La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 4 giugno 2016

Sul territorio come soggetto corale

di Giancarlo Consonni
Argomentante: la messa a punto degli obiettivi passa da una disamina rigorosa delle potenzialità e dei vincoli, senza mai perdere di vista i rapporti che intercorrono tra mezzi e fini. Dialogico: ogni proposizione è avanzata come perfettibile puntando a costituire un terreno condiviso su cui chiamare gli apporti disciplinari a un impegno civile. Ne viene una ridefinizione dell'interdisciplinarietà come ambito del mutuo interpellarsi, necessario per l'avanzamento dei singoli apporti quanto della conoscenza nel suo insieme. Sincretico: si pratica un'apertura sorvegliata a tutto ciò che, nella cultura e nella prassi, va in direzione del miglioramento della civile convivenza. Operante: si lavora alla costruzione di una rete virtuosa dove i saperi contestuali e il saper fare possano produrre effetti sinergici nella valorizzazione dei contesti.
Questi i tratti distintivi del volume [G. Becattini, La coscienza dei luoghi. Il territorio come soggetto corale, con una presentazione di Alberto Magnaghi e un 'Dialogo tra un economista e un urbanista' di G. Becattini e A. Magnaghi, Donzelli, Roma 2015], tanto nella prima parte, in cui sono raccolti alcuni scritti di Giacomo Becattini sul tema dei distretti industriali, quanto nella seconda, che restituisce il lungo dialogo intercorso tra lo stesso Becattini e Alberto Magnaghi. Nel dialogo si avverte la tensione a riconoscere e assecondare ciò che, per dirlo con parole di Carlo Cattaneo, ha "radice nella terra e negli uomini" (1). Becattini e Magnaghi sono accumunati dalla consapevolezza che nella vicenda dei distretti industriali, e in generale dei territori capaci di coniugare passato e futuro, storia e progetto, operano un patrimonio culturale e risorse contestuali di lunga formazione, tenacemente persistenti perché capaci di autorinnovarsi. Li muove la stessa tensione ideale che ha portato Luigino Bruni e Stefano Zamagni (2) a interessarsi dieconomia civile, indagandone origini (3) e sviluppi. L'ancoraggio agli interessi civili ha contraddistinto la ricerca in ambito economico fino alla metà dell'Ottocento; ma, alla fine, pur con qualche parentesi, nelle discipline economiche ha prevalso il paradigma liberistico che, mentre ratificava i rapporti di forza reali, ha potuto ammantare di oggettività la tesi secondo cui il perseguimento degli interessi individuali coincide con l'interesse collettivo. Contro questa egemonia, Bruni e Zamagni hanno riportato l'attenzione sui contributi che negli ultimi due secoli hanno saputo andare controcorrente, mostrandone l'intelligenza strategica.
Una particolare attenzione merita la fase storica in cui il modo di produzione capitalistico, nel suo affermarsi, ha potuto presentarsi nelle vesti di liberatore dai vincoli feudali che imbrigliavano l'Antico Regime, infondendo alla nuova era il marchio distintivo della libertà. Ma nella triade liberté égalité fraternité il primo principio ha ben presto avuto la meglio sugli altri due, con sviluppi in cui la libertà di fare è andata di pari passo con la libertà da ogni vincolo, a cominciare da quelli sociali. Il connubio tra la libertà economica e un'innovazione tecnologica senza precedenti produceva una rottura profonda. Alexis de Tocqueville, in uno dei passi fulminanti de La democrazia in America, con riferimento alla realtà statunitense, restituiva in presa diretta il brusco cambiamento: "[…] la trama del tempo si spezza ogni momento e la traccia delle generazioni scompare" (4). Il Nuovo Mondo indicava la strada su cui più lentamente, ma senza arretramenti, anche il Vecchio Mondo si sarebbe incamminato: una libertà incondizionata per le intraprese economiche che, intrecciata a uno sviluppo tecnologico dirompente, si è