di Operatori X - Genova
Farla finita con la retorica dell'emergenza: crediamo sia questo il primo passo necessario per costruire un'accoglienza degna, che sappia tenere assieme i diritti dei migranti e quelli degli operatori. Da sempre gli esseri umani migrano, di fronte a enormi disparità economiche e a nuovi fronti di guerra che continuano ad aprirsi, le persone si spostano in cerca di condizioni di vita migliori. Continuare a definire emergenza quello che è un fenomeno strutturale è funzionale a creare un dispositivo di controllo ed alienazione delle persone: dove c'è emergenza non ci possono essere progettualità, pensiero e stabilità, ma ci sono sempre insicurezza, controllo e precarietà.
Da un lato, la retorica dell'emergenza fa sì che ci sia una totale deregolamentazione delle strutture, aprendo la possibilità di gettarsi nel grande business dell'accoglienza a organizzazioni ed imprese che di sociale hanno poco o nulla. Strutture che ospitano decine, se non centinaia di persone, non possono essere altro che ghetti dove confinare i migranti.
Dall'altro, un rapporto di 1 a 50 fra operatori e beneficiari non può fare altro che trasformare gli operatori in controllori. Noi siamo altro, non vogliamo essere lavoratori dell'emergenza e non vogliamo essere guardiani: siamo operatori sociali. Il nostro lavoro non è il controllo delle persone, ma il loro sostegno affinchè possano attivarsi percorsi di autonomia e rivendicazione di diritti.
Al contrario, il mare magnum dell'accoglienza - per come è strutturato oggi - crea legami di dipendenza: non attiva i soggetti, ma li constringe a restare in un luogo a prescindere dalla propria volontà, dipendendo dal sistema, nella speranza di avere i documenti. Sappiamo bene che i problemi a monte di tutto ciò si chiamano legge Bossi-Fini e Trattato di Dublino, che impediscono l'autodeterminazione e la libera circolazione delle persone.
Parallelamente, un sistema fondato sulla retorica dell'emergenza significa appalti e capitolati che si rinnovano con scadenze di pochi mesi e di conseguenza contratti di breve durata per gli operatori, che si trovano in una situazione di forte precarietà e ricattabilità. Se, da un lato, noi operatori di base siamo l'anello debole di questa catena, dall'altro siamo ben consapevoli di essere i principali detentori del sapere di questo lavoro, coloro che quotidianamente ci mettono il pensiero, la propria esperienza e le proprie capacità personali per far andare avanti le strutture, cercando di fornire ai migranti condizioni di vita il più possibili dignitose.
Siamo coloro che fanno funzionare quotidianamente questo sistema e perciò abbiamo il potere di far saltare il banco, rifiutandoci di trasformarci in guardiani, segnalando le strutture in cui le condizioni di vita e quelle di lavoro sono peggiori, disobbediendo alle nuove leggi razziali emanate con il Decreto Minniti-Orlando.
Abbiamo iniziato ad incontrarci proprio a partire dall'opposizione a questo decreto - ormai convertito in legge -, ma subito il nostro sguardo è andato oltre, consapevoli che esso non sia altro che la trascrizione di un processo in atto da tempo: da un lato si definanzia progressivamente lo Stato sociale, mentre parallelamente – con la retorica del degrado, del decoro e della sicurezza - si alimentano la paura e la richiesta di controllo.
Continuare a creare nuovi allarmi ed emergenze è un processo che deresponsalizza le istituzioni, togliendo risorse a qualsiasi progetto di prevenzione e inclusione sociale: è sotto gli occhi di tutti come i servizi sociali che non stanno dentro a questa logica emergenziale vengano progressivamente definanziati e rischino di sparire.
È proprio di questi giorni la notizia che il Comune di Genova stia minacciando nuovi tagli al Terzo Settore; innanzitutto, rifiutiamo nettamente la posizione di chi vorrebbe contrapporre la privatizzazione di AMIU e il Terzo Settore, perchè crediamo che esistano voci di bilancio di un'amministrazione pubblica su cui non si possa fare profitto: servizi che devono rimanere pubblici e al servizio della città.
Crediamo, infine, che sia necessario costruire un fronte unico dei lavoratori del sociale, che rivendichi un welfare differente, che sappia produrre solidarietà e autonomia, piuttosto che dipendenza e controllo, un welfare dove i diritti dei beneficiari vadano di pari passo con quelli dei lavoratori.
un welfare differente, che sappia produrre solidarietà e autonomia, piuttosto che dipendenza e controllo, un welfare dove i diritti dei beneficiari vadano di pari passo con quelli dei lavoratori.
Fonte: dinamopress
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