La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 28 settembre 2015

Pluralismo culturale, campo di resistenza al globalismo

di Tito Pulsinelli 
Abbondano quelli che credono che il mondo sarà migliorequando si sarà uniformizzato, cioè dopo la scomparsa di ogni stile di vita difforme e di tutte le culture locali. Costoro, ovviamente, assimilano lamolteplicità, peculiarità e specificità delle culture e dei popoli alla superstizione eai pregiudizi.
Ne fanno abusivamente una sorta di amalgama di sciovinismo e nazionalismo, quando non un’espressione indefinita e deprecabile di residuale passatismo o fascismo. Da estirpare o sterilizzare come meritoria igiene del mondo. L’arroganzadei nuovi crociati modernisti, fans tardivi della “fine della storia”, sprigiona odio verso tutto quanto ci ha preceduto. Diffondono l’idea rassicurante che ogni passato è stato un errore, indicibile barbarie o raccapricciante fondamentalismo. 
Fieri di presumere una supposta superiorità del presente su ogni passato, e dell’unidimensionalismo su ogni altra fase del ciclo evolutivo. Ogni trascorsamitologia, poesia, architettura, musica e medicina sarebbe di per se – “a prescindere”, diceva Totò- “inferiore” al neo-totalitarismo economico che ha ridotto i saperi a mera tecnica. Per di piú subordinata alla moltiplicazione centrifuga della pecunia. Ad ogni costo, incluso quello manicheo dello “scontro delle civiltà”.
Sembra che gli arroganti che esigono l’estinzione forzata delle culture locali nell’unicità del globalismo, siano il frutto rarissimo di una assai singolareautogenesi. Non il risultato dell’ evoluzione o più probabilmente di qualche patologia degenerativa. Il puerile narcisismo degli ultimi ideologizzatisopravvissuti, suggerisce che non sarebbero tributari di nessun passato. Di nessuna tradizione. Autocreazione pura, originati dal nulla non perfettibile,pertanto depurati e invulnerabili a ogni influsso “maligno”. Incontaminati da qualsiasi altra cultura “periferica” che -a tal titolo- vogliono estirpare con furore.
Allora da dove arriva la cultura globale? Perchè si colloca al sopra o fuori di ogniprocesso di interazione dei linguaggi e delle memorie, o del confluire di conoscenze che si condiziona(ro)no reciprocamente? Se alle spalle non c’è la creatività e la sapienza di almeno una tradizione, allora il globalismo culturaleè una coