di Maurizio Pagliassotti
Gastroenterologi, oftalmologi, docenti di università on line, scrittori specializzati in letteratura post-adolescenziale, direttori di tourism management, emeriti di elettrotecnica, emeriti di comunicazione elettrica, microbiologi, giornalisti e altri: hanno firmano per un “pacato sì” alla riforma Costituzionale. “Gli scienziati con noi, non si torna alla palude” ha tuonato il presidente del consiglio Matteo Renzi. In parte ha ragione, perché la maggior parte di questi uomini e donne studia e lavora (o piuttosto studiava e lavorava, considerando che moltissimi tra loro sono in quiescenza, pensionati, insomma) nel campo delle scienze dure. Come nel caso della precedente lista dei “duecento costituzionalisti per il Sì”, probabilmente si è raccolto ciò che passa il convento: anche tra costoro ecco docenti di scienza delle finanze, diritto commerciale, sociologi, economisti, sicuramente esperti nei loro campi, ma definirli costituzionalisti appare a dir poco fuorviante.
O sarebbe meglio parlare di aspiranti costituzionalisti che hanno firmato un testo dove si può leggere: “Il testo modifica molti articoli della Costituzione, ma non la stravolge. Riflette anzi una continuità con le più accorte proposte di riforma in discussione da decenni e, nel caso del Senato, col modello originario dei Costituenti e poi abbandonato a favore del bicameralismo paritario impostosi per ragioni prudenziali dopo lo scoppio della Guerra fredda.” È persino umiliante dover ricordare a siffatti “costituzionalisti”, con doverosa deferenza, che il bicameralismo fu voluto non a causa della guerra fredda, al di là da venire, ma perché si usciva dal fascismo. E si voleva creare un recinto di regole che impedisse il ripetersi di pulsioni autoritarie.
O sarebbe meglio parlare di aspiranti costituzionalisti che hanno firmato un testo dove si può leggere: “Il testo modifica molti articoli della Costituzione, ma non la stravolge. Riflette anzi una continuità con le più accorte proposte di riforma in discussione da decenni e, nel caso del Senato, col modello originario dei Costituenti e poi abbandonato a favore del bicameralismo paritario impostosi per ragioni prudenziali dopo lo scoppio della Guerra fredda.” È persino umiliante dover ricordare a siffatti “costituzionalisti”, con doverosa deferenza, che il bicameralismo fu voluto non a causa della guerra fredda, al di là da venire, ma perché si usciva dal fascismo. E si voleva creare un recinto di regole che impedisse il ripetersi di pulsioni autoritarie.
E così anche la seconda duecentata di Renzi cade nella stessa trappola dell’insicurezza dimensionale. Le raccolte firme devono essere estese, devono far impressione: tanti nomi, tanti titoli, buon peso. Non importa se si infarcisce una lista di “scienziati” con giornalisti, di modestissimo nome, registi fuori mercato, scrittorucoli. Suona bene il numero, roboante, tonante: duecento, duecentocinquanta. Il bisogno di imbottire i vuoti culturali, di avere quel millimetro di carta riempita d’inchiostro in più, diviene così vagamente goffo. Una mania di potenza, in piena linea con la filosofia soggiacente al nuovo impianto costituzionale.
Ma come sempre accade questa volontà di potenza esibita nasconde un’insicurezza di fondo. E dire che tra i duecentocinquanta “scienziati” per il Sì vi è anche un esimio psichiatra, noto ospite televisivo di Bruno Vespa, che queste dinamiche dovrebbe conoscerle bene: Paolo Crepet. C’è addirittura Umberto Galimberti. Così ecco che il Sì tout court non basta – seppur firmato da duecentocinquanta - e necessita di una aggettivazione: “pacato”, l’aggettivo qualificativo preferito da Walter Veltroni. Con moderazione, quindi. La pacatezza serve per non dividere il paese, dicono. Non vi arrabbiate, noi siamo pacati, riconosciamo anche che ci sono ragioni dall’altra parte.
Il testo dell’Appello appare una miscellanea di bontà e invito al confronto, tutto affogato in un’inesauribile speranza che tutto vada per il meglio e tutti siano contenti alla fine: come nelle favole. Si apre, l’appello degli scienziati, con una frase un po’ stravagante, se si pensa che è firmato da gastroenterologi, oftalmologi, astronauti e scrittori: “"Il nostro rispetto per i giuristi e i costituzionalisti nostri colleghi che hanno spiegato le ragioni del loro No.” Ma come “colleghi costituzionalisti”? In che senso? Nessuno fino ad ora sapeva che la qualifica di costituzionalista rientrasse dentro un recinto capiente al punto di far convivere in serenità anche docenti di marketing e linguistica generale, di economia aziendale e disegno, psicoanalisi e scienza delle costruzioni…, e così via.
Dopo scatta la fase mimetismo: siamo uguali, siamo dalla stessa parte, pacatamente: “I loro [chi ha firmato per il No, ndr] sono gli stessi principi e istituzioni democratiche che noi intendiamo difendere e promuovere col nostro Sì. Quindi non agitiamoci, non litighiamo. Il cammino è diverso, ma l’obiettivo è comune.
Si chiude con l’appello al voto favorevole: “Infatti, alla pari dei altri colleghi che hanno già argomentato, nei giorni scorsi, il loro giudizio positivo sulla riforma, abbiamo maturato la scelta di votare Sì alla consultazione referendaria, perché siamo convinti, che proprio gli interventi introdotti dalla riforma – soprattutto quelli volti a sveltire il processo legislativo e a dare una rappresentanza più effettiva alle autonomie locali – possano rafforzare la Costituzione e contribuire a ricentrare sulla Costituzione il futuro politico del Paese".
Torna la parola “colleghi”: già, perché in Italia siamo tutti commissari tecnici della Nazionale di calcio e da qualche mese, grande novità, siamo anche tutti costituzionalisti.
Fonte: MicroMega online - blog di Angelo d'Orsi
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