via via fatta spirito del tempo, penetrando nella sensibilità e nei comportamenti. Lo testimonia la percezione, per un verso, dello spazio e del tempo come "voragini dell'umana forza" (5) e, per altro verso, della città storica come "cappa di pietra": definizioni da cui traspaiono aspetti dell'inquietudine che percorre la modernità e che sono tanto più pregnanti in quanto provengono, la prima, da un profondo conoscitore dei processi di civilizzazione come Carlo Cattaneo, la seconda, da un urbanista come Ildefons Cerdá, capace di interrogare la storia per trarne insegnamenti per il progetto urbano. La frattura storica andava a incidere su due aspetti strettamente interconnessi: la cura dei luoghi del vivere e il rapporto fra le generazioni. Veniva infatti avviato lo scioglimento sia del vincolo comunitario sia del patto non scritto fra le generazioni, che aveva due punti forza: 1) la difesa attiva del potenziale biologico e della capacità nutritiva della terra; 2) la difesa dell'abitabilità dei contesti territoriali e il rinnovamento delle qualità relazionali degli insediamenti al servizio di una idea alta di convivenza civile. Su questa strada, il mondo si è venuto ridefinendo in due sfere relazionali: l'una sempre più pervasivamente disegnata dal mercato; l'altra conformata dal colere, l'avere cura, dove sono di casa la responsabilità, il dono, i rapporti di reciprocità. Mentre la prima sfera è stata teatro di una feroce scomposizione e ricomposizione dei fattori della produzione (con la proprietà privata sganciata dagli interessi collettivi e dai territori, tanto da farsi attrice di un sovvertimento dei legami costitutivi dei contesti), la seconda sfera ha continuato, per quanto ha potuto, a svolgere una funzione di presidio/custodia delle energie e dei mondi vitali. Ma tra le due sfere intercorrono legami e interdipendenze. In primo luogo perché l'economia di mercato e il mondo da essa disegnato non si reggerebbero senza l'altra sfera (da cui la parzialità, quando non la falsità, dei bilanci economici). In secondo luogo perché si danno anche forme di ibridazione tra le due sfere, dove tutto ciò che concorre a definire quello che Carlo Cattaneo chiamava l'"intimo vincolo morale" (6) dei territori ha svolto, e ancora svolge, una funzione non secondaria nel promuovere sistemi economici locali capaci di stare sul mercato globale. Una qualche forma di ibridazione fra le due sfere caratterizza i distretti industriali su cui molto ha detto Becattini (che nell'uso del termine intimo, inusuale nelle scienze economiche, è, credo, debitore a Cattaneo). Pur in presenza di una forte caratterizzazione individualistica del capitalismo familiare, in quei contesti un vincolo - ci ricorda Becattini - è rintracciabile nell'orgoglio di appartenenza e nella solidarietà generata dall'attenzione che i singoli attori pongono alla reputazione del contesto territoriale in cui operano. Comportamenti che, per certi versi, ricordano manifestazioni diffuse nelle città medioevali italiane, che Jacques Le Goff ha classificato come forme di "narcisismo urbano" (7): dove il fare a gara tra città, ma anche tra corporazioni e quartieri di una stessa città, si rovesciava in fattore di coesione e di promozione della qualità dell'ambiente costruito, dando tra i suoi esiti mirabili le città come opere d'arte. Allo stesso tempo Magnaghi e Becattini, consapevoli, ciascuno a suo modo, che nella vicenda dei distretti industriali un punto fortemente critico è la scarsa attenzione all'ambiente e agli equilibri ecologici, indicano proprio in questi temi la sfida che la cultura imprenditoriale espressa dai territori è chiamata a raccogliere. Più in ombra, nel loro dialogo, rimane invece la questione dell'organizzazione degli insediamenti e della forza significante inscritta negli assetti materiali dell'habitat.
