di Sandro Medici
È una città dolente e incollerita quella che domenica andrà o non andrà a votare. Forse Roma non è del tutto rassegnata, ma appare comunque estenuata, sfibrata, logorata. E la campagna elettorale che si è stancamente srotolata nelle ultime settimane non è riuscita ad accenderla, ad appassionarla. C’era da aspettarselo. Le inchieste giudiziarie, le contorsioni politiche, l’ingloriosa fine dell’ultimo sindaco, la furia manesca di chi è stato mandato a sostituirlo: tutto questo ha incrinato le coscienze e inacidito i sentimenti. Nella millenaria storia di Roma barbari, lanzichenecchi, boia dell’inquisizione, fucilieri francesi e banche vaticane hanno sicuramente fatto di peggio, ma in quest’ultimo scorcio non è che sia andata molto meglio.
Ma dietro quel che appare, tanto sordido quanto meschino, ad aver nel profondo danneggiato la città sono state le politiche liberiste. Quell’insieme di misure economiche che, in continuità tra una giunta e l’altra, si sono abbattute su un tessuto sociale già indebolito dalla crisi.
I tagli di bilancio hanno sensibilmente ridotto l’offerta di servizi, proprio quando la domanda tendeva a crescere. La pressione fiscale ha dissanguato i redditi. L’aumento di tariffe, utenze e rette ha eroso le economie familiari. Le privatizzazioni hanno aggravato i bilanci domestici, invece di alleggerirli. Gli investimenti pubblici sono stati ridotti a percentuali da zerovirgola, mentre gli interventi a sostegno della cultura sono precipitati sottozero.
E le conseguenze ci restituiscono una città immiserita, stremata, sfiduciata.
Alti tassi di disoccupazione, altissimi tra i giovani. Ricorso alla cassa integrazione tra i più vistosi nel paese. Imprese e attività commerciali che chiudono a migliaia. Crescita costante delle persone che vivono sotto la soglia di povertà. Progressiva diminuzione del ricorso alle cure mediche, ma non per miracolose guarigioni, bensì per mancanza di disponibilità economica. Incessante aumento del bisogno abitativo, di fatto cronicizzato. Abbandono scolastico ormai a livelli preoccupanti. Lento ma inesorabile spopolamento, non più compensato dall’arrivo di nuovi migranti. Decrescita sia dell’offerta che della produzione culturali a livelli imbarazzanti, per una città dal prestigio internazionale come Roma.
Con questo fardello, con quest’angoscia, con questo risentimento, la città andrà o non andrà a votare.
Si troverà a scegliere, se deciderà di scegliere qualcosa, tra chi promette magnifiche e progressive sorti, chi improbabili rinascite o ritorni a un passato glorioso, chi inflessibile rigore e militarizzazione urbana, chi un improbabile «adesso arriviamo noi e mettiamo tutto a posto».
E con il dovuto rispetto per le agenzie di marketing politico e i piazzisti di liste e candidati, l’impressione è che si propagandi e si agisca in un colossale vuoto politico, se si pensa a quanto sia difficile amministrare e gestire una città come Roma.
Quanta ingannevole prosopopea, quanti malintesi, quante falsità. Ma nonostante ciò, a prevalere nei consensi (sottratti a un’astensione che si profila consistente) sembrerebbero proprio questi messaggeri del nulla.
Sembrerebbero: poiché non si possono escludere esiti inaspettati. C’è infatti qualcosa di nuovo che prova a rompere questi blocchi elettorali preconfezionati.
Non solo a Roma, ma in diverse altre città, Torino, Napoli, Bologna, Milano, Ravenna, ecc. Ed è il tentativo di offrire una prospettiva alternativa alla finta competizione tra partiti, liste e movimenti, che già annunciano obbedienti di procedere nella scia delle politiche liberiste, pronti già a innestare quel pilota automatico di draghiana memoria.
Sebbene minacciati dall’insopportabile angustia del «voto utile», che ancora eccita antichi e più recenti rinunciatari, cercheranno di spezzare il monopolio del conformismo elettorale.
Di contrastare quelli che, pur con diverse sembianze, non sanno far altro, non possono far altro che auto-imprigionarsi in compatibilità economiche considerate indiscutibili e intoccabili. Le stesse che hanno reso le città sempre più ingiuste e diseguali, dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.
Ed è proprio per contrastare questo feroce destino, per accompagnare e sostenere il conflitto sociale, per riaprire una prospettiva di cambiamento che oggi è necessario sostenere le liste alternative.
Fonte: il manifesto
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