di Mauro Sentimenti
Vanno evitate, per darsi conto della natura e dei caratteri reali del conflitto referendario in corso, letture ancorate prevalentemente ai soli dispositivi e criteri giuridici, pur importanti. E’ indispensabile alzare lo sguardo sui movimenti della vita reale . Sottolineando in premessa che i legislatori che hanno colpito diritti nel lavoro e del lavoro, ridotto le risorse per il Sistema previdenziale a ripartizione, affossato l’universalità dell’accesso alle cure sanitarie, permesso un’evasione scolastica gravissima, trasferito ricchezza dal lavoro alle rendite e ai profitti , aggredito I beni pubblici, sono gli stessi che hanno progettato la nuova legge elettorale e la riforma costituzionale. Naturalmente preceduti dal lavoro di altri. La circostanza non è casuale.
Il conflitto per l’appropriazione della ricchezza prodotta – della quale la ridefinizione dei diritti costituisce uno snodo essenziale – è il motore primo e la principale ragione di molti fenomeni tra loro legati, ognuno dei quali assolve un ruolo nella nostra vicenda:
Il conflitto per l’appropriazione della ricchezza prodotta – della quale la ridefinizione dei diritti costituisce uno snodo essenziale – è il motore primo e la principale ragione di molti fenomeni tra loro legati, ognuno dei quali assolve un ruolo nella nostra vicenda:
1) l’oscurantismo costituzionale in corso. Un potere costituito – sostanzialmente nelle mani dell’Esecutivo ma formalmente rappresentato da un parlamento eletto in modo costituzionalmente illegittimo, e da una forza minoritaria nel paese (PD:: 25% dei voti validi alle elezioni politiche del 2013) – si fa potere costituente decidendo di revisionare la stessa Costituzione e reiterare in altre forme gli architravi della medesima legge elettorale già dichiarata illegittima. Mentre Calamandrei proponeva “fuori il Governo dalle riforme Costituzionali”, oggi si impone “fuori il Parlamento”.
2) il trasformismo straripante all’origine della s/riforma cost.. 252 cambi di casacca di altrettanti deputati/e in 3 anni di questa legislature (non tutti sono uguali quanto a ragioni e scopi), ragion per cui si è sempre cercata e trovata – da parte del PD – una maggioranza “a prescindere” (all’inizio con Berlusconi /patto del Nazzareno, alla fine con Verdini e altri) in grado di approvare le riforme volute da Renzi. Il trasformismo non va indagato in termini solo moral/moralistici. Esso trae invece origine da fenomeni profondi riguardanti il sistema politico e le dominanti economiche sociali. Precisamente si può dire che il trasformismo che oggi vediamo all’opera nasce dalla capacità del berlusconismo , apparentemente alla sua fine, di traghettare una sinistra senza più bussola ad aderire al governo “tecnico” (!) di Monti ed a far propri gli assunti di fondo del liberismo: opportunità invece di uguaglianza, individuo che si autoregola invece che legami sociali, fine della centralità del lavoro quale fondamento material e politico della stessa democrazia arretramento forte dei diritti di cittadinanza. Da quel momento ad oggi, passando da Monti a Letta a Renzi, col determinante sostegno parlamentare di maggioranze consociative e trasformiste , abbiamo assistito ad una sostanziale ed accellerata continuità di politiche tese a sostenere i medesimi interessi e valori alla base del DDL Boschi Renzi . La nostra Costituzione materiale nè è uscita stravolta irriconoscibile.
In nessun modo questo italico trasformismo può essere quindi assimilato , e tantomeno compreso, nell’ambito del trasformismo storico dell’800 di De Pretis, che aveva altri presupposti e ragioni . Berlusconi e Alfano prima e Verdini poi, il loro far parte di maggioranze di governo o costituzionali assieme al PD, non sono episodi di folklore passeggero o il frutto del cattivo cinismo di alcuni .
Sono invece ,per le ragioni spiegate, il frutto avvelenato di quel trasformismo al servizio delle diseguaglianze : quei ceti politici sono parti integranti della maggioranza che governa l’Italia da molti anni . Renzi è l’ultima versione di questo trasformismo.
3) il declino accellerato del principio di legalità, principio cardine di ogni ordinamento liberaldemocratico. E’ sufficiente richiamare quel che è seguito al referendum del 2011 sull’acqua bene comune: A) vengono abrogate a seguito del referendum due norme (art.23 D.L. 112/2008 che favoriva la privatizzazione dei servizi idrici , art.154 D.Lgs 152/2006 che disciplinava la “adeguata remunerazione del capitale”), B) pochi mesi dopo Berlusconi ripropone la disciplina abrogata con la L. 148/2011 , poi dichiarata incostitizionale con sentenza n.199/2012; C) ci riprova Monti coi Decreti nn. 1/ e 83 del 2012; D) Renzi approva lo “sblocca italia” – Decreto n.133/2014 – e la legge di stabilità 2015, con norme che viaggiano in direzione esattamente contraria alla volontà dei legislatori referendari del 2011. Infine arriva la legge delega n.124/2015 di riorganizzazione della Pubblica Amministrazione e la gestione dei servizi pubblici locali a valenza economica. Nel decreto attuativo di tale delega si reintroduce “l’adeguata remunerazione del capitale” , la proibizione delle gestioni pubbliche in economia , l’obbligo di gestione solo con società per azioni , il tutto con palese disprezzo dell’esito referendario, che viene ritenuto tamquam non esset. L’esempio paradigmatico , e ve ne sono altri, illustra quel che si diceva : democrazia dei cittadini e legge di origine referendaria vengono umiliate . Più forti della legalità formale si rivelano i comandi degli interessi economici dominanti .
