di Grazia Francescato
Diciamolo subito: l'argomento, a prima vista, ha scarso sex-appeal. A cominciare dall'acronimo,decisamente ostico: TTIP ( Transatlantic Trade and Investment Partnership) ovvero il Trattato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti che USA e UE stanno negoziando dal 2013. Ma è imperativo che la pubblica opinione si familiarizzi al più presto con sigla e contenuti dell'accordo che, se portato a conclusione entro l'anno (come vorrebbe l'amministrazione Obama), avrà effetti pesanti sull'economia e sulla vita quotidiana dei cittadini europei e statunitensi.
Un'occasione per saperne di più è prossima: sabato 7 maggio la Campagna STOP TTIP, costituitasi nel febbraio 2014 per coordinare il vasto schieramento internazionale e nazionale che si oppone al Trattato, porterà in piazza a Roma il fronte del no, in una mobilitazione che dovrebbe emulare la grande manifestazione che si è svolta a Berlino nell'ottobre 2015.
Proprio a ridosso della seconda settimana di maggio in cui il Consiglio Europeo dovrà affrontare un importante round di discussioni sul TTIP e pochi giorni dopo il viaggio di Obama in Europa, durante il quale il presidente USA ha tentato, invero con scarso successo, di convincere i partners europei a concludere rapidamente il controverso negoziato.
Sulle perplessità europee tornerò più avanti ma, per capire a fondo la diatriba in atto sul TTIP, occorre un rapido 'ripasso' del medesimo. Il Trattato si pone infatti come obiettivo quello di facilitare l'integrazione tra mercati europei e statunitensi, riducendo i dazi doganali e abbattendo le barriere non tariffarie in una vasta gamma di settori.
Parola d'ordine, dunque: promuovere la libera circolazione delle merci, il flusso degli investimenti e l'accesso ai rispettivi ambiti dei servizi e degli appalti pubblici. Il risultato di questo processo sarebbe la più grande area di libero scambio al mondo, dato che USA e UE insieme valgono circa la metà del PIL mondiale e un terzo del commercio globale. Un blocco geopolitico difensivo/offensivo nei confronti dei paesi emergenti, come Cina, India e Brasile, che potrebbe creare un mercato interno tra noi e USA le cui regole, caratteristiche e priorità non sarebbero però determinate dai nostri governi o dalle istituzioni democratiche, ma modellate sulla base delle esigenze dei grandi gruppi economico-finanziari attraverso organismi tecnici sovranazionali.
E qui sta il baco che si annida nella lucida mela del TTIP. Prendiamo, a esempio, il meccanismo di protezione degli investimenti, ovvero ISDS (altro acronimo respingente che sta per Investor State Dispute Settlement) chiamato a governare le controversie tra stati ed investitori, che consentirebbe alle grandi imprese di trascinare in tribunale i governi qualora introducessero normative (es: a protezione del'ambiente o dei lavoratori) considerate lesive dei loro interessi.
I 'tribunali' preposti al giudizio non sarebbero però quelli 'normali', quelli, per intenderci, con la scritta 'La Legge è uguale per tutti' in bella evidenza. Sarebbero invece consessi di avvocati commerciali super specializzati che giudicherebbero soltanto in base ai trattati, si può immaginare con quale riguardo per le clausole di salvaguardia dell'ambiente, dei diritti dei consumatori e dei lavoratori.
Privatizzazione della giustizia, perdita di democrazia e partecipazione, rischi per i diritti di consumatori e lavoratori, la salute, l'ambiente: le vistose pecche dell'accordo in fieri hanno attirato sul TTIP, come si può immaginare, una pioggia di critiche firmate non solo da movimenti, comitati e organizzazioni di cittadini, ma anche da economisti di rango (uno per tutti: Joseph Stiglitz) convinti che il TTIP potrebbe ridurre la tutela dei consumatori e le garanzie per i cittadini, portando inoltre ad un calo dei salari e ad un aumento della disoccupazione e della disgregazione sociale in Europa.
Un recente rapporto pubblicato in 17 paesi, "Contadini europei in svendita - I rischi del TTIP per l'agricoltura", redatto da Friends of the Earth Europe in collaborazione con l'associazione Fairwatch, indica che aumenterebbero le importazioni USA, con vantaggi per le grandi imprese statunitensi sino a 4 miliardi di euro, mentre i benefici per gli europei sarebbero ridotti riservati a pochissimi produttori UE. Non basta: il contributo dell'agricoltura al PIL europeo potrebbe diminuire dello 0,8% mentre quello USA aumenterebbe dell'1,9%. In sostanza, secondo il rapporto, il TTIP sarebbe una minaccia per le piccole e medie aziende agricole di tutta Europa e per gli interessi dei consumatori. Non a caso, il 7 maggio in piazza a Roma ci saranno anche agricoltori e produttori, che daranno vita a un Free TTIP Market, dove sarà possibile assaggiare i prodotti tipici del nostro paese e avere informazioni sui rischi del Trattato.
Ma gli oppositori del TTIP non si limitano alle proteste: indicano anche le alternative, in primis il rafforzamento dei mercati locali attraverso programmazioni regionali e territoriali attente ad un uso sostenibile delle risorse naturali, agli impatti sociali ed ambientali, alla partecipazione democratica.
Insomma, alla costruzione di una diversa economia e di 'un altro mondo possibile', sino a ieri considerate ingenue utopie di ecologisti sognatori e affini.
Ma alcune denunce del fronte del No cominciano a far breccia anche ai piani alti della politica; vari paesi europei, Italia e Francia in testa, sia pure dichiarandosi favorevoli all'accordo, cominciano a frenare,chiedendo condizioni di reciprocità, trasparenza, reale libero accesso al mercato Usa e garanzie su questioni delicate come la sicurezza alimentare e la tutela dei prodotti tipici (basti pensare che attualmente sul mercato USA nove prodotti su dieci spacciati per italiani in realtà non lo sono). Dunque, i molti dossier ancora aperti e l'opposizione di strati sempre più vasti dell'opinione pubblica, di categorie interessate, di rappresentanze sindacali e politiche fanno ritenere che la firma dell'accordo sia ancora lontana.
Il 7 maggio,invece, è vicino e l'opportunità di saperne di più, ascoltando le ragioni della piazza STOP TTIP, è alla portata di tutti.
Fonte: Huffington post - blog dell'Autore
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