La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 4 giugno 2016

Legge sul Lavoro e convergenza delle lotte: un malinteso?

di Temps critiques
Il progetto di legge El Khomri, così come il progetto di riforma del codice del lavoro di Badinter, possono essere compresi solo nella prospettiva più ampia di una dinamica del capitale che non si basa più, principalmente, sulla forza lavoro vivente, in quanto questa è diventata inessenziale nel processo di valorizzazione. Tutto ciò non parla di fine del lavoro bensì di crisi del lavoro, dove oggi la questione del posto di lavoro e della disoccupazione sostituisce la critica del lavoro portata avanti dai movimenti proletari negli anni 1967-1975. Questi progetti di riforma non sono affatto dei tentativi di tornare alle condizioni del 19° secolo, come a volte si è sentito dire durante le manifestazioni, ma corrispondono ad una volontà di adattare le leggi sul lavoro alle trasformazioni dei rapporti di produzione, tenendo conto degli attuali rapporti di forza fra capitale e lavoro.
I due progetti sono chiamati a svolgere tale compito, il pogetto El Khomri guarda al breve termine e soddisfa a degli obiettivi limitati: la priorità, innanzi tutto, è quella di dimostrare che il governo è in grado di fare delle riforme, nel momento in cui viene accusato di immobilismo; poi, cercare di far fronte alle cose più urgenti dando mano libera sulla flessibilità sperando in un miglioramento sul fronte dell'occupazione che si sa tuttavia che, nelle condizioni attuali, non può non dipendere da una ripresa conseguente ad una crescita ancora impossibile. Quindi un progetto che scontenta inevitabilmente tutti in quanto il suo obiettivo della flexsicurezza presuppone proprio tale crescita per rimanere "equilibrato". Quanto al progetto Badinter, questo è più strategico ed è in prospettiva, in quanto registra la crisi del lavoro. Dal momento che il lavoro non si trova più al centro della società, ma il lavoro salariato continua a governare globalmente la forza lavoro sia quella in attività che quella potenziale, il Codice del lavoro deve evolvere verso un codice dell'individuo al lavoro, dove il lavoro non viene più concepito come produttivo o addirittura determinato, bensì come un lavoro-funzione "al servizio" della società per tutto il corso della vita dell'individuo... In qualche modo il programma della CFDT (N.d.T.: Confédération française démocratique du travail)!
A fronte di queste grandi manovre, assistiamo (e partecipiamo!) ad un movimento che si oppone a questo progetto di legge-lavoro, che però ha disertato il luogo di lavoro per portare la contestazione ad un livello più generale. 
Ma questo livello non è appunto troppo generale, considerato che il rapporto di forza è a priori poco favorevole? 
I liceali e gli studenti non non hanno niente da dire sulla scuola e sull'istruzione, sul rapporto insegnante/studente, sull'organizzazione della conoscenza; gli ospedalieri sulle loro gerarchie e sulla politica della sanità; i salariati del settore energetico e nucleare sulle strategie energetiche del loro padrone, ossia lo Stato? Non bisognerebbe attivare delle lotte che si relazionino a questo livello generale?
Per adesso, quest'assenza di lotte intermedie si fa sentire a livello della forza di contestazione nei confronti del progetto di legge e delle forme di lotta che tali contestazioni sviluppano.
In effetti, contrariamente ai movimenti anti-CIP ed anti CPE, non sono loro quelli più direttamente coinvolti, cioè a dire non sono i lavoratori quelli che sono all'origine del movimento, ma si tratta di una parte della gioventù scolarizzata, mentre il progetto di legge non è affatto indirizzato specificamente alla gioventù.
La conseguenza è che il movimento degli scolarizzati è minoritario in seno alla stessa gioventù. Per cui non si può appoggiare alla base costituita dai licei e dalle università, e ancor meno a quella costituita dai "quartieri", che sono rimasti assenti. È obbligato a tenere la strada, e da questo deriva una convergenza immediata con l'iniziativa "Nuit debout", la quale però si situa in tutt'altra prospettiva: quella di tenere le piazze in una sorta di happening della parola liberata. Una convergenza si è altresì stabilita anche con la CGT, nella misura in cui questa, in rapporto ad una CFDT che negozia e partecipa alla riforma, assume sempre più il ruolo di una forza di opposizione che supera la divisione partito/sindacato, o piuttosto rovescia la formula leninista di cinghia di trasmissione. Prende, di fatto, il posto dei partiti e dei gruppuscoli di estrema sinistra relegati in fondo alle manifestazioni con il loro bagaglio di bandiere, distintivi identitari ed un'attività assai discreta nelle assemblee generali.
