di Enrico Cerrini
Da molti anni l’Italia sembra arrancare di fronte a tutte le difficili sfide economico-sociali. In particolare, l’economia non cresce a ritmi elevati da prima che iniziasse la crisi economica del 2008, le grandi imprese sembrano scomparse o in fuga dal territorio nazionale, la disoccupazione si attesta a livelli elevati e non si scorgono efficienti piani di rilancio. Le idee appaiono poche e prive di consistenza, sia dal punto di vista economico, dove la continua stagnazione appare lo scenario più realistico, che urbanistico, dove il ruolo delle città sembra vincolato ai grandi eventi.
Lo storico Giuseppe Berta ci ricorda che la situazione italiana non è sempre stata così malmessa, ma ha conosciuto momenti di innovazione e dinamicità che hanno prodotto il cosiddetto “miracolo economico”, negli anni ’50 del secolo scorso. Il cuore che ha permesso il salto in avanti dell’economia italiana risiedeva nel nord-ovest del paese, specialmente nei vertici del triangolo industriale, le città di Genova, Torino e Milano. Solo in seguito, a questo nucleo originario, si allacciò “l’altro nord”, ovvero il nord-est, caratterizzato da poli industriali piccoli ma diffusi.
Berta descrive il Nord Italia come il motore che ha innescato anni di grande sviluppo grazie a caratteristiche che possono essere analizzate in quattro maggiori ambiti, i quali corrispondono ai capitoli del libro: le imprese, i lavoratori, la città e la politica. Berta racconta il passaggio da quella fase di entusiasmo alla fase attuale senza fare agiografie del tempo che fu, ma raccoglie spunti da romanzi, articoli giornalistici, documenti d’archivio come atti di parlamentari o congressuali, per esaminare come quel successo sia nato e si sia sviluppato.
La prima parte del libro si sofferma sulle imprese. Il successo dell’impresa dipendeva spesso dalla personalità dell’imprenditore, che, dotato di una forte visione del futuro aziendale, era in grado di creare innovazione e reddito per gli operai. Tre personalità emersero durante il miracolo economico, sebbene profondamente diverse tra loro, ovvero Vittorio Valletta, amministratore delegato della Fiat, Adriano Olivetti e Enrico Mattei, amministratore delegato dell’ENI. Olivetti e Valletta rappresentano i due imprenditori privati che si spesero maggiormente per l’affermazione del paradigma taylorista e fordista in Italia, il quale consigliava la concentrazione dei mezzi di produzione e la divisione del lavoro operaio in mansioni standardizzate. Al contrario, Mattei è il simbolo dell’iniziativa pubblica e di come questa si interfacciasse con il mondo della politica.
Proprio con la scomparsa prematura di Mattei e di Olivetti e con il passaggio del mercato dell’energia elettrica interamente sotto la mano pubblica, all’inizio degli anni ’60, terminò il miracolo economico. L’Italia si avviava verso una dura fase di scontri tra classi sociali che portarono alla fine della grande industria e alla delocalizzazione nelle campagne. Proprio durante questa fase emerse il nord-est come traino dell’economia italiana, caratterizzato da piccole e medie imprese di elettrodomestici e di prodotti per l’abbigliamento che presentavano fabbriche diffuse nel territorio. Ma la crescita dettata dal nord-est si rivelò più effimera e meno consistente rispetto alla fase precedente.
I lavoratori costituiscono un altro punto cardine del miracolo economico. Berta li descrive dal punto di vista sociale sia nei luoghi di lavoro, ovvero la fabbrica, sia nei luoghi di vita, ovvero la città. Il capitolo che affronta la seconda tematica, analizza come le città del triangolo industriale si ampliarono a dismisura fino agli anni ’70 del secolo scorso, grazie al continuo afflusso di immigrati dal sud Italia e dalle campagne, per poi gradualmente sgonfiarsi. Di pari passo, queste città diventarono sempre più ricche mentre la vita si agevolava. Ad esempio, incrementava il consumo di massa di beni come il televisore e l’automobile, oltre che l’utilizzo della carne e del pesce nelle tavole. Questi cambiamenti hanno influenzarono enormemente gli stili di vita degli italiani.
