di Alfonso Gianni
Sono davvero lontani, forse definitivamente tramontati, i tempi nei quali il mondo economico, politico, istituzionale e sindacale pendeva dalle labbra del Governatore della Banca d’Italia. Quando quella di Palazzo Koch era considerata l’istituzione più solida e autorevole, non solo in campo finanziario ed economico. Ascoltando l’abbondante relazione letta con aria distesa da Ignazio Visco per oltre un’ora e un quarto, per la prima volta non più davanti alla Assemblea dei partecipanti – essendoci questa già stata lo scorso 28 aprile – ma in ambito più ristretto, non si ha la sensazione di assistere ad un avvenimento destinato a lasciare un segno nella cultura economica e politica del paese. Le Considerazioni finali, man mano che Visco le esponeva, sembravano avvitarsi su se stesse, tornando spesso sugli stessi argomenti, quasi che il loro autore sentisse il bisogno di convincere e rassicurare in primo luogo sé stesso più che la selezionata platea.
Non dipende dalle qualità di questo o quel Governatore, ma da fattori strutturali, che concernono le condizioni di sistema entro cui la Banca d’Italia oggi opera. Questa è ed appare come un’articolazione del sistema bancario europeo, per quanto incompiuto e imperfetto esso sia – su questo l’attuale Governatore ha molto e più volte insistito – il cui dominus è sempre più la Banca centrale europea e determinanti le sue decisioni. Cosicché la sensazione che è Visco che parla ma è Draghi che pensa e decide, aleggia nella sala ed è difficile da cacciare via.
Le parti più salate dell’intera relazione riprendono infatti le critiche già più volte fatte dallo stesso Draghi alla intrinseca limitatezza di una politica monetaria pur espansiva, in assenza di una politica economica coerente che abbia i suoi centri direzionali collocati a livello europeo e fondati su un bilancio unico. Questo non toglie – e Visco ovviamente lo ribadisce – che l’intervento pubblico per salvare il sistema finanziario sia servito ad evitare guai peggiori e che dunque le pretese di purezza neoliberista sono state al lato pratico abbondantemente messe da parte – ma questo Visco non lo dice -; ma esso avrebbe potuto produrre effetti ben maggiori se si fosse arrivati ad una condivisione comune dei rischi ed a una conseguente strumentazione che è quella che la Germania esattamente non vuole.
Da qui a seguire le note critiche sull’eccesso di rigidità; sulla scarsa capienza del fondo salva stati; su un bail in troppo frettolosamente imposto ad un sistema bancario poco preparato a reggerne l’urto come quello italiano; sulla pretesa di porre un tetto alla quantità di titoli di stato nella pancia delle banche. Un sistema bancario, quello italiano, che esce smagrito e verticalizzato dalla crisi. Visco lo sottolinea con soddisfazione – annunciando altre eventuali riduzioni anche di personale – seppellendo la retorica del “piccolo è bello” in campo industriale come nel mondo del credito. Ecco quindi lodare la cosiddetta riforma delle banche popolari, che ha innalzato alcune di esse a società per azioni, oppure la riduzione dell’11% degli sportelli bancari sul territorio dal 2008. Naturalmente non si esime dall’assolvere l’istituzione da lui diretta dai vistosi buchi in materia di vigilanza bancaria, rimandando per i dettagli a una audizione dello scorso Aprile tenuta al Senato.
Parla del pericolo che Brexit rappresenta per la sopravvivenza della Ue, ma non spende una parola sulla Grecia. I migranti compaiono di sfuggita, dopo un’ora di relazione, come pallide ombre abbandonate tra i flutti, anziché come drammatico punto di una possibile e necessaria svolta di civiltà per l’intero continente.
A queste considerazioni sul quadro europeo, Visco ha accompagnato un pizzico di moderato ottimismo sulla situazione interna del paese, quasi più preoccupato di venire catalogato tra i “gufi”, che per effettiva convinzione. In effetti i numeri non lo aiutano, a cominciare da quelli sull’occupazione, che lo portano a concludere che siamo ben lontani dall’avere recuperato le condizioni economiche antecedenti allo scoppio della crisi. Riparte con la solita ricetta della riduzione del cuneo fiscale per svegliare l’economia e rilanciare gli investimenti – rispetto ai quali sottolinea almeno la necessità di orientarli verso settori di non immediata profittabilità, ma coerenti con la difesa ambientale e lo sviluppo culturale del paese.
Ma colpisce – ed è questa un’altra delle differenze rispetto al passato – l’assenza totale di riferimenti ai soggetti sociali organizzati. Dei sindacati fa riferimento solo a quelli interni a Bankitalia; della Confindustria non fa parola; di un enorme problema salariale e contrattuale aperto nel paese nemmeno. Per Visco esistono solo la Ue, i suoi sistemi di governance e in misura minore il governo italiano e i suoi vari provvedimenti, ricordati per fortuna senza grande enfasi. Ne emerge un quadro di una politica desertificata, dove i corpi intermedi se non hanno cessato del tutto di esistere, certamente di farsi sentire e vedere. Un mesto e depresso quadro renziano.
Così anche il battito d’ala finale risulta tanto fiacco da non smuovere l’aria sempre più greve. Visco chiude le sue Considerazioni finali citando frasi di Altiero Spinelli, più per amor di retorica che per volontà di persuasione.
Articolo pubblicato su il manifesto
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