanciato il 28 aprile, mostra come mentre il contributo dell'agricoltura europea potrebbe diminuire dello 0,8%, con conseguente perdita di posti di lavoro, quello statunitense aumenterebbe dell'1,9%. Una vera e propria ristrutturazione del mercato che avrebbe effetti anche sulla gestione del territorio e sulle caratteristiche del tessuto produttivo agricolo europeo e italiano.
Questo potrà essere compensato dalla difesa delle nostre DOP? Sembrerebbe proprio di no. Al di là della chiara opposizione statunitense a ogni tipo di deroga, la lista proposta di DOP da tutelare (poco più di 200 europee su quasi 1500, di cui 42 italiane su 273 riconosciute dal nostro Ministero delle politiche Agricole e Forestali) non solo è insufficiente, ma non esclude che certi prodotti di imitazione già sul mercato possano venire ritirati. Insomma, lo scenario ricorda quello dell'accordo con il Canada, il CETA, che ha visto agnelli sacrificali sul mercato delle lobby, come l'Asiago.
L'opposizione al TTIP sta crescendo e si basa su argomentazioni razionali, sociali ed economiche. Sarebbe utile e importante che le controargomentazioni, soprattutto se esposte al grande pubblico, siano basate su altrettanta onestà intellettuale.
Stiamo parlando del futuro del nostro tessuto economico e del nostro benessere. Sarebbe bene non trattare questi argomenti come un derby calcistico della domenica.
Fonte: Huffington post - blog dell'Autore
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