di DinamoPress
C'è stato un cambio di passo nella campagna referendaria di Renzi. Quando godeva di sondaggi intorno al 75% presentava il referendum come un plebiscito di tranquilla conferma complessiva anche al governo e all’Italicum. Man mano che il No cresceva ha esasperato la personalizzazione, proclamando che se ne sarebbe andato in caso di sconfitta. Poi ha cominciato a lamentare la personalizzazione e a chiedere una valutazione sul merito della riforma, contestualmente sganciando legge elettorale (quella che “tutto il mondo ci invidia”) e referendum.
Dopo le simulazioni di voto ha capito che i ballottaggi avrebbero favorito solo il M5s e che modificando l’Italicum avrebbe potuto placare la dissidenza interna del Pd. Quando ha visto uno stabile attestarsi dei sondaggi sul No, è corso ai ripari tornando a personalizzare e minacciando catastrofi in caso di sconfitta (dall’aumento dello spread all’invasione di cavallette). Non sottovalutiamo che l’argomento dell’insostituibilità di Renzi e del mantenimento dello status quo ha fatto breccia anche fra non renziani e gruppi disgustati dalla demagogia anti-europeista del Premier.
Dopo le simulazioni di voto ha capito che i ballottaggi avrebbero favorito solo il M5s e che modificando l’Italicum avrebbe potuto placare la dissidenza interna del Pd. Quando ha visto uno stabile attestarsi dei sondaggi sul No, è corso ai ripari tornando a personalizzare e minacciando catastrofi in caso di sconfitta (dall’aumento dello spread all’invasione di cavallette). Non sottovalutiamo che l’argomento dell’insostituibilità di Renzi e del mantenimento dello status quo ha fatto breccia anche fra non renziani e gruppi disgustati dalla demagogia anti-europeista del Premier.
La vittoria di Trump ha fornito due nuovi argomenti: primo ha denunciato l’inattendibilità dei sondaggi, visto che la stampa (peraltro tutta a suo favore!) non ha il polso del “vero” paese, secondo che lui è il vero paese, gli altri sono l’establishment, le élites, la “casta”. Bella faccia tosta per l’esponente massino dei poteri forti, l’amico di Marchionne e della Confindustria, di Davide Serra e delle banche (JP Morgan in testa), l’araldo delle grandi opere, il costruttore del ponte dello stretto, e per una riforma targata Maria “Etrusca” Boschi! Ne è seguita una serie di sgangherate mosse populiste – contro la “politica” e i suoi costi, contro l’Europa, con la farsa delle bandiere e dei finti veto – insomma un ritorno becero alla personalizzazione del voto e alla creazione e demonizzazione di un avversario di comodo, la terribile “accozzaglia”. Lo scontro si è polarizzato soprattutto tra fronte del Sì e Grillo, che non è certo restato indietro come violenza di linguaggio. Effetto Trump: più strilli e ti scosti dal centro, più guadagni voti alla rinfusa.
Figuriamoci quanto ci importa del “politicamente corretto” e dei riti perbenisti di regime. Ma il rischio è che il fronte del NO si schiacci su una protesta populista di destra simmetrica al populismo di centro di Renzi e del fronte del SI, a tutto danno di un NO sociale e di un esito positivo della crisi che comunque ci sarà, dopo il 4 dicembre assieme alla la revisione della legge elettorale.
L’appello, inaudito a sinistra, alla “maggioranza silenziosa” e la pratica sfacciata del voto di scambio e del ricatto terroristico , vogliono dire due cose: 1) che Renzi probabilmente punta a costruire, con una vittoria o perfino con una sconfitta del Sì, un suo personale Partito della Nazione, 2) che ritiene che più alta è la partecipazione più alte siano le probabilità di vittoria per il Sì. Per questo insiste sul manipolabile voto all’estero, cosa di cui il fronte del No si è accorto con ritardo e cui si sta opponendo in forme controproducenti.
Per chi come noi guarda al referendum dal punto di vista dei movimenti, è evidente lo scarso interesse per la difesa della costituzione attuale. A più riprese abbiamo criticato chi in questi mesi si è attestato su posizioni meramente conservative (conservatrici?) della costituzione del ’48. Al tempo stesso però sappiamo bene che qualunque trasformazione costituzionale definisce una serie di rapporti di potere e che la riforma messa in campo del governo punta ad aprire una seconda e più dura fase delle riforme neoliberali nel paese. Per questo alla campagna per il SI abbiamo deciso di opporre un NO Costituente e sociale, convinti che una sconfitta di Renzi al referendum del 4 dicembre potrebbe aprire spazi di affermazione per le lotte o anche, semplicemente, una battuta d’arresto per il progetto neoliberale renziano. Spazi che dovremmo essere in grado di occupare nelle piazze e nel discorso pubblico.
Le attuali difficoltà di costruire un'opposizione reale e duratura nel paese - così come le abbiamo riscontrato nella contestazione a jobs act e buona scuola - non hanno forse fatto fare al fronte del NO quel salto di qualità che sarebbe stato auspicabile, andando oltre quello che già esiste. Ciò non toglie che siamo pienamente coscienti della necessità della intensificazione delle iniziative sociali e di movimento, da qui al 4 dicembre. Per questo stiamo organizzando nei quartieri e all'università momenti di approfondimento, dibattito e mobilitazione. Consci del fatto che, se il 5 dicembre difficilmente ci sveglieremo in un paese migliore, sicuramente rischiamo di ritrovarci in una situazione ancora più complessa di quella attuale.
Fonte: dinamopress.it
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