La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 28 settembre 2015

India e Pakistan, illusioni di dialogo

di Marta Furlan
La storia delle Relazioni internazionali è – ed è sempre stata – caratterizzata da amicizie profonde e stabili, come quella tra Stati Uniti e Gran Bretagna, ma anche da inimicizie minacciose e irrisolvibili, come quella tra India e Pakistan.
Divisi da una rivalità mortale nata con il collasso dell’Impero Britannico delle Indie – ma al tempo stesso inevitabilmente influenzati nelle loro scelte politiche -, India e Pakistan sono i due vicini i cui rapporti si muovono seguendo un ciclo esasperante e apparentemente infinito: scontri sul confine, passi verso l’apertura al dialogo, impossibilità di trovare punti di contatto, collasso del dialogo, accuse reciproche, ritorno agli scontri di confine.
Nessuna sorpresa, quindi, quando questo ciclo si è ripetuto a fine agosto in occasione di un dialogo tra i consiglieri della sicurezza dei due Paesi sul quale Modi e Sharif si erano accordati a Ufa. Ancora una volta infatti (ripetizione di quanto accaduto lo scorso novembre), pochi giorni prima dell’incontro, il Pakistan ha dichiarato la propria intenzione di incontrare i leader separatisti del Kashmir, l’India ha reagito dichiarando la questione del Kashmirlinea rossa, e il Pakistan non ha accolto l’ultimatum affermando che un incontro limitato alla questione del terrorismo come l’India voleva sarebbe stato inutile. Ed è tutto finito in fumo.
Poche speranze, allora, circa il fatto che l’ incontro tra l’indiano Border Security Force e i Rangers pakistani iniziato a Delhi il 10 settembre possa portare a un effettivo avvicinamento su una questione tanto delicata come quella del confine comune. Nonostante la dichiarazione di entrambe le parti rilasciata a conclusione dell’incontro e relativa alla volontà di cooperare per evitare scontri lungo il confine, è difficile che ciò troverà durevole rispetto nella realtà della difficile convivenza nella regione del Kashmir.
IL VICINATO CHE CONVIENE – Eppure, se per un attimo provassimo a cancellare dal quadro le rivalità storiche tra i due Paesi, vedremmo che le ragioni per una cooperazione, nel contesto strategico-politico ed economico attuale, sarebbero molte di più rispetto a quelle che sono le ragioni di conflitto.
È la storia a mostrarci che due Paesi confinanti hanno sempre più da guadagnare da una convivenza pacifica che non da una aperta ostilità, in quanto il loro confine condiviso comporta l’esistenza di interessi condivisi ed è più di un semplice punto di contatto geografico. Francia e Germania, ad esempio, lo compresero più di sessant’anni fa, quando nel desolante contesto europeo del secondo dopoguerra mossero i primi passi per una solida cooperazione attraverso la Dichiarazione Schuman e la CECA.
LÀ DOVE GLI INTERESSI COINCIDONO – Nonostante la distanza e la differenza tra la Francia e la Germania degli anni Cinquanta con l’India e il Pakistan di oggi, la cooperazione è ancora la migliore carta che due vicini hanno da giocare nelle proprie relazioni bilaterali; e del resto a Nuova Delhi e Islamabad non mancano settori in cui c’è un’effettiva convergenza di interessi. A livello di sicurezza gioca un ruolo di primo piano il contro-terrorismo, che – priorità per entrambi i Paesi che ne sono spesso stati vittima – sarebbe molto più efficace se all’asse di cooperazione Kabul-Islamabad si aggiungesse anche New Delhi, che potrebbe dare un significativo contributo in termini militari e di intelligence.
A livello economico, l’avvicinamento dei due tradizionali nemici toglierebbe l’India da quella posizione di vulnerabilità a cui l’alleanza economico-commerciale tra Pakistan e Cina l’ha condannata, e consentirebbe a Islamabad un proficuoavvicinamento a quei Paesi del Sud-est asiatico e dell’Asia Pacifico che sono i principali partner commerciali dell’India e che potrebbero sviluppare interesse a intensificare gli scambi con il Pakistan e a investire nel Paese. A livello politico, una distensione delle relazioni indo-pakistane accrescerebbe il profilo di entrambi i Paesi nella comunità internazionale, dove le continue ostilità e l’incapacità di trovare un accordo sul Kashmir suscitano critiche e deplorazione. A livello energetico, poi, entrambi i Paesi si stanno confrontando con una crescente domanda interna, e la cooperazione potrebbe condurre a un approccio congiunto in cui ognuno avrebbe da beneficiare dall’altro: il Pakistan guadagnerebbe dalle maggiori capacità tecnologiche, infrastrutturali e finanziarie dell’India; l’India si avvantaggerebbe della privilegiata posizione geografica del Pakistan rispetto a Medio Oriente e Asia Centrale – i due principali mercati che forniscono energia dell’India.
