di Nicola Pedrazzi
In Austria il 24 aprile è stato il giorno di Norbert Hofer. Con il 36,40% dei consensi, l’outsider dell’Fpö, il partito di estrema destra che fu di Jörg Haider, è ora il favorito nella corsa alla Presidenza delle Repubblica. In vista del ballottaggio del 22 maggio, il Parlamento austriaco – dove, nonostante l’avanzamento elettorale delle destre, da dieci anni regge il patto d’acciaio tra socialisti e popolari a supporto di un governo di coalizione – ha varato lo scorso 27 aprile una legge anti-immigrazione che sembra preludere al definitivo cambio politico e culturale dell’Österreich.
Il testo approvato dal Consiglio nazionale – la camera elettiva in cui l’Fpö è ancora minoranza – restringe notevolmente i diritti dei rifugiati politici: riducendo la validità dell’asilo politico a tre anni e consentendo alle autorità di polizia di rifiutare direttamente al confine le richieste di asilo presentate dai migranti – attenzione: anche quando provenienti da zone di guerra (si legga: anche se siriani). Sempre secondo il testo, nel caso di aggravamento della crisi migratoria e di «messa in pericolo della sicurezza nazionale», al governo federale è conferito il potere di dichiarare lo «stato di emergenza» e la chiusura unilaterale di tutti i confini nazionali.
Come rilevato da diversi commentatori internazionali, in materia d’immigrazione e di diritto di asilo non esiste in nessuno Stato europeo una legge più restrittiva di questa. Approvato con 98 voti favorevoli e 67 contrari, il provvedimento ha incassato il consenso compatto dei partiti di governo ma non ha convinto i nazionalisti dell’Fpö, per i quali le misure della maggioranza rimangono troppo tiepide.
«Questi emendamenti sono un chiaro tentativo di tenere le persone fuori dall’Austria e dal suo sistema di asilo», ha dichiarato il direttore di Amnesty Europe Gauri van Gulik. Da Vienna ha replicato alle numerose obiezioni internazionali il ministro dell’Interno Wolfgang Sobotka, specificando che «l’Austria non aveva scelta: gli altri membri dell’Ue hanno fallito nel fare la loro parte. Non possiamo portare sulle nostre spalle il fardello del mondo». La stoccata, è evidente, è diretta a Roma. Dove proprio in queste ore Sobotka sta incontrando il suo omologo Angelino Alfano, nel tentativo di convincere il governo italiano della bontà della strategia del Brennero.
Nel 2015 l’Austria ha ricevuto 90.000 richieste d’asilo. Dal gennaio scorso il governo austriaco va ripetendo che in rapporto alla popolazione, si tratta della seconda accoglienza europea. In febbraio, ne avevamo scritto, fu proprio l’Austria a coordinare la chiusura della «rotta balcanica», la decisione da cui discende Idomeni. Risale ai primi di marzo l’idea di chiudere i confini con Ungheria e Slovenia; mentre solo qualche settimana fa sono cominciati i lavori al Brennero. Sebbene la polizia di frontiera austriaca abbia rassicurato circa il non utilizzo del filo spinato, una rete di due metri attraverserà i boschi del valico, mentre si fa più intensa la pressione di Vienna su Roma per il ripristino dei controlli di frontiera sui treni italiani.
L'escalation di questi mesi non si spiega senza la politica. L’impressione, netta, che si ricava d’oltralpe, è che in vista del voto presidenziale, il possibile sdoganamento istituzionale della destra nazionalista abbia spinto i partiti «storici» avversi all’Fpö a cercare di superare l’incubo: da destra. Così, nel tentativo estremo di recuperare i 16 punti percentuale che al momento separano Hofer dal «filantropo verde» Alexander Van der Bellen, la maggioranza approva leggi che paiono scritte dall’opposizione. Se, il 22 maggio, le urne confermeranno l’esito del 24 aprile, i socialisti e i popolari austriaci dovranno ammettere di aver abdicato a se stessi in virtù di una strategia politica fallimentare.
Questo articolo è stato pubblicato su riforma.it
Fonte: Rivista Il Mulino
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