di Vittorio Bellavite
In queste settimane in una parte dell’area cattolico democratica io, ed altri, abbiamo constatato, insieme a tante opinioni certe e numerose per il rifiuto della riforma, un certo disorientamento rispetto al referendum, interrogativi sul rischio di perdere l’occasione di cambiare qualcosa, preoccupazioni per il dopo, volontà di superare l’immobilismo e tutto ciò insieme all’insoddisfazione per la spaccatura che c’è nel Paese. Esprimo un punto di vista in più, a margine delle tante libere scelte che ognuno farà, in modo magari faticoso.
Mi pare che sia insufficiente la consapevolezza di quanto questa riforma intacchi la Costituzione nel suo significato di Carta di tutti. Il metodo usato lo contraddice. La riforma è stata proposta dal governo, senza un vasto accordo (anzi con un vasto dissenso in Parlamento e fuori), mentre sarebbe stata necessaria un’assemblea costituente (o qualcosa del genere) per una riforma complessiva che fosse largamente condivisa e, quindi, efficace nella sostanza e non solo nella forma. Invece essa è usata in modo improprio per proporre una svolta politica, oltre che istituzionale, che è confermata dall’accanimento con cui il capo del governo la ritiene condizione di qualsiasi percorso virtuoso per il futuro del Paese.
Non mi fermo, per brevità, sugli aspetti negativi, che condivido. Essi sono stati a lungo e ben illustrati dalla maggior parte degli esperti di funzionamento delle istituzioni. Li elenco solo: un eccessivo concentramento dei poteri nell’esecutivo senza contrappesi adeguati, un bicameralismo che non è soppresso ma che resta e che è strutturato nel modo più pasticciato e censurabile, la forte mortificazione delle Regioni (con il salvacondotto delle Regioni a statuto speciale), una legge elettorale poco diversa dal cosiddetto Porcellum e altro ancora (oltre alla pessima stesura tecnica per cui ci sono alcuni passaggi che non si capiscono e che sono passibili di grandi controversie).
Faccio presente alcuni punti della linea di tendenza politico-culturale che mi sembrano sottesi alla riforma:
- viene fortemente rafforzata la personalizzazione della politica e del potere; si stabilisce di fatto, più di prima, un rapporto diretto tra il governo e gli interessi costituiti (quelli privati, soprattutto della finanza e dei potentati delle strutture pubbliche); mortificando le possibilità della politica di contrastarli o guidarli, e ciò a scapito degli interessi generali e penalizzando così, di fatto, nei più diversi campi, le fasce deboli della popolazione;
- le situazioni di sofferenza e difficoltà di ogni genere restano ai margini del sistema. Vengono premiati nella società solo o soprattutto ruoli sociali ed economici fondati, nel migliore dei casi, sulla competitività e sul merito e, nel peggiore, sulle consorterie, su strutture di clientela se non di corruzione o di crimine;
- il Parlamento vede ridotto di molto il suo ruolo, sovrastato dal governo; i partiti, con pochi consensi, senza cultura, senza formazione della classe dirigente, con emarginazione delle minoranze sono di fatto comitati elettorali con cooptazione dall’alto e sottoposti poi a spinte clientelari, alle gerarchie interne, ai personalismi, ad interessi di tipo lobbistico, anche se questa situazione non è generalizzabile in modo indiscriminato: come dovunque ci sono forze sane e controtendenze che meritano di essere appoggiate;
- la cultura della mediazione e dell’ascolto viene considerata un intralcio; ciò che conta è il decisionismo infastidito dalle critiche di diversa provenienza, per esempio dalla stampa e dalla magistratura; c’è contenimento e anche una mortificazione delle strutture sociali “intermedie” (sindacati…) e disinteresse nei confronti delle strutture associative della società civile;
- le strutture regionali vengono svuotate e sottoposte a interventi da Roma con nuovi poteri costituzionali per tagliare corto sui contenziosi continuando nella linea delle mortificazioni delle autonomie locali che si vedono addossare da tempo i costi della crisi con la necessità di tagliare i servizi.
In passato di fronte alla Costituzione la linea era ben diversa e ben più favorevole; di un capovolgimento di atteggiamento mi pare che non si sia molto consapevoli oggi in una parte dell’area del cattolicesimo democratico. Nel 2006 tutte le circa cinquanta riviste di ispirazione “conciliare” si pronunciarono contro la riforma Berlusconi/Bossi i cui contenuti erano abbastanza simili a quella di adesso (anzi, per quanto riguarda le autonomie regionali a me sembrano migliori). Ora la diversa maggioranza che propone la riforma fa apparire ad alcuni accettabile quanto prima era drasticamente rifiutato.
