di Pete Dolack
Il più tiepido dei colpi a favore della democrazia è stato sferrato questa settimana quando il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker ha fatto marcia indietro e dichiarato che dopotutto i parlamenti degli stati membri della UE voteranno sull’accordo di “libero scambio” con il Canada. Solo una settimana prima il presidente Juncker aveva scartato l’idea di qualsiasi apporto democratico, insistendo che l’accordo sarebbe stato approvato unilateralmente dai ministri della UE. Il diktat previsto in precedenza non era un’anomalia e la precipitosa inversione è molto più un esercizio di pubbliche relazioni che un novello rispetto dell’opinione pubblica.
Fin dall’inizio il pubblico era stato escluso dall’Accordo Economico e Commerciale Globale tra Canada e Unione Europea. Ci sono dei motivi per questo, incentrati sul fatto che il CETA è indistinguibile dai vari accordi di “libero scambio” in corso e, come il Partenariato Trans-Pacifico, va persino ben oltre l’Accordo Nordamericano di Libero Scambio.
Fin dall’inizio il pubblico era stato escluso dall’Accordo Economico e Commerciale Globale tra Canada e Unione Europea. Ci sono dei motivi per questo, incentrati sul fatto che il CETA è indistinguibile dai vari accordi di “libero scambio” in corso e, come il Partenariato Trans-Pacifico, va persino ben oltre l’Accordo Nordamericano di Libero Scambio.
Il presidente Juncker ha detto dapprima, il 28 giugno, che non c’era necessità di ratifica da parte dei parlamenti europei, anche se ha graziosamente concesso che i governi della UE potevano “analizzare” il testo del CETA. Il problema, ha detto, era che “consentire ai parlamenti nazionali di dire la loro sull’accordo paralizzerà il processo e metterà a rischio la credibilità del blocco”, ha scritto Deutsche Welle. Beh, non possiamo permettere che una democrazia casinista intralci la lista dei desideri dell’industria, vero?
Deutsche Welle ha scritto il 5 luglio che Germania e Francia avevano insistito per un voto parlamentare con il ministro tedesco dell’economia, Sigmar Gabriel, affermando pubblicamente che il commento del presidente Juncker era “incredibilmente stupido” e avrebbe alimentato “opposizione ad altri accordi di libero scambio”. Nessuna opposizione al CETA qui; semplicemente disagio perché l’assenza di democrazia era diventata troppo sfacciata. Dunque sarebbe irrealistico attendersi che il Bundestag o qualsiasi altro organo parlamentare voti nell’interesse dei cittadini senza che sia esercitata una maggiore pressione popolare.
Sull’altro lato dell’Atlantico il governo canadese sta facendo buon viso a quello che sarà un processo più lungo del previsto, affermando che il cambiamento europeo era “atteso”. La Ministra del Commercio Internazionale Chrystia Freeland si è spinta fino a dichiarare che il CETA è “un accordo commerciale placcato d’oro”. Il governo del Primo Ministro Justin Trudeau ha seguito un percorso molto simile a quello del presidente statunitense Barack Obama, compiendo rapidamente un paio di gesti facili, come insediare un gabinetto di genere paritario, ma consentendo soprattutto che restino in vigore le leggi draconiane di Stephen Harper. Premere per l’approvazione del CETA, anche se è stato negoziato in segreto dal regime di Harper, è coerente con tale percorso.
La procedura di consultazione è mera apparenza
Anche l’antipatia della Commissione Europea per la democrazia è quella che ci si può aspettare. L’ufficio della UE per il commercio, la Direzione del Commercio della Commissione Europea, ha creato una procedura di consultazione pubblica, ma pare non avervi prestato alcuna attenzione. Un portavoce del gruppo Osservatorio dell’Europa Industriale ha detto di questa iniziativa di facciata:
“La Commissione non fa realmente sul serio riguardo alla sua stessa consultazione. E’ più immagine che sostanza… Penso che quelli che hanno scelto di rispondere alla consultazione della Commissione siano presi in giro”.
La “consultazione” che ha contato nel corso dei negoziati è stata quella delle imprese multinazionali. Come è usuale negli accordi di “libero scambio”, leggi e regolamenti che proteggono la salute, gli standard dei luoghi di lavoro e l’ambiente saranno considerati barriere al commercio e ne sarà ordinata la cancellazione da tribunali segreti non chiamati a rispondere a nessuno. Qui siamo di nuovo in presenza di una farsa. Dopo la conclusione dei negoziati CETA il governo tedesco e quello francese volevano fossero introdotti cambiamenti al meccanismo di risoluzione delle dispute stato-investitore che consente alle imprese di contestare i governi (ma non il contrario).
