di Alessandro Gilioli
Difficile immaginare una battaglia politica che veda dalla stessa parte la Cgil italiana e il Fronte Nazionale francese, Donald Trump e Podemos, Beppe Grillo e Giulio Tremonti, Matteo Salvini e Bernie Sanders. Invece esiste ed è quella sul Ttip, il patto commerciale tra Usa ed Europa. Una bella metafora della frantumazione degli schemi tradizionali della politica, cioè destra e sinistra: in questo caso, da una parte ci sono invece i "mercatisti", favorevoli a liberalizzare gli scambi commerciali e i movimenti di capitale; e dall’altra chi considera queste dinamiche economiche e finanziarie un potere ormai incontrollato e troppo pervasivo, quindi una minaccia per gli Stati, per le democrazie, per i consumatori e per le classi medio basse.
Geografie politiche che si confondono, quindi, così come del resto è emerso dal primo voto dell’Europarlamento in merito: a favore i popolari, i socialisti e i liberali (insomma le "larghe intese"), contrari i verdi, la sinistra radicale, il Movimento 5 Stelle italiano, ma anche i vari raggruppamenti di destra come il Fronte nazionale francese e l’Ukip inglese.
E non sono mancate le dissidenze interne: ad esempio tra i progressisti ci sono stati 56 voti ribelli (quindi per il no), provenienti soprattutto dal Labour inglese ma anche dal Ps francese; oltre ai deputati italiani Briano, Cofferati, Panzeri, Schlein e Viotti, tutti peraltro critici o già usciti dal Pd renziano.
Renzi, appunto. Il premier italiano è favorevolissimo al Trattato: «Un grande obiettivo, stiamo spingendo con molta determinazione, abbiamo tutto da guadagnare, non firmarlo sarebbe un autogol incredibile», ha detto alla Casa Bianca un anno fa, dopo aver incontrato Obama. Un’esternazione che se non altro ha avuto il merito di far irrompere la questione del dibattito pubblico: fino a pochi mesi prima, la politica da noi non sapeva nemmeno che cosa fosse, questo Ttip. O, se lo sapeva, non mostrava alcun interesse a parlarne.
Prendete le elezioni europee del 2014: era un appuntamento fondamentale per la creazione dell’assemblea parlamentare chiamata a decidere sul Trattato, la cui negoziazione era già in corso da un anno. Ma a porre la questione, in campagna elettorale, furono solo il Movimento 5 Stelle e la lista Tsipras, radicalmente contrari. Da tutti gli altri, silenzio. Non una parola nel programma del Pd, all’epoca. Zero anche da Forza Italia. E perfino la Lega di Salvini, oggi molto profilata per fermare il Ttip, nell’estate del 2014 fa lo ignorava.
Tra i pochi che invece si occupano del tema dall’inizio c’è la rete italiana Stop Ttip, nata tre anni fa. Tra i suoi fondatori Marco Bersani, di Attac Italia, già fra i promotori del referendum sull’acqua, e Monica Di Sisto, attivista dell’Associazione Fairwatch che si occupa di commercio internazionale. Stop Ttip ha organizzato anche la prima manifestazione nazionale contro il Trattato (il 7 maggio scorso, a Roma, circa 25-30 mila partecipanti) ottenendo l’appoggio tra l’altro della Cgil, del Comune di Milano e della Regione Lombardia.
Le cose quindi stanno un po’ cambiando e la stessa rete Stop Ttip si muove verso altri appuntamenti, nei prossimi due mesi e in contemporanea con il Consiglio europeo nel quale i governi Ue dovranno esprimere una posizione.
E se nel Pd italiano le voci critiche sul Trattato sono pochissime («Nessuno di loro ci vuole ascoltare, sono terrorizzati all’idea di muoversi diversamente da Renzi», spiega Di Sisto) la questione è molto più dibattuta nei partiti omologhi in Europa. In Francia, ad esempio, il presidente François Hollande ha appena minacciato di far fallire tutta la trattativa, in nome della difesa dei prodotti nazionali; in Gran Bretagna l’ascesa di Jeremy Corbyn ha spostato la linea del Labour in senso anti Ttip; inGermania il vicecancelliere Sigmar Gabriel (favorevole) ha annunciato che convocherà un congresso del partito ad hoc per trovare una mediazione con la sinistra interna (contraria); in Spagna il Psoe ha messo alcuni paletti rigidi, pressato dalla campagna che sul tema sta facendo Podemos (la sindaca di Barcellona Ada Colau, ad esempio, ha organizzato un incontro delle "città ribelli" di tutta Europa contro il Ttip). Mentre in Austria il neo presidente verde Van der Bellen ha già detto che non firmerà il Ttip.
Anche negli Usa la questione divide in modo trasversale: molto critico è il candidato socialista Bernie Sanders, molto favorevole è il presidente uscente Obama - con Hillary Clinton che si trova un po’ in mezzo e tende a defilarsi. Ancora più aspre le divisioni a destra: l’apparato del partito repubblicano è in gran parte pro Ttip, mentre Donald Trump lo ha definito «un’autentica follia voluta dalle lobby di Washington».
Più in piccolo, le stesse dinamiche lacerano il centrodestra italiano, diviso tra la liberalizzazione dei mercati e la difesa dei prodotti nazionali. E se un battitore libero come Tremonti è prevedibilmente contrario, anche nel gruppo di Forza Italia alla Commissione Agricoltura c’è chi ha dato ragione a quelli di Stop Ttip, dopo un’audizione a Montecitorio.
Misteri e incroci della politica contemporanea, maledettamente più complicata di quando c’erano soltanto sinistra e destra.
Fonte: L'Espresso online
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