di Alberto Negri
Alla cancelliera Angela Merkel sarebbe bastata una Turchia presentabile, da tenere nella sala d’attesa dell’Europa, utile per essere un partner affidabile nella gestione di un paio di milioni di profughi e come alleato nel marasma mediorientale. L’obiettivo forse è destinato a fallire, anche se non è detto che la crisi tra Berlino e Ankara, dopo il riconoscimento del genocidio degli armeni, significhi immediatamente il naufragio dell’accordo sui profughi. Probabilmente si apriranno nuovi contenziosi con Bruxelles. Certo questa intesa, criticata per le sue ambiguità, ondeggia a ogni folata di vento, come il recente siluramento dell’ex premier Davutoglu, e per un semplice motivo: a differenza dei suoi predecessori Erdogan non guarda all’Europa come a una meta da raggiungere.
Erdogan considera l’Unione non un approdo ma soltanto una sponda per suoi progetti politici. È stato lui stesso qualche giorno fa a proclamarlo davanti a un milione di persone a Istanbul, circondato da bandiere ottomane e comparse vestite da giannizzeri che marciavano al passo dell’oca: «Per capire questa città non si deve guardare all’Europa ma alla Mecca, alla Medina, ad Al Qods (Gerusalemme)». Non solo deve essere seppellito il passato romano e bizantino di Costantinopoli ma Erdogan ha indicato una geopolitica completamente diversa, difficilmente compatibile con l’Unione europea e forse anche con la stessa Nato. Ogni occasione diventa un’opportunità da strumentalizzare in chiave islamica e soprattutto iper-nazionalista per dimostrare l’urgenza dei suoi progetti politici: varare una costituzione sul modello presidenziale e far fuori i curdi in Parlamento, ritenuti un vulnus alla compattezza dell’ideologia panturchista.
La crisi con Berlino per il voto del Bundestag sul genocidio armeno verrà enfatizzata con il richiamo dell’ambasciatore in Germania, come era già avvenuto l’anno scorso con il Vaticano e l’Austria sempre per lo stesso motivo in occasione del centenario del massacro degli armeni del 1915. Allora Papa Bergoglio aveva definito l’uccisione di 1,5 milioni di armeni «il primo genocidio del ventesimo secolo» ed Erdogan aveva accusato il pontefice di dire «stupidaggini». Questa volta le reazioni sono ancora più forti.
La signora Mekel si accorge, giorno dopo giorno, che la sua amicizia con Erdogan è disseminata di ostacoli. In primo luogo per i ripetuti attacchi del “sultano” alla democrazia, ai principi di separazione dei poteri, allo stato di diritto, alla libertà di espressione: la stessa Merkel ha protestato per la cancellazione dell’immunità parlamentare destinata a espellere soprattutto i deputati curdi. Dopo che le era stato rimproverato di sacrificare i valori europei sull’altare dell’accordo con Ankara, questa crisi dovrebbe aprire un nuovo capitolo anche per l’Unione: non più quello della “realpolitik” - chiudere un occhio sull’autoritarismo di Erdogan pur di frenare profughi - ma del “principio di realtà”, cioè prendere atto che la Turchia di oggi è un partner forse ineludibile ma ad alto rischio politico.
Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore
Fonte: pagina Facebook dell'Autore
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