di Nichi Vendola
Il referendum costituzionale, voluto da Renzi con l'intento di farne uno strumento di consacrazione popolare e possibilmente plebiscitaria del "renzismo di governo", si sta trasformando in un incubo per il nostro premier. C'è qualcosa che non funziona, qualche granello di sabbia che inceppa la macchina pubblicitaria di Palazzo Chigi, un "male oscuro" che impedisce all'ottimismo giovanilistico dell'attuale classe dirigente di risultare convincente. Diciamo che c'è, sepolta dal chiacchiericcio della politica, una incandescente "questione sociale" che è l'impasto di impoverimento del ceto medio e di precarizzazione della vita (oltre che del lavoro) delle giovani generazioni.
Diciamo che è cresciuta una periferia sociale che ha inghiottito vecchie e nuove povertà, in cui si radicano vecchie e nuove paure, in cui si va decomponendo la narrazione e la strutturazione democratica dell'Italia repubblicana. La propaganda di chi sta al vertice non è credibile per chi sta alla base della piramide sociale. La retorica dell'uscita dal tunnel e del Pil che aumenta dello zero virgola qualcosa non muta nulla nella dimensione materiale di una ciclopica ingiustizia sociale.
Quelli che hanno imparato a diffidare della parola riforma usata come un abracadabra per aprire le porte del futuro, quelli che sono stati ustionati dalla "buona scuola" o dal job's act, quelli che vorrebbero dare voce ai bisogni e ai diritti delle comunità territoriali, sanno fin troppo bene che le riforme non sono buone in sé: tanto più nell'epoca in cui il "riformismo", sotto tutte le bandiere, ha sdoganato le ricette della destra economica, ha introiettato il lessico delle compatibilità di sistema, ha dismesso qualsivoglia abito critico nei confronti di quel capitalismo finanziario che vince sempre, indipendentemente da chi vinca le elezioni.
Le buone riforme sono quelle che abbattono steccati e superano antiche discriminazioni, quelle che ampliano lo spazio dei diritti di cittadinanza, quelle che accorciano le distanze tra governanti e governati. Renzi va nella direzione opposta. E non convince neppure quando rivendica più flessibilità contro quell'Europa dell'austerità che lui, il Pd e le forze del socialismo europeo hanno colpevolmente contribuito a costruire.
Per questo è importante che perda ed è cruciale che vinca il No. Già oggi, prima che inizi la conta dei voti, si possono misurare i danni di una contesa pubblica orfana di passione civile e di grandi idee generali: ogni giorno ciò che appare è la gara tra chi è più anti-casta, tra chi è più abile nella dialettica dello sputtanamento dell'avversario, tra chi è più fantasioso nel degrado della vita istituzionale.
Già questo sposta a destra gli orientamenti profondi dell'opinione pubblica, disincentiva alla politica, spinge alla semplificazione e al primitivismo, sollecita i sentimenti peggiori nei soggetti sociali più esposti alle asprezze della crisi.Questo è il caos.
Non il ribellarsi a un disegno di riforma della Costituzione che è auspicato da Marchionne, da Confindustria, dal sistema bancario internazionale. Il caos è credere che funzioni esorcizzare le radici sociali del ritorno del populismo, del razzismo, di moderni fascismi. Il caos c'è quando la sinistra rinuncia a se stessa e si consegna al partito della paura.
Fonte: Huffington Post - blog dell'Autore
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