Il libro offre anche lo spunto per una riconsiderazione della nozione di bene comune; tema che si è prepotentemente affermato in anni recenti nell'asfittico panorama delle discipline che si occupano di territorio - con qualche incursione anche negli ambiti del diritto e della sociologia -, ma che, nei modi con cui è stato affrontato, vede il prevalere di un'impostazione rivolta ai beni fisici e a un'idea riduttiva di patrimonio. Da tempo infatti il termine è venuto assumendo un significato filtrato dall'ottica proprietaria, mentre andrebbe riportato in auge il significato originario: patris munus, dove munus significa siaregalo che dovere; e dove dunque ha grande peso il legame tra le generazioni. Se guardiamo a quei beni comuni che vanno sotto il nome di potenziale nutritivo della terra, equilibri ecologici, biodiversità, paesaggi, città, ci rendiamo conto che focalizzare l'attenzione sul bene in sé, trascurando tutto ciò che gli dà vita e ne consente la rigenerazione (compreso il rinnovarsi del senso delle cose) è operazione di corto respiro, destinata al fallimento. Civitas e urbs, popolazione e territorio, consorzio umano e ambiente, artificio e natura sono intimamente interdipendenti e l'attenzione va estesa dal bene in sé a tutto ciò che concorre a quell'interdipendenza. E questo con la consapevolezza che i saperi e le pratiche che hanno operato virtuosamente all'interno di quei legami, sono leggibili nella cultura materiale, prima ancora che sui libri. Avere cura dei luoghi non significa affatto sposare una logica localistica, di chiusura nelle piccole patrie. Dalle aperture e dagli scambi con altre culture possono venire apporti preziosi e rinunciarvi porterebbe inevitabilmente all'autoemarginazione dei territori e alla loro asfissia; allo stesso tempo occorre però combattere contro il fronte avanzante dell'atopia. Si deve cercare di essere contemporaneamente cittadini del mondo e cittadini di luoghi determinati, di cui prendersi cura difendendone le risorse vitali e le qualità relazionali (ospitalità, sicurezza, fecondità culturale). Per questo occorre trovare caso per caso una nuova sintesi. Su questo insieme di questioni il libro sa trovare la giusta misura con contributi apprezzabili.
Il frantumarsi del mondo e dei mondi sono andati di pari passo con il frantumarsi della conoscenza in discipline autoreferenziali. Inseguendo un modello astratto di scientificità, le discipline si sono allontanate dalla questione dei valori, ritenuta un terreno insidioso: preludio all'antiscientificità e facile preda dell'ideologia. Si è preferito il paradigma di una fredda, scheletrita "scientificità" a una pratica della conoscenza argomentante, dialogica, sincretica e operante (per riprendere quanto dicevo all'inizio): capace, per queste strade scomode, di fornire elementi per la rifondazione di un sapere civile in grado di interloquire, senza sudditanze, con la politica. Si ponga a confronto la riduzione che la scienza della localizzazione delle attività economiche ha operato e opera nei confronti delle realtà territoriali con la ricchezza delle pratiche e dell'humus culturale (in senso lato) che, ancorché in ritirata, fungono da argine nella difesa delle risorse ambientali di un territorio. L'argomento è ignorato nelle politiche e nei bilanci aziendali (Adriano Olivetti è una delle poche eccezioni che conferma la regola): per l'economia aziendale - ma il quadro non cambia con i bilanci pubblici - quelle risorse sono tutt'al più delle "economie esterne" da sfruttare senza porsi più di tanto il problema di come assicurarne la riproduzione. Ponendo la questione dei territori come soggetti imprenditoriali complessi, Becattini nel dicembre 2011 affermava: "bisogna allora sollecitare la classe politica ad adottare misure specifiche per aiutare i nostri distretti a fare la loro parte nel guado che stiamo attraversando"; allo stesso tempo, indicava la necessità di "abbordare questo problema come l'intersezione cruciale della politica industriale in senso stretto con la politica urbana e regionale, cioè dell'assetto civile, urbano e suburbano, di numerose aree del territorio italiano" (8). A sua volta, nel VI Dialogo (Il dilemma sul futuro del mondo), Magnaghi propone una strada "alla ricerca della via dell'equilibrio: un caleidoscopio di luoghi federati (da Cattaneo, passando per Silvio Trentin - 'il federalismo come struttura per partecipare' -, al federalismo municipale solidale)" (9). È una proposta di grande interesse: una via difficile, ma che, se praticata con intelligenza corale, può far aderire la struttura dello Stato al quadro delle realtà territoriali da cui può provenire un contributo fondamentale per la tenuta dell'Italia di fronte alla globalizzazione. Sulle questioni che investono la struttura e le articolazioni dello Stato, le risposte date dalla politica vanno in senso opposto a quelle indicate da Becattini e da Magnaghi. Intanto si è assistito a un'involuzione dell'istituto regionale: le regioni sono divenute il terreno per l'affermarsi di un nuovo centralismo, sordo alle specificità dei territori, incapace di riconoscerne e sostenerne le energie vitali. Ma il quadro è ulteriormente peggiorato dalla legge 7 aprile 2014, n. 56, Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni (la cosiddetta Legge Delrio) con cui si apre la strada a un centralismo nella sfera degli Enti locali che fa impallidire quello praticato dal fascismo (con gli accorpamenti dei comuni limitrofi ai maggiori comuni capoluogo). 
