La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 4 giugno 2016

La bulimia televisiva del Pd, inseguito dalla Lega

di Giandomenico Crapis
A giudicare dalla mole degli esposti all’Agcom degli ultimi giorni, qualcosa si è mosso, complice l’appuntamento elettorale. La perfezione non è di questo mondo, ma davvero i numeri sul pluralismo in tv, più volte segnalati da questo giornale, erano ormai da tempo da allarme rosso. Alla fine qualcuno se ne è accorto. Se ne sono accorti i partiti, che protestano, (qualcuno a torto); se ne sono accorti i direttori di rete e di testata, che sono corsi ai ripari; se ne è accorto anche il presidente Fico, attento, glielo riconosciamo, anche alle critiche (caro Fico noi non ce l’abbiamo con lei ma, come ha spiegato Vincenzo Vita qualche giorno fa, gli strumenti normativi per arginare lo squilibrio ci sarebbero).
I dati dei tiggì che vanno dal 21 aprile all’8 maggio e quelli che vanno dal 9 al 22 maggio ci dicono che Renzi, che ancora fino a 30 giorni dal voto godeva del 26% del tempo di parola nei telegiornali, viene ridimensionato parecchio, scendendo al 9,83%. Ad avvantaggiarsi del rimodellamento degli spazi e dei tempi concessi a Renzi sono i partiti, a cominciare dal Pd e dal M5S, che vedono incrementate di molto le loro performances rispetto a qualche settimana fa: il Pd rimane comunque il partito più rappresentato con il 16,13%, mentre i 5Stelle quasi raddoppiano (dal 7% al 13%). Più contenuti gli incrementi delle altre opposizioni come la Lega (dal 2,95 al 4,6%) e Forza Italia ( dal 4,95% al 5,53%). Mentre trova finalmente voce Sel-Si (3,45%), praticamente silenziata fino all’inizio della campagna elettorale: si pensi che prima dell’ultima rilevazione Sel-Si aveva goduto sul Tg1 dell’1,15%, sul Tg2 dello 0,99% e sul Tg3 dello 0,33% del tempo di parola (il che significa, in quest’ultimo caso, che gli esponenti di quel partito, pur forte di decine tra deputati e senatori, hanno parlato tra il 21 aprile e l’8 maggio solo 15 secondi). I dati più recenti ci dicono che il M5S è il partito che ha più voce al Tg1 e al Tg3 (18,55% e 16,95%). Il Tg1 è invece il più generoso con il premier, anche se ne ha dimezzato i tempi di parola (dal 18,5% al 9,8%).
È evidente che è in questo quadro di maggior rispetto della legge (par condicio) che si colloca anche il caso Ballarò e il paradossale esposto del Pd. Una protesta ingiustificata e ridicola non solo rispetto al trattamento di cui hanno goduto il Pd e il suo leader nel passato, ma anche rispetto ad oggi. Serracchiani, Puglisi, Anzaldi e compagnia alzano allarmi farlocchi. Il Pd ha infatti avuto una anomala sovraesposizione non solo nei tiggì, ma anche nei programmi d’informazione o nei talk (per esempio, In mezz’ora ha regalato al Pd due puntate con Renzi, una con la Boschi, una con Speranza e altre due le ha dedicate alle primarie Pd di Milano e Roma). Sovraesposizione che c’è stata anche a Ballarò, come si può evincere dalle presenze fino alla metà di maggio e dai dati dell’Osservatorio di Pavia, tanto da costringere i dirigenti Rai ad un tardivo aggiustamento in extremis. Se guardiamo, infatti, fuori dai tg, ai programmi di testata, ad esempio a quelli del Tg3 (cui sono ascrivibili Ballarò, Agorà, In mezz’ora, Linea notte, Che tempo che fa), gli ultimissimi dati forniti dall’Agcom riguardanti il periodo dal 21/4 al 29/5 danno il Pd al 27% del tempo di parola, il M5S e Forza Italia al 13,7% e la Lega all’11,9%. Insomma il fatto non sussiste. Anzi. Il dato anomalo, piuttosto, non è l’assenza del Pd, che invece la fa ancora da padrone, ma la sovrarappresentazione della Lega, soprattutto sulla terza rete, ben oltre la sua presenza nel paese: l’Agcom certificava solo tre settimane fa una percentuale di parola nei programmi extra Tg, sempre su Rai3, addirittura del 15,1%. Si capisce dai numeri dell’ultimo rilevamento che anche su questo la Rai è dovuta correre ai ripari. Negli ultimi giorni la sproporzione diminuisce, ma resta, così nel computo complessivo delle presenze politiche nelle rubriche Rai (tra queste Porta a Porta, l’Arena, Uno mattina, La vita in diretta per la prima rete, Virus, Tg2 Dossier, Tg2 Insieme, Tg2 Punto di vista per la seconda) la Lega ottiene il 10,1%; ma è comunque al Pd che va il primato con il 21,8%, mentre sono lontani Forza Italia (13%) e il M5S (12,3%). Questo, attenzione, senza tener conto dell’11% che va al governo e del 5,9% che va al premier, grazie soprattutto alle attenzioni della prima rete dove Renzi raccoglie il 13,8%, il governo il 21,7; numeri che aggiunti al 12,5 del Pd fanno quasi il 50% del tempo di parola nei programmi extra tg di RaiUno.
Siamo curiosi di vedere se questa, pur parziale, rimodulazione della rappresentazione politica, un pochino più rispettosa del pluralismo ( che, è bene ricordarlo, si era verificata pure lo scorso maggio, sempre per via delle elezioni), terrà dopo le amministrative. Noi scommettiamo di no.

Fonte: il manifesto 

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