di Claudia Fanti
Se l'incoerenza in materia di lotta al riscaldamento globale è un problema che riguarda tutti, di sicuro non rappresenta un'eccezione il nostro Paese, che peraltro ha ratificato l'Accordo di Parigi solo il 27 ottobre, e che, proprio per tale incomprensibile ritardo, ha dovuto accontentarsi del ruolo di osservatore senza diritto di voto durante la Prima Conferenza delle parti firmatarie dell’Accordo (CMA1), svoltasi dal 15 al 18 novembre nel quadro della Cop22. Ciò non ha tuttavia impedito al capo delegazione italiana a Marrakech, il ministro dell'Ambiente Gian Luca Galletti, di magnificare l'impegno dell'Italia nella lotta contro i cambiamenti climatici: dopo aver affermato che «indietro non si torna» – «Abbiamo avviato un processo che è irreversibile.
Ce lo chiedono i cittadini di tutto il mondo, ce lo chiede l’economia globale» – il ministro ha ricordato infatti, non senza citare la Laudato si' di papa Francesco, che «già oggi in Italia il 40% dell’energia elettrica prodotta è rinnovabile», ma che in ogni caso il nostro Paese vuole «fare di più». «Davanti a queste sfide – ha dichiarato Galletti –, l’Italia è pronta a dare come sempre il suo contributo e a lavorare con i partner che dispongono di minori capacità e risorse o che sono più vulnerabili ai mutamenti del clima, come i nostri amici dell’Africa o delle Piccole isole. E i nostri sforzi non saranno limitati alle attività di cooperazione internazionale. Sarà infatti nostro preciso impegno quello di portare avanti la sfida di Parigi e lo faremo inserendo all’ordine del giorno del tavolo del G7, che presiederemo nel 2017, proprio la lotta ai cambiamenti climatici».
Ce lo chiedono i cittadini di tutto il mondo, ce lo chiede l’economia globale» – il ministro ha ricordato infatti, non senza citare la Laudato si' di papa Francesco, che «già oggi in Italia il 40% dell’energia elettrica prodotta è rinnovabile», ma che in ogni caso il nostro Paese vuole «fare di più». «Davanti a queste sfide – ha dichiarato Galletti –, l’Italia è pronta a dare come sempre il suo contributo e a lavorare con i partner che dispongono di minori capacità e risorse o che sono più vulnerabili ai mutamenti del clima, come i nostri amici dell’Africa o delle Piccole isole. E i nostri sforzi non saranno limitati alle attività di cooperazione internazionale. Sarà infatti nostro preciso impegno quello di portare avanti la sfida di Parigi e lo faremo inserendo all’ordine del giorno del tavolo del G7, che presiederemo nel 2017, proprio la lotta ai cambiamenti climatici».
Peccato, però, che l'impegno dell'Italia nella lotta contro il riscaldamento globale sia clamorosamente smentito dai fatti: come indica il dossier “L’Italia vista da Parigi”, curato dalle associazioni A Sud e Centro Documentazione Conflitti Ambientali (CDCA) al fine di valutare le politiche messe in atto nel nostro Paese rispetto agli impegni assunti in sede internazionale in materia di cambiamenti climatici (impegni corrispondenti, nel nostro caso, al taglio del 33% delle emissioni nazionali entro il 2030), il governo sembra procedere in tutt'altra direzione. È vero, infatti, spiega il dossier, che, secondo il rapporto Greenitaly 2016 promosso da Fondazione Symbola e Unioncamere, nel mese di giugno del 2016 la quota di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili ha superato, in Italia, quella da fonti fossili e che il nostro Paese vanta, tra le principali economie europee, la quota più elevata di contributo delle rinnovabili sul consumo interno lordo di energia elettrica, ma è altrettanto vero che, se tali risultati sono stati raggiunti grazie a una politica di incentivi per le energie rinnovabili portata avanti dal 2004 al 2013, la situazione è drasticamente cambiata con la riduzione, per giunta retroattiva, degli incentivi al fotovoltaico, con conseguente crollo nella realizzazione di nuovi impianti (dai 150.000 del 2012 ai 40.000 del 2014). E mentre nel 2014 gli investimenti sull’energia pulita sono diminuiti del 60% rispetto al 2013, l'Italia, secondo uno studio del Fondo Monetario Internazionale del 2015 ripreso dal rapporto di Greenpeace “Rinnovabili nel Mirino”, figura tra i primi 10 Paesi dell’Unione Europea per investimenti sulle fonti fossili, per un totale di 12,8 miliardi di dollari nel 2012 e di 13,2 miliardi di dollari nel 2014. Non a caso, il decreto Sblocca Italia approvato nel 2014 incoraggia decisamente l'attività estrattiva, identificando le attività di prospezione ed estrazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale come «operazioni di interesse strategico» e di «pubblica utilità, urgenti e indifferibili». E se il Referendum sulle Trivellazioni del 17 aprile 2016, fortemente avversato dal governo Renzi, avrebbe potuto fare la differenza, dopo il mancato raggiungimento del quorum, e malgrado le rassicurazioni governative, diversi altri progetti estrattivi sono stati approvati. Così, solo per citare un paio di esempi, Edison ed Eni stanno realizzando in Sicilia la nuova piattaforma Vega B, da affiancare a Vega A, la più grande struttura off-shore in Italia, mentre nelle acque del Golfo di Taranto, che ospitano centinaia di esemplari di delfini e balene, arriveranno a breve, dopo il via libera del governo al progetto della società Schlumberg, i cannoni ad aria compressa (air gun) – devastanti per l'ecosistema e la fauna marina – per fare ricerca e prospezione di idrocarburi a soli 13 miglia dalle coste («Più forte dell’air gun – scrive Marevivo, invitando a firmare la sua petizione su https://www.change.org/p/matteo-renzi-stop-agli-air-gun-difendiamo-i-delfini-di-taranto-per-dire-basta-alle-lobby-del-petrolio – ci sono solo i terremoti e i vulcani nel sottosuolo marino»). Come ciliegina sulla torta, va inoltre ricordata l'erogazione di incentivi per 20 anni per la realizzazione di una centrale a carbone nel Sulcis, in Sardegna, nonostante siano ormai ben note le conseguenze devastanti delle centrali a carbone sull’ambiente e sulla salute umana.
Ma non è finita qui: se, sul terreno delle infrastrutture, su 29 miliardi di euro di investimenti il 47% è destinato alla costruzione di autostrade e aeroporti, cioè a sistemi di trasporto ad alto impatto ambientale, non va meglio neppure sul fronte della gestione dei rifiuti, rispetto a cui, ai nuovi inceneritori previsti dallo Sblocca Italia (definiti come «infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale ai fini della tutela della salute e dell’ambiente»), è seguita la decisione del Consiglio dei Ministri, il 10 agosto scorso, di costruire 8 nuovi impianti di incenerimento, in cui saranno bruciati quasi due milioni di tonnellate di rifiuti in più all'anno.
E tutto ciò, conclude il dossier, malgrado diversi studi, a cominciare da quello, pubblicato dall'Enea, dal titolo “Verso un’Italia low Carbon: sistema energetico, occupazione e investimenti”, mostrino come il passaggio a un’economia a basse emissioni di carbonio entro il 2050 sia per l’Italia «tecnicamente ed economicamente fattibile», conducendo il nostro Paese alla piena indipendenza energetica.
Fonte: Adista.it
Originale: http://www.adista.it/articolo/56849
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