Perché allora, nonostante l’esistenza di questi interessi condivisi, non ci si avvicina mai in modo concreto a un sincero dialogo? Il problema di fondo è che si tratta di un dialogo che nessuno dei due Paesi vuole.
LA QUESTIONE IDENTITARIA – Il Pakistan, nato dal turbolento e doloroso processo di partizione del 1947, ha da semprelegittimato la sua nascita, la sua ragion d’essere, e la sua successiva sopravvivenza in un’ottica anti-indiana. Nato comeentità politica e territoriale contrapposta a quella controllata da Nuova Delhi, nato come Paese musulmano contrapposto al vicino di maggioranza indù, si è costruito – fin dagli albori della sua esistenza come realtà autonoma – un’identità politica anti-indiana e un’ identità religiosa anti-induista. Chiaramente da un’identità così plasmata non poteva che discendere una visione politica incentrata sull’opposizione all’India, sull’obiettivo di ottenere profondità strategica in chiave anti-indiana (chiave dell’approccio pakistano all’Afghanistan), sulla percezione dell’India come minaccia militare alla stessa esistenza pakistana.
L’apertura al dialogo con l’India cancellerebbe tutto ciò. Cancellerebbe il modo in cui il Pakistan ha percepito se stesso e il suo ruolo nella regione nei suoi 68 anni di vita e renderebbe necessario definire una nuova identità, trovare una nuova legittimazione alla propria esistenza, elaborare una nuova strategia, e ritagliarsi un nuovo ruolo. Ripensamenti ai quali le élite politiche e militari pakistane non sono oggi pronte.
UN VECCHIO NEMICO IN SECONDO PIANO – Guardando all’India è necessario rilevare che anche qui il discorso politico è stato caratterizzato per 68 anni da una retorica anti-pakistana che non si è mai esaurita e che, anzi, ogni scontro sul confine e ogni dialogo cancellato non fanno che rinfocolare e radicalizzare. Per una popolazione indiana che ha sempre guardato al vicino ovest come al proprio nemico principale, le ragioni dell’avvicinamento al Pakistan appaiono a molti insufficienti a giustificare un’apertura al dialogo. La demonizzazione cui il Pakistan è stato ed è in larga parte ancora soggetto in India rendono difficileper Modi (e per chiunque altri al posto suo) trovare ampio consenso ai tentativi di distensione, e men che meno a concessioni. Da qui la rigida posizione indiana che ha portato a tracciare una linea rossa sul Kashmir.
Ancor più rilevante però – o quantomeno elemento che nell’ultimo anno si sta rilevando sempre più tale – è la costante crescita della potenza indiana. Più Delhi si afferma come grande potenza economica e politica, più intensifica le proprie alleanze, più diversifica le regioni in cui intervenire per esercitare la propria influenza, più si afferma come soggetto autonomo e coeso dello scacchiere internazionale, e più percepisce il Pakistan e l’avvicinamento ad esso come una questione non prioritaria nella propria agenda di politica estera.
IL CICLO CHE NON SI INTERROMPE – Pertanto, di fronte a un Pakistan che fatica a definire una propria identità autonoma rispetto al vicino indiano, e a un’India che non comprende che è proprio per difendere e accrescere il proprio status di grande potenza che dovrebbe rendere la stabilizzazione con il Pakistan la propria priorità, neppure i vantaggi economico-commerciali, politici e di sicurezza che una distensione porterebbe saranno in grado di spezzare quel ciclo decennale checondanna ogni tentativo di dialogo all’insuccesso.

Fonte: Il Caffè geopolitico

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