Questa convergenza è tuttavia ancora troppo fragile, poiché quel che si esprime in queste tre correnti non è allo stesso livello. Liceali, studenti e giovani proletari manifestano stando alla testa delle manifestazioni, esprimono una rivolta generale a fior di pelle ed un rifiuto spontaneo del capitale. Sono la negazione dell'ordine stabilito, in una prospettiva di conflitto con lo Stato e con la sua polizia.
I partecipanti alla "Nuit debout" sono, invece, l'affermazione di una democrazia qui e subito che potrebbero fare ricorso alla secessione rispetto al potere istituito. Affermano la possibilità di una Costituente che nasca dalle assemblee delle piazze. Il modello non è quello degli "indignati", e neppure di "Occupy" contro la finanza, ma è implicitamente quello del 1793.
Infine, la direzione della CGT si pone, e si è posta fin dall'inizio sulla difesa dei diritti acquisiti e sull'auto-limitazione, dal momento che non chiede nient'altro se non che venga ritirato il progetto di legge. Il suo punto culminante sarebbe uno sciopero generale... senza nessuna prospettiva più ambiziosa del ritiro del progetto di legge? Si capisce meglio, allora, perché alcuni siano riluttanti ad unirsi alla lotta e che altri, al contrario - come le sue federazioni più dure - stiano cercando di andare oltre gli obiettivi iniziali ed affermare un'identità operaia minacciata. Gli è che possono ancora appoggiarsi su quel che rimane dell'orgoglio operaio, conseguente ad una professionalità e ad uno status, mentre dappertutto si sente parlare soltanto (un po' troppo in fretta, d'altronde) di precarietà e di "posti di lavoro di merda".
Ma è veramente possibile una convergenza fra lo sciopero in questi settori, dove basta essere determinati per bloccare produzione e circolazione anche se si è poco numerosi, ed il resto del movimento che si basa sul proprio numero per giocare sui rapporti di forza? 
La convergenza non è evidente nemmeno a livello di rivendicazioni, poiché anche se i salariati di questi settori partecipano alle manifestazioni e richiedono pubblicamente che venga ritirato il progetto di legge, rimane non di meno il fatto che dietro le quinte sono in corso dei negoziati per tali settori. 
I blocchi sono un mezzo di pressione al fine di appoggiare innanzi tutto delle rivendicazioni particolari e il resto del movimento non ne beneficia, se non di riflesso.
La CGT afferma certamente un'identità operaia, oggi assai problematica, ma lo fa soprattutto nel quadro dell'economia nazionale e dei settori ancora protetti nei confronti della concorrenza internazionale. È su questo che ha concentrato le sue forze dopo la distruzione delle fortezze operaie avvenuta nel corso della ristrutturazione degli anni 1980-1990. Ora, Nuit debout si situa da subito al livello superiore della globalizzazione del capitale in quanto, malgrado gli ideologhi che sono alla sua origine, e che possono essere classificati come sovranisti di sinistra, molti dei partecipanti a Nuit debout sono spontaneamente neo-internazionalisti (sono orientati al "villaggio globale") e neo-antiglobalizzione dal momento che ragionano di economia-mondo, anche quanto intonano slogan anticapitalisti. Ma intervengono anche al livello più basso della globalizzazione, non oggettivamente, ma ideologicamente, quando parlano dei "dominati", degli "sfruttati", dei migranti, dei contadini senza terra delle zone saccheggiate dalle multinazionali e dagli Stati dominanti, che loro tacciano di imperialismo o di neo-colonialismo.
Per tutte queste ragioni, al momento, non vediamo delinearsi una convergenza solida e durevole fra queste tre frazioni del movimento anche se l'incuria del governo ed il sentimento di esasperazione provato da numerosi individui meno coinvolti nel movimento, ma nondimeno attivi, fanno sperare che si possano superare queste condizioni iniziali.

Articolo pubblicato su mondialisme.org
Fonte: blackblog francosenia

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