di Ilvo Diamanti
Proponiamo anche quest’anno una Mappa delle parole del nostro tempo. Raffigura l’atteggiamento degli italiani (intervistati da Demos-Coop) di fronte a una serie di termini che ricorrono frequenti nei discorsi pubblici e nella vita quotidiana. Raccolti e selezionati dalla comunicazione mediale e dal linguaggio comune. Le parole, d’altronde, non sono solamente un modo per dire e comunicare la realtà. Ma contribuiscono a definirla. A costruirla. Senza parole, la realtà non esiste perché le parole la rivelano. Così, attraverso questo sondaggio, abbiamo cercato di “rivelare” la realtà “rilevando” le parole che utilizziamo per dirla. Abbiamo, dunque, sollecitato gli italiani (intervistati) a esprimere il grado di approvazione/dissociazione, che suscitano le parole selezionate. Ma anche la loro capacità di suggerire il futuro. Oppure di re-spingerlo verso il passato. Ne esce una rappresentazione, a nostro avviso, interessante.
Certamente non scontata. Per alcuni versi non prevedibile. Utile a presentare l’edizione della Repubblica delle Idee, che si apre oggi a Roma. Con il titolo, programmatico: “Rep2056, idee per i prossimi 40 anni”. Ma anche per capire quale e come sia il futuro prossimo — magari non dei prossimi 40 anni — immaginato dagli italiani. Quali valori, quali istituzioni e quali attori — politici, sociali, religiosi — possano offrire — e offrirci — un orientamento. E quali, invece, siano destinati a perdersi. Se non ad essere dimenticati.
Il sondaggio delinea una mappa articolata in regioni di significato chiare e distinte. Alcune, in modo particolare. Soprattutto due, opposte e lontane. Nello spazio ma anche nel tempo.
In basso a sinistra, si delinea la Regione del tempo perduto. Dove incontriamo le parole della politica e della rappresentanza degli interessi. I partiti, i politici, i sindacati. I leader. Tutti. Grillo, Salvini, ma anche Renzi. In due anni è scivolato anch’esso, dalle Regioni che indicano il cambiamento, comunque, la transizione, via via più in basso. Verso il passato.
O meglio, verso un presente senza futuro. È interessante e significativo osservare la posizione in cui è collocato — sospinto — Silvio Berlusconi. In fondo a tutti. Ai confini estremi della Mappa. Una parola quasi in-significante. Eppure assolutamente significativa, per capire cosa stia succedendo. Perché Berlusconi fino a pochi anni fa ha marcato il nostro linguaggio. Non solo nel campo della politica. In bene e in male: il berlusconismo ha costituito un sistema di valori, uno stile di vita e di comportamento. Un riferimento (a)morale. Oggi non più. Così diventa più difficile dare significato al lessico degli italiani. Perché mancano indicazioni e chiavi di lettura chiare. Soprattutto, ma non solo, in campo politico.
Osservando la regione del futuro possibile e auspicato, collocata nel settore in alto a destra della mappa, si osservano, infatti, parole che associano due diversi campi semantici. La domanda di bene comune. Di economia e di azione condivisa. Di sicurezza sociale e alimentare. Le energie rinnovabili e il bio. La cooperazione. Accanto a loro: i valori e gli obiettivi senza tempo.
L’egualitarismo, l’equità fiscale, la legalità. Unici riferimenti istituzionali nominati: la famiglia e Papa Francesco. Peraltro, meno “santificato” rispetto a un anno fa. Proiettati nella stessa direzione, verso il futuro, alcune parole che indicano obiettivi e metodi di crescita economica e sviluppo responsabile. La sobrietà dei consumi. La cooperazione. Ma anche istituzioni che garantiscono promozione sociale e conoscenza. Per prima, la scuola. Sempre negletta, nel dibattito pubblico. Ma sempre apprezzata, nella percezione sociale. Nella stessa direzione — cioè, verso il futuro auspicabile — sono proiettate le nuove forme di comunicazione. I social media e internet.
Scendendo, incontriamo il territorio della transizione. Affollato di luoghi e parole della vita pubblica. Della partecipazione. Dallo Stato alla democrazia. Dai media tradizionali — la radio, la televisione, i giornali — alla Chiesa. Dall’Unione europea all’euro, agli imprenditori. Alla magistratura. Una rete complessa, che riproduce la difficoltà di leggere il cambiamento attraverso il presente. Nel paesaggio sociale e istituzionale che ci circonda. Perché le istituzioni e i processi della vita quotidiana e dello spazio pubblico disegnano una selva complessa. Oscurata dalla routine. Che rende difficile identificare la via verso il cambiamento. I percorsi verso il futuro.
Anche perché, in fondo alla mappa del nostro lessico, restano le parole della rappresentanza e della mediazione. Lontane dagli obiettivi e dai valori che gli italiani vorrebbero soddisfare. Perseguire. Una regione distante dalla terra promessa. Costellata dalle bandiere che marcano il confine del futuro atteso, e auspicato. Non è una novità.Lo stesso distacco era emerso già un anno fa. Ma anche negli anni precedenti. Quest’anno, però, la distanza appare, se possibile, più netta. E più chiara. Da un lato, obiettivi e valori — cioè, le domande della società — sono proiettati all’orizzonte.
Mentre, dall’altro lato, gli attori di governo e della rappresentanza, che li dovrebbero realizzare, comunque, promuovere, dar loro voce: sono all’ombra del passato. Non è chiaro come avvicinare queste due dimensioni, queste due regioni. Certamente non sarà facile.Neppure a Renzi. Tallonato da Grillo. E da Salvini. Allineati uno accanto all’altro. Impegnati a sfuggire alla sorte di Berlusconi. Quasi scomparso all’orizzonte. Al confine estremo della mappa — e della terra — conosciuta. A cui proprio la sua presenza ha fornito una bussola.
Mentre oggi l’unico riferimento disponibile per orientarsi è l’antipolitica. Il distacco e la distanza da ogni soggetto, attore, leader. Politico.
Fonte: La Repubblica
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