Franco Montanari, nel suo Vocabolario della lingua greca (10) dà per incerto il legame fra χωρα (tratto di terra, regione) e χορòσ (danza, ma anche luogo della danza, canto corale) - da cui corografia (descrizione di un territorio) e coreografia (composizione di un balletto) -; ma nel sottotitolo Il territorio come soggetto corale, e in molte pagine, il volume di Becattini e Magnaghi, a suo modo, afferma l'esistenza di quel legame, riconoscendone le radici nella storia e nella geografia umana. Per certi versi i distretti industriali, e ancor più i contesti in cui una nuova imprenditorialità negli anni recenti si è fatta carico dei valori culturali e ambientali di un territorio (a cui Magnaghi guarda con giusta attenzione), costituiscono la rivincita della geografia e della storia (campi della conoscenza che la politica tende a mettere ai margini del sistema dell'istruzione, dove è penetrato un concetto di produttività e di redditività di stampo aziendalistico). In ambito universitario, poi, lo spostarsi del baricentro degli interessi scientifici in fatto di territorio e città sullagovernance ha distolto l'attenzione dalle trasformazioni in atto: si privilegiano apporti da "consiglieri del Principe" - un Principe peraltro per niente illuminato - rispetto allo studio degli sconvolgimenti estesi quanto radicali che hanno investito i modi di vivere e le relazioni, l'ambiente naturale non meno dei quadri insediativi. Da qui un deficit nella capacità di interpretare gli esiti materiali del mutamento profondo che investe i quadri di vita. A parte rare eccezioni, si avverte la mancanza di un sapere antropologico capace di far luce sull'immagine e l'idea di essere umano e di società inscritta nella peculiare cultura materiale del mondo contemporaneo. In più, la riduzione delle discipline a tecniche al servizio della politica mortifica la dialettica fra politica e cultura che, in alcuni momenti del passato, ha caratterizzato l'università. Il risultato è un impoverimento su entrambi i fronti (politica e cultura) e il disimpegno civile di molti di coloro che, grazie a un investimento pubblico, hanno la fortuna di poter fare ricerca. Qui sta una delle lezioni del libro: la messa a punto degli obiettivi non può essere monopolio esclusivo della politica: ricerca e politica hanno specifiche responsabilità nel perseguimento di un'equilibrata e feconda convivenza civile. 

Note al testo

(1) Carlo Cattaneo, Ricerche sul progetto di una strada di ferro da Milano a Venezia, in "Annali Universali di Statistica", vol. XLVIII, n. 144, giugno 1836, p. 287.
(2) Luigino Bruni, Stefano Zamagni, Economia civile. Efficienza, equità, felicità pubblica, Il Mulino, Bologna 2004.
(3) La locuzione è stata coniata da Antonio Genovesi, allievo di Giambattista Vico (a cui si deve, tra l'altro, quella di bellezza civile).
(4) Alexis de Tocqueville, De la démocratie en Amérique, Gosselin, Paris 1835 (I tome), 1840 (II tome), trad. it. La democrazia in America, a cura di Giorgio Candeloro, vol. II, Fabbri, Milano 1998, p. 494.