4) La tendenziale scomparsa della rappresentanza politica e i suoi rapporti con le leggi elettorali .
Perchè si progettano leggi elettorali che, come porcellum e italicum, travolgono del tutto il rapporto tra elettori e loro rappresentanza parlamentare, favorendo tendenziali dispotismi parlamentari/politici di forze minoritarie nel paese.? La risposta non va cercata nelle contingenti scelte delle modeste elites politiche italiane ma nelle dinamiche socio-economiche odierne: quelle che spingono impetuosamente, in tutto l’occidente, verso la “presidenzializzazione dei regimi politici” (come l’ha chiamata il politologo americano Lowi), il superamento definitivo della “repubblica dei partiti” disegnata dalla Costituzione del 48, l’astensionismo e l’apatia.
La “rappresentanza” mediata dai partiti , della quale quella istituzionale era una delle forme in cui si esprimeva , tende ad estinguersi per mancanza di linfa. Ne va costruita un’altra e non esiste nessun determinismo storicista che possa impedirlo.
Renzi e il suo bulimico piglio futurista , la revisione costituzionale , l’italicum, la finta riforma dei partiti appena votata, l’oscurantismo costituzionale, la crisi del principio di legalità rappresentano traduzioni “coerenti” , illiberali e classiste, a questo stato di cose ed al volere di poteri non democratici e irresponsabili.
Qui origina l’autorefenzialità del ceto politico istituzionale : in un rapporto sempre più debole coi cittadini e sempre più esclusivo con le elites politiche ed economiche , quelle stesse che validano e permettono le candidature e l’elezione dei singoli rappresentanti. Qui si mostra la derisione della partecipazione, il vezzeggiare l’astensione ( “non andate a votare”) od il suo uso solo manipolativo e strumentale (il “dopo di me il diluvio se non votate come vi dico”) grazie anche ad un sistema dell’informazione asfissiante perchè non libero. Qui si manifesta in tutta la sua gravità la separazione sempre più netta tra democrazia partecipazione e cittadinanza. Tra diritto ed economia, un rapporto che va anch’esso ripensato per uscire dal filone esangue della law ed economics alla Possner : abbiamo in Italia grandi culture e importanti tradizioni nell’una e nell’altra disciplina. Potremmo diventare, ripensando keynesismo e marxismo, un esempio positivo per il resto d’Europa. Una democrazia in Italia che , privata della partecipazione e dell’uguaglianza, volge ormai verso esiti oligarchici . Votare NO al referendum costituzionale è la premessa obbligata, la condizione sine qua non per risalire questa china e ridare , nelle forme nuove del nostro tempo, lo scettro in mano al sovrano popolare, cioè ai cittadini, ed a loro reali rappresentanti. Referendum senza quorum, propositivi, abrogativi e di indirizzo su grandi questioni nazionali ed europee; leggi di iniziativa popolare delle quali siano garantite discussione e deliberazione (che nella riforma Boschi sono solo promesse); governo del territorio nelle mani anche delle comunità locali ( e non come nella s/riforma Boschi nella mani delle lobbies per le quali l’esecutivo sta lavorando), regole costituzionalizzate per un’informazione libera. Cultura, scuola. Istruzione; cultura scuola e istruzione via per l’ugualgianza e la rinascita dell’Italia. Ridare autorevolezza ed efficacia alla deliberazione popolare, riannodare fili tra eletti ed elettori. La posta in gioco nel Referendum Costituzionale è la qualità della nostra democrazia e la sua stessa capacità di sopravvivere ai populismi di ogni colore che l’assediano (quello del niente Stato solo Mercato è il più corrosive fra tutti: stante che solo persone uguali possono essere cittadini consapevoli, come diceva Aristotele nel terzo libro della Politica).
Tutto questo , la durezza di quell che ci attende, non deve indurre alcuno scoraggiamento sulla possibilità di vincere il referendum oppositivo alla riforma costituzionale. Al contrario.
Dopo che il conflitto referendario sarà vinto dal NO, avremo davanti a noi , e assieme ad altri, compiti molto impegnativi: edificare una reale rappresentanza collettiva, reali forme di “partecipazione che decide”, per nuove istituzioni democratiche. E per cittadini che co-governano. Nelle condizioni storiche attuali. La vittoria del No al referendum di ottobre è l’indispensabile avvio quindi di un’altra storia, impervia quanto mai ma cionostante possibile: rimettere al primo posto l’uguaglianza il lavoro la scuola, la dignità della persona diritti universali di cittadinanza, un progetto economico sociale fondato sugli artt. 41 e seguenti della attuale costituzione, il ripensamento dei trattati europei, l’annullamento del TTPI. Si può. Si deve. Al lavoro.
Fonte: Coordinamento Democrazia Costituzionale
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