Leggo nel “Manifesto dei valori del Partito democratico” del 2008 questo testo: «La sicurezza dei diritti e delle libertà di ognuno risiede nella stabilità della Costituzione, nella certezza che essa non è alla mercé della maggioranza del momento, e resta la fonte di legittimazione e di limitazione di tutti i poteri. Il Partito democratico si impegna perciò a ristabilire la supremazia della Costituzione e a difenderne la stabilità, a mettere fine alla stagione delle riforme costituzionali. La Costituzione può e deve essere aggiornata, nel solco delle esperienze delle grandi Costituzioni europee, con riforme condivise, coerenti con i principi e i valori della Carta del 1948, confermati a maggioranza dal referendum del 2006». Dov’è la coerenza? Anche i valori fondanti dell’Ulivo del 1995 mi sembra che andassero in direzione ben diversa da quelli della riforma ora sottoposta a referendum.
Franco Monaco, noto esponente dell’Azione Cattolica e deputato del Pd, ha scritto (Il Fatto quotidiano del 23 agosto) una testimonianza di grande interesse che trascrivo integralmente: «Dossetti, già segnato dal suo male, partecipò a convegni in giro per l’Italia da me organizzati con interventi inequivocabili che sono lì, tutti da leggere, contro gli eccessi della democrazia maggioritaria e di investitura, contro l’alterazione dell’equilibrio e della separazione dei poteri, contro la verticalizzazione/personalizzazione della politica e dell’assetto delle istituzioni, contro lo slittamento del referendum costituzionale nella direzione del plebiscito su premier e governo. Con espressioni forti che sembrano scritte oggi. Mi limito a una citazione di sue parole: “La mia preoccupazione è che si addivenga a un referendum, abilmente manipolato, con più proposte congiunte, alcune accettabili, altre del tutto inaccettabili, e che la gente totalmente impreparata e per giunta ingannata dai media non possa distinguere e finisca per dare un voto favorevole complessivo sull’onda del consenso indiscriminato a un grande seduttore, il che trasformerebbe un mezzo di democrazia in un mezzo emotivo e irresponsabile di plebiscito”».
Bisognerebbe fare la storia del dopoguerra repubblicano per mettere in evidenza il ruolo dei cattolici democratici che, in contesti difficili, contribuirono a scrivere la Costituzione nel 1946, a difenderla posizionandosi alla sinistra dello schieramento di governo in rapporto o in dialogo con la sinistra dello schieramento politico in tante occasioni, a fermare l’ondata clericale dei referendum negli anni ‘70 e via di questo passo fino ad Aldo Moro (sì, anche Aldo Moro), a Tina Anselmi, a Beniamino Andreatta e ad altri, per non parlare di Lazzati. Mi piace anche ricordare la vicenda dei cattolici del Partito Popolare, messi da parte per fare l’accordo col fascismo.
Al di là del referendum e delle sue dinamiche istituzionali bisogna osservare anche fatti positivi in contraddizione col populismo della destra e l’autoritarismo del governo che guarda solo al centro (e alla destra) secondo logiche leaderistiche che questa riforma vuole consolidare.
Le forme di partecipazione dal basso esistono nella nostra società e hanno forme diffuse e diverse in relazione alle situazioni territoriali e sociali e sono di dimensioni e di qualità significative. Esemplificando: il vasto mondo dell’ambientalismo, il volontariato nelle sue diversificate espressioni (Ong soprattutto di cooperazione internazionale, assistenza agli “ultimi”…), le iniziative culturali, l’associazionismo antifascista. Si potrebbe continuare.
Il vasto mondo cattolico nelle sue due facce (da una parte le strutture ecclesiastiche, diocesi, parrocchie, ordini religiosi, con la loro presenza sociale ed educativa, dall’altra anche le realtà indipendenti di ispirazione “conciliare”) è attivo e costituisce parte importante del tessuto sociale del nostro Paese. Gran parte di queste realtà sono ora disorientate, estranee, come mai in passato, al sistema politico ed alle riforme in corso, anche perché molte di esse sentono il messaggio di papa Francesco come lontano e diverso da quanto sta succedendo. Anche movimenti come Cl sono entrati in un’area di estraneità alla “presenza” politica che non è nella loro tradizione.
Non è cercando di cambiare le regole in questo modo e con questi contenuti che si affronta una crisi che è anche politica. La riforma della politica passa dalla ricostruzione dei partiti in una società civile che da una parte li alimenta e dall’altra li sollecita e li contraddice; dall’educazione diffusa ai valori dell’etica pubblica che avviene a scuola, nelle famiglie, nei massmedia, nella parrocchie; dalla contraddizione aperta con chi contrasta l’immigrazione, con chi non si accorge o trascura le nuove povertà tra di noi, con chi tollera che le bombe siano inviate dal nostro Paese in Arabia Saudita e via di questo passo. I cattolici democratici che ci sono, che ci sono ancora, in forme diverse e laiche, devono farsi carico delle loro responsabilità, devono ricordarsi della loro storia, devono riprendere in mano la politica non lasciandola alla propaganda e agli slogan, e semmai devono pensare ad impegnarsi a fondo per attuare principi e istanze che sono presenti nella prima parte della Costituzione e che sono ora trascurati o addirittura disattesi.
Fonte: Adista.it
Originale: http://www.adista.it/articolo/56833
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