La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 4 giugno 2016

Banche e grande industria: i veri autori della riforma costituzionale?

di Federico Musso
Sembra che il referendum di ottobre sia un plebiscito sull’operato di Renzi; invece si tratta di un voto per definire il futuro della nazione italiana. Il primo problema di questo equivoco è la scarsa conoscenza del contenuto della riforma costituzionale e, ancora di più, di chi si è mosso in anticipo per cambiare la Costituzione. Il punto preferito dai sostenitori è la maggiore governabilità e la conseguente maggior velocità nell’esprimere riforme (o contro-riforme, forse?). Infatti, il cuore della legge è l’eliminazione del Senato elettivo che verrà rimpiazzato con una camera formata da sindaci e consiglieri regionali che non potrà né votare la fiducia al Governo né esprimersi sulla maggior parte delle leggi ordinarie. Inoltre, il Governo travalicherà le sue prerogative esecutive, invadendo il campo del potere legislativo (destinato al Parlamento) con una via prioritaria di deposito e di votazione delle proposte di leggi.
Tutto questo è combinato con l’Italicum, la nuova legge elettorale che si applicherà alla sola Camera dei Deputati che dà un premio di maggioranza pari al 54% dei seggi del parlamento al partito più votato.
Questo piace agli industriali italiani che, nel comunicato di inizio mandato del neo-presidente di Confindustria, plaudono alla riforma Boschi-Renzi e annunciano il loro voto favorevole ad ottobre. “Non può esistere un capitalismo moderno senza una democrazia e istituzioni moderne” ha affermato Vincenzo Boccia all’assemblea del sindacato degli industriali per “liberare il Paese dai veti delle minoranze e dai particolarismi, che hanno contribuito a soffocarlo nell’immobilismo.” Molto probabilmente le minoranze che nomina la Confindustria sono coloro che ancora difendono i diritti dei lavoratori, per esempio. Con questo comunicato hanno dichiarato esplicitamente che la possibilità di accelerare l’emanazione di leggi nello stile del “Jobs Act” fa gola ai grandi industriali. Anche altre grosse aziende sostengono questa riforma. Ad esempio la Generali Investment Europe, la società di gestione del risparmio affiliata al gruppo Generali, ha emesso un documento in occasione dell’approvazione in seconda lettura della legge in cui sostiene che: “Una più rapida procedura per approvare le leggi, in particolare quelle proposte del Governo, supererà uno dei problemi chiave del potere legislativo italiano, che è estremamente lento nell’emanare leggi.” Siccome l’agenda del governo attuale è largamente spostata a favore di multinazionali e banche (la legge sul bail-in ti dice qualcosa?), dare priorità ai disegni legislativi dell’esecutivo è benvenuto da chi è favorito dalla maggior parte di queste leggi. Ma si chieda ai risparmiatori della Banca Etruria se anche loro sono d’accordo con le leggi proposte da Renzi …
Inoltre, come indicato dalla Commissione Europea nel suo rapporto sull’implementazione delle direttive di maggio 2015, “le riforme istituzionali che il Governo ha inaugurato […] con l’approvazione del disegno di legge sulla legge elettorale” sono “una condizione necessaria per assicurare una struttura certa e stabile che è essenziale per attrarre investimenti stranieri.” Come scritto nelle righe successive, la Commissione Europea include la riforma costituzionale come “parte integrante” dei cambiamenti utili a raggiungere lo scopo.
Lo scenario appare ancora più inquietante se si confrontano queste dichiarazioni e il contenuto della Legge Boschi-Renzi con il documento “The journey of national political reform” della banca JP Morgan uscito nel 2013. In esso si trovano le ricette con cui, secondo il colosso finanziario, è possibile “aiutare” i paesi del Sud Europa in difficoltà economica. Un consiglio riguarda anche le nostre costituzioni che, per JP Morgan, mostrano “una forte influenza socialista” poiché contemplano “esecutivi deboli, stati centrali deboli rispetto alle regioni, protezione costituzionale dei diritti dei lavoratori, […] e il diritto di protestare se sono fatti cambiamenti non benvenuti allo status quo politico.” Tuttavia, la proposta del governo Renzi potrebbe non rispecchiare le linee guida fornite da JP Morgan ed essere diversa da come la vorrebbe la finanza. A rispondere al dubbio è lo stesso documento in cui si dichiara che in Italia: “il nuovo Governo chiaramente ha un’opportunità per intraprendere significative riforme politiche.”
Ancora più significative, forse, sono le parole del premier Renzi che ha espresso durante lapresentazione del suo programma di fronte al Council on Foreign Relations (CFR), un think tank espressione della finanza e del potere economico statunitense (fondato da David Rockfeller, il magnate del petrolio e della finanza). Intervistato da Ruth Porat, dirigente di Morgan Stanley e membro del consiglio di direzione del CFR, Matteo Renzi ha dichiarato che: “Ridurre il numero e il potere delle istituzioni politiche è la nostra priorità.”
Dare troppo potere ai Parlamenti e al popolo è segno di debolezza e di ingovernabilità, per l’Unione Europea e per i mercati, ma è questa la politica che vogliamo: serva e subordinata ai poteri economici?
Il referendum di ottobre è l’occasione per frenare la modifica in senso antidemocratico della nostra legge fondamentale, insieme alla possibilità di firmare entro il 20 Giugno i quesiti per chiedere un referendum contro la nuova legge elettorale.

Fonte: testelibere.it

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