Berlino e Parigi avevano improvvisamente deciso che cedere la loro sovranità a tribunali segreti, in cui siedono in giudizio avvocati dell’industria specializzati nel rappresentare imprese multinazionali, era forse una cattiva idea? No davvero. Si è trattato, come per l’intero processo, di un problema di immagine. Così invece del tradizionale tribunale di tre membri scelti da una lista creata da un organismo arbitrale allineato all’industria, come nel caso delle denunce presentate in base alle regole NAFTA, il CETA avrebbe il suo tribunale permanente di 15 membri. E, come bonus aggiuntivo, ci sarà addirittura un tribunale d’appello. Ma chi siederà in questi due organi? Nient’altro che gli stessi avvocati dell’industria che giudicherebbero comunque tali casi.
Ecco il passaggio relativo, sepolto in profondità nel testo del CETA, all’Articolo 8.26:
“I Membri del Tribunale … dovranno aver dimostrato competenza in legge internazionale pubblica. E’ desiderabile che abbiano, in particolare, competenza in legge internazionale sugli investimenti, in legge internazionale sul commercio e nella risoluzione di dispute che sorgano nell’ambito di accordi internazionali sugli investimenti o sugli scambi”.
Una costruzione sui principi antidemocratici del NAFTA
Nulla di diverso dalle qualifiche ritenute necessarie negli accordi esistenti di “libero scambio” o da quelle proposte nei partenariati Trans-Pacifico e Transatlantico. La formulazione garantisce che avvocati o accademici dell’industria specializzati nei tribunali esistenti e che hanno adottato la mentalità dei loro clienti pronunceranno quelle sentenze; in altri termini un flusso costante di sentenze che elevano il diritto di un’impresa di conseguire il massimo profitto possibile al di sopra di tutte le altre considerazioni umane. Questa dinamica ha fatto sì che il NAFTA sia divenuto una causa sistematicamente persa per i lavoratori in Canada, Stati Uniti e Messico e il CETA accelererà tale tendenza.
Un rapporto sulle ramificazioni del CETA, preparato da Maude Barlow, afferma:
“Con CETA e TTIP, per la prima volta, amministrazioni subnazionali (comuni, province, stati [locali, rispetto al governo federale, come gli USA – n.d.t.]) saranno sottoposti a impegni di approvvigionamento locale che vietano loro di favorire imprese locali e lo sviluppo economico locale. Secondo un’analisi del Centro Canadese per le Politiche Alternative ciò limiterà in misura sostanziale la gran maggioranza delle amministrazioni locale in America del Nord e in Europa nell’uso della spesa pubblica come catalizzatrice del conseguimento di obiettivi sociali, nella creazione di buoni posti di lavoro, nel sostenere gli agricoltori locali e nell’affrontare la crisi del clima”.
Le norme saranno “armonizzate”, cioè ridotte al minimo livello possibile di protezione che si riesca a identificare, e probabilmente anche al di sotto. La Barlow scrive:
“Il CETA impegna a un processo in cui ogni differenza di norme tra Europa e Canada, si tratti di diritti sindacali, di parametri della protezione dell’ambiente, di norme sulla sicurezza alimentare o di regole fiscali, potrebbe essere considerata un ostacolo al commercio ed essere cancellata. Entrambe le parti concordano di condividere tra loro informazioni su norme future, ipotizzate o proposte, ancor prima di condividerle con i parlamenti eletti, al fine di assicurare che non distorcano il commercio. Ciò significa che l’altra parte potrebbe modificare parti di leggi prima che siano sottoposte ai dirigenti eletti o al pubblico”.
Saranno imposte pressioni per privatizzare i sistemi idrici e altri servizi pubblici e i prezzi dei farmaci per icanadesi cresceranno considerevolmente, con un costo di sino a 1,6 miliardi di dollari canadesi l’anno. Come è solito negli accordi di “libero scambio”, non ci sono limiti a chi o a che cosa costituisca un “investitore”. I diritti delle imprese sono delineati in centinaia di pagine, ma i capitoli che si occupano di lavoro, salute, sicurezza e ambiente utilizzano il consueto linguaggio provvisorio. Ad esempio, nel capitolo 21.7, “Le Parti si impegnano a collaborare e a condividere informazioni su base volontaria nell’are della sicurezza dei prodotti non alimentari”. Quando si tratta delle pretese dell’industria, tuttavia, i termini usati sono “devono” e “dovranno”.
Il CETA, come i suoi cugini TTP e TTIP, cementerebbe il diritto delle imprese multinazionali di dare ordini ai governi senza alcun intervento democratico. Ciò sarebbe irreversibile. Peggio ancora, l’approvazione del CETA darebbe nuovo impulso al TPP e al TTIP. Non abbiamo tempo da perdere.
Da ZNetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo
Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/cetas-specter-of-corporate-dictatorship-still-haunts-canada-eu/
Originale: Systemic Disorder
traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2016 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0
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