di Michele Azzu
È ormai un mese che la Francia si sveglia di notte. Dal 31 marzo, infatti, le piazze di Parigi – e inizialmente anche di Tolosa, Lione, Nantes, Marsiglia e perfino Bruxelles – vengono occupate la sera dai manifestanti della “Nuit debout”, un movimento popolare di protesta nato a seguito della manifestazione del 31 marzo scorso, contro la riforma del lavoro voluta del premier francese Manuel Valls.
Quella manifestazione, che portò nelle piazze di Parigi tra le 400mila e il milione di persone era stata organizzata da sindacati e studenti, più qualche movimento di estrema sinistra. Finito il corteo, qualche centinaio di dimostranti decise di rimanere in piazza, con tende e sacchi a pelo. Per continuare a parlare e fare assemblea, alla stessa maniera degli “indignados” spagnoli del 2011 e delle manifestazioni americane di “Occupy Wall Street”.
La protesta ancora oggi continua. Nonostante i numerosi sgomberi effettuati dalle forze dell’ordine francesi, i manifestanti continuano a ritrovarsi in Place de la République a Parigi, ogni sera, e spesso si contano anche 3.000 presenze.
Ci sono concerti e assemble – dove si ascolta con la disciplina dei movimenti indignati, senza applaudire – laboratori di arte e di solidarietà ed accoglienza per i rifugiati. Senza leader, gerarchie, né etichette. Ma con curati account su Twitter, Facebook e Snapchat, a raccontare in diretta.
Ci sono concerti e assemble – dove si ascolta con la disciplina dei movimenti indignati, senza applaudire – laboratori di arte e di solidarietà ed accoglienza per i rifugiati. Senza leader, gerarchie, né etichette. Ma con curati account su Twitter, Facebook e Snapchat, a raccontare in diretta.
Le ragioni? Inizialmente, bloccare la riforma del lavoro sui “licenziamenti facili”, simile a quella approvata in Italia un anno fa da Matteo Renzi. Ma col passare dei giorni sono sorte altre tematiche. Dall’opposizione alla finanza e alla corruzione, al welfare, alle case popolari alla democrazia partecipata. Insomma, quelle rivendicazioni che negli anni recenti hanno portato, pur in forme diverse, alla nascita dei movimenti “Podemos” in Spagna e “Syriza” in Grecia?
LA RIFORMA DEL LAVORO FRANCESE. Si diceva, la manifestazione del 31 marzo scorso è partita dai sindacati, storicamente forti in Francia, capaci anche in tempi recenti di organizzare proteste importanti come quella dei lavoratori della Renault o alla Goodyear, in cui gli operai diedero fuoco ai copertoni dei trattori. E come dimenticare, lo scorso ottobre, le foto dei dirigenti di Air France che fuggivano sulle cancellate, strappandosi la camicia, per non farsi prendere dalla furia dei lavoratori?
In questo contesto è chiaro che una riforma del lavoro come quella del governo Valls ha suscitato forti reazioni. La “Legge Kohmri”, che porta il nome dell’attuale ministro del lavoro francese, interviene principalmente su 3 punti:
• I licenziamenti economici. Si vogliono rendere più facili rispetto alla normativa attuale che prevede casi ristretti e l’intervento del giudice. Con questa riforma, invece, un’azienda che dichiara la riduzione del suo giro d’affari per quattro trimestri di seguito può licenziare i dipendenti per motivi economici, e senza giudici. E questo dà praticamente mano libera alle aziende (anche se il governo dice che aumenteranno i controlli).
• Le indennità. Con la normativa attuale un giudice può decidere il reintegro di un lavoratore licenziato ingiustamente, oppure un risarcimento a sua discrezione senza alcun tetto. Ora il governo propone dei tetti, che però a seguito delle proteste sono diventati solo “indicativi” e non obbligatori: si va dalle 12 mensilità di risarcimento per chi ha un’anzianità lavoro di 10-20 anni, 9 mesi per 5-10 anni e via a diminuire.
• Le 35 ore di lavoro settimanali. È il limite attuale di lavoro in Francia, oltre cui le ore successive vengono pagate di più (anche se esistono già delle deroghe). Con la riforma di Valls, invece, le ore aumenterebbero, e gli straordinari verrebbero pagati molto meno: mentre adesso le prime 8 ore dopo le 35 vengono pagate il 25% in più, e a seguire il 50% in più, con la riforma l’aumento sarebbe solo del 10%.
LE DIFFERENZE COL “JOBS ACT” ITALIANO. Anche se molti hanno parlato di un “Jobs Act alla francese” in realtà le differenze con la riforma di Matteo Renzi sono numerose. Anzitutto sul metodo: il governo francese ha vagliato gli interventi per mesi coi sindacati, e ha affermato che la riforma si farà unicamente con la loro firma. In Italia, questi sono stati totalmente esclusi dalla riforma. Inoltre, con le recenti manifestazioni della Fiom, si denuncia una situazione in cui la contrattazione sindacale in Italia è in completo stallo.
Sulla riforma, poi, la Francia ha inserito anche punti a favore dei lavoratori, come la formazione continua. E il diritto alla “disconnessione”, per cui fuori dall’orario di lavoro i dipendenti possono rifiutarsi di rispondere a telefonate o email. In Italia, al contrario, si è permesso all’azienda il controllo a distanza dei propri dipendenti sui dispositivi elettronici. Il governo francese introduce, inoltre, un “conto personale di attività”, che permette a chi perde il lavoro di mantenere i diritti assistenziali, previdenziali e sanitari. Nel Jobs act italiano questo non c’è.
Anche se la ratio è simile – rendere i licenziamenti più facili e spostare l’equilibrio dei rapporti a favore dell’azienda – in Francia manca tutta la parte sul precariato. Già, perché in Italia il Jobs Act oltre a rendere più facili i licenziamenti cancellando l’articolo 18, ha anche liberalizzato i contratti a tempo estendendoli a 3 anni, e ha allargato erga omnes i voucher, in assoluto la forma più precaria di lavoro – poco più di un buono pasto – perché prescinde da ogni contratto. Di tutta questa parte sul precariato selvaggio, nella riforma francese, non c’è l’ombra.
LA PROTESTA CONTINUA E CRESCE. La protesta della “Nuit Debout” continua ancora oggi e i partecipanti aumentano, nonostante sui media se ne parli molto poco (sia per la difficoltà di seguire eventi in lingua francese, sia per un chiaro disinteresse di molti media ed establishment). Ci sono stati alcuni arresti per vandalismo e per gli scontri dei primi giorni – 130 persone fermate a Parigi – ma da allora la protesta continua pacifica.
È difficile per ora capire se la Nuit Debout potrà crescere ulteriormente, spegnersi col tempo, o dare vita ad un progetto politico come in Spagna con Podemos. Anche perché, per quanto nuovo, questo movimento parte anche da collettivi già noti di estrema sinistra, come “Convergence des luttes” del giornalista François Ruffin – autore del noto documentario contro il capitalismo “Merci Patron” – e dell’economista Frédéric Lordon.
I manifestanti hanno lanciato online una petizione che ha quasi raggiunto 100mila firme per poter tenere gli accampamenti a Place de la République, mentre si continua con le manifestazioni e si attende qualcosa di importante per il 1 maggio, festa dei lavoratori. Intanto, qualcosa i giovani l’hanno già ottenuta dal governo (la cui popolarità è in caduta libera). 500 milioni di euro per studenti e i giovani lavoratori. Poca cosa per fare la rivoluzione. Ma forse basterà per far passare la riforma del lavoro e i licenziamenti facili.
Fonte: fanpage.it
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