L’altro capitolo affronta la vita nella fabbrica fordista, in cui gli operai subivano una forte alienazione dal lavoro ed erano costretti a svolgere mansioni ripetitive, soggette a stretti tempi di realizzazione. Una delle micce che accese l’alta conflittualità operaia al termine degli anni ’60 consisteva proprio nei tempi di lavoro. In particolare, l’autore fa riferimento al calcolo dei tempi e l’eterno sospetto, spesso giustificato, che i capi richiedessero l’esecuzione delle mansioni in tempi più stringenti rispetto a quanto pattuito in sede di negoziazione.
Un altro elemento interessante che emerge dalla ricostruzione di Berta, è la preoccupazione per la deindustrializzazione che albergava nei lavoratori e nei partiti di sinistra. Oggi appare quantomeno singolare che questo sentimento emergesse mentre l’Italia si apprestava a diventare uno dei paesi più industrializzati al mondo. L’autore ci ricorda che lo smantellamento dell’economia di guerra a seguito del termine della seconda guerra mondiale, rappresentava un forte rischio di calo della domanda pubblica. Per far fronte alla caduta della domanda da parte dello stato era quindi necessario incentivare i consumi privati, magari incrementando i salari in modo che gli operai potessero spendere parte del loro reddito per comprare ciò che essi stessi producevano.
In questo senso, interviene la parte dedicata alla politica, forse la più attuale di tutto il libro. Infatti, appare come ancora in corso il dibattito che pone l’accento sulla politica economica. Gran parte della dirigenza democristiana si appropriava, almeno nella fase dell’immediato dopoguerra, delle idee liberali del Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, il quale dava priorità alla stabilità della moneta e sosteneva politiche monetarie restrittive al fine di evitare l’inflazione. Secondo l’autore, è il Presidente del Senato Cesare Merzagora il personaggio più adatto a rappresentare il mondo industriale del nord. Candidato come indipendente nelle liste della Democrazia Cristiana, si mostrava insofferente all’apparato burocratico statale e si batteva per attuare politiche di credito alle imprese che potessero creare circoli virtuosi favorendo quelle innovative e lasciando fallire quelle decotte. La terza visione politica è quella di Ezio Vanoni, ministro democristiano sostenitore di un moderato keynesismo, al fine di rialzare i salari in modo da poter stimolare i consumi e avvantaggiare tutte le imprese.
Fu proprio quest’ultima linea ad uscire vittoriosa ed ad accompagnare gli anni più floridi dell’economia italiana. Successivamente, mentre il Partito Comunista, nella figura di Giorgio Amendola, si metteva alle spalle i diktat ideologici che impedivano di scorgere alcun lato positivo nel profitto capitalistico, il keynesismo moderato fu lentamente scardinato in favore di un liberalismo sempre più marcato.
Oggi, la situazione del paese e del nord appare intricata, priva di idee forti. Eppure, il dibattito politico che si articola nell’ultimo capitolo del libro, ricorda le polemiche odierne tra i liberali fautori di un’austerità ortodossa e le due vie d’uscita possibili. La prima, rappresentante della destra, favorisce la parte più ricca della popolazione riducendo le tasse, come sembra manifestarsi in fenomeni come l’elezione di Donald Trump. La seconda rappresenta la sinistra e si basa sul rialzo i salari, come richiesto da politici influenti come Jeremy Corbyn e Bernie Sanders.
Quello che sembra essere assente oggi non sono quindi le idee in sé, ma la loro elaborazione collettiva, una visione del mondo che possa essere il risultato di un’intersezione tra i partiti politici e le forze sociali che essi dovrebbero rappresentare. Come risulta chiaro leggendo il libro, in passato le idee non apparivano come frutti accademici ma come risultato dell’eterno confronto tra realtà sociale, lavoratori, sindacati, partiti e imprese. Tutto ciò appare oggi molto lontano perché le forze sociali non esprimono più un blocco unitario e il dibattito politico si concentra sempre di più sul tamponamento delle emergenze e non su una chiara visione del mondo.
Fonte: pandorarivista.it
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