(5) Cattaneo, cit., p. 284. 
(6) Ivi, p. 286.
(7) Jacques Le Goff, L'immaginario urbano nell'Italia medioevale (secoli V-XV), in Storia d'Italia, Annali 5, Il paesaggio, a cura di Cesare De Seta, Einaudi, Torino 1982, p. 39.
(8) G. Becattini, La crescita riparta dai distretti, in "Il Sole 24 Ore", 29 dicembre 2011, ora anche in Id., La coscienza dei luoghi. Il territorio come soggetto corale, Donzelli, Roma 2015, pp. 21 e 22.
(9) Coscienza di classe e coscienza di luogo. Dialogo tra un economista e un urbanista di Giacomo Becattini e Alberto Magnaghi, in Becattini, La coscienza cit., p. 206.
(10) Franco Montanari, Vocabolario della lingua greca, Loescher, Torino 1995.

NdC - Giancarlo Consonni è professore emerito di Urbanistica al Politecnico di Milano. Dirige con altri l'Archivio Piero Bottoni che ha contribuito a fondare. La sua ricerca riguarda: 
1) i processi di formazione della metropoli contemporanea. Su questo tema, vedi tra gli altri: (con G. Tonon), Alle origini della metropoli contemporanea, in Aa.Vv., Lombardia. Il territorio, l'ambiente, il paesaggio, vol. IV, a cura di C. Pirovano, Electa, Milano 1984, pp. 89-164; Dalla città alla metropoli. La classe invisibile, in Aa.Vv., Milano operaia dall'800 ad oggi,Laterza, Roma-Bari, 1993, pp. 19-36; (con G. Tonon), La terra degli ossimori. Caratteri del territorio e del paesaggio della Lombardia contemporanea, in Aa.Vv., Storia d'Italia. Le regioni dall'Unità a oggi. La Lombardia, a cura di D. Bigazzi e M. Meriggi, Einaudi, Torino 2001, pp. 51-187. 
2) il progetto moderno e il contributo della cultura architettonico-urbanistica. Su questo tema, vedi tra gli altri: (con L. Meneghetti e G. Tonon, a cura di) Piero Bottoni. Opera completa, Milano, Fabbri 1990; Piero Bottoni a Bologna e a Imola.Casa, città, monumento, Ronca, Cremona, 2003; (con G. Tonon) Terragni inedito, Ronca, Cremona 2006; (con G. Tonon,Piero Bottoni, Electa, Milano 2010. 
3) i caratteri della spazialità in una prospettiva storico-antropologica. Su questo tema, vedi tra gli altri: Teatro, corpo, architettura (cura e introduzione), Laterza, Roma-Bari 1998; Le Annunciazioni e il senso dell'architettura, in Aa.Vv., Tempo forma immagine dell'architettura, a cura di G. M. Massari, Officina, Roma 2010, pp. 41-66.
4) la rifondazione delle linee teoriche e pratiche del progetto urbano e di paesaggio. Su questo tema, vedi tra gli altri: L'internità dell'esterno. Scritti su l'abitare e il costruire, Clup, Milano 1989; Addomesticare la città, Tranchida, Milano 1994; Dalla radura alla rete. Inutilità e necessità della città, Unicopli, Milano 2000; La difficile arte. Fare città nell'era della metropoli, Maggioli, Santarcangelo di Romagna 2008; (a cura di) L'urbanità come risorsa, Mimesis, Sesto S. Giovanni 2010; La bellezza civile. Splendore e crisi della città, Maggioli Santarcangelo di Romagna 2013; Urbanità e bellezza. Una crisi di civiltà, Solfanelli, Chieti (in corso di stampa).
Ha pubblicato varie raccolte di poesie sia nel dialetto di Verderio - tra cui Viridarium (Scheiwiller 1987) e Vûs (Einaudi 1997) - sia in italiano: In breve volo (Scheiwiller 1994), Luì (Einaudi 2003), Filovia (Einaudi 2016).

Fonte: casadellacultura.it 

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