di Anna Lombroso
Costretta a malincuore ad una rivalutazione entusiasta dell’avo e della fisiognomica, consiglierei come efficace campagna referendaria per il No di compiere una pubblica e ripetuta ostensione delle immagini tratte dalla sfilata a Via dei Fori Imperiali. Anzi, sbagliavo, la parata si è vista poco, come si sono viste poco le file di poltroncine bianche e vuote, si dirà per ragioni di sicurezza, ma più probabilmente disertate da autorità minori, poco inclini a ricordare una repubblica per celebrare invece un impero tirannico, poco abituati a festeggiare un riscatto, preferendogli la schiavitù, la loro, scelta per appagare ambizioni e consolidare rendite di posizione, la nostra, imposta per ubbidienza a superiori e per sentirsi a loro volta superiori a noi, alla gente comune, a un popolo espropriato di sovranità, certezze, libertà e diritti e ridotto a massa riottosa, a plebe accidiosa, a esercito.
Si sono visti molto invece i volti di quella dirigenza che vuole appunto che siamo esercito, di lavoratori precari spostare a seconda dei voleri di un padronato che si arricchisce della nostra mobilità servile, di soldati da trincea, o di quelli messi nelle prime file, i più “inutili”, quelli che rendono poco, esposti alle prime fucilate in questa guerra di classe di chi ha e esige sempre di più contro chi ha sempre meno, di forze belliche da mobilitare per le campagne infami del neo colonialismo, per proteggere come mercenari interessi privati opachi e speculativi, per favorire commerci, compreso lo scambio di proficue pratiche di integrazione di usi criminali, corruzione con governance e amministrazione pubblica.
E infatti erano compiaciuti nel guardare il dispiegamento spettacolare di dispositivi, uomini, muscolarità, pennacchi, galloni, alamari, facce talmente truci nell’imitazione di qualche contractor o di qualche reduce dalla corte marziale hollywoodiana da sfidare il normale senso del ridicolo, erano gioiosi nel dolce oblio del significato di questo giorno che dovrebbe ricordare come è nata ed è stata scelta fortunosamente da un popolo che così imparava a conoscere affrancamento e autodeterminazione, una forma di governo che doveva sancire la condanna della passata vergogna, il riscatto dalla dittatura e la speranza che volesse anche dire quello dallo sfruttamento. Si, erano proprio appagati, uomini e donne, ancora più deplorevoli se dovessimo credere a qualità di genere inclini a desiderare per sé e per i propri figli, pace con giustizia, ripudio della guerra, armoniosa fraternità e attiva solidarietà, mentre invece erano là, soddisfatti che speranze, visioni del futuro, sacrificio, collera e amore si siano ridotti a retorica, a iconografia da sussidiario, in attesa di condannare allo stesso destino e per legge, o meglio decreto legge, anche la Costituzione che proprio di quello parla e racconta, come un bellissimo “libro” di istruzioni per raggiungere, curare, mantenere e trasmettere valori semplici e domestici, lavoro, libertà, bellezza, uguaglianza, pace, sapere, bene comune.
Se avete dei dubbi sul voto referendario, ma mi auguro di no, andate a rivedere quelle immagini sceneggiate coi commenti melensi e menzogneri dei cronisti di regime, guardate quelle facce che sembrano affacciarsi dalle straordinarie opere dei ritrattisti che vorremmo ancora per mostrarci le fattezze del nostro spirito del tempo: Daumier, Hogarth, Grosz, per raffigurare le “colonne della società”, deformi, perché segnate da ambizione, avidità, tracotanza, presunzione, violenza. Brutte, perché bollate da egoismo, ignoranza, volgarità.
Si, guardiamole bene, per capire che a decidere basterebbe questo, basterebbe stare dalla parte opposta, basterebbe sentirsi diversi per comprendere di essere migliori. In fondo ci vuol poco, è sufficiente cominciare a dire No.
Fonte: Il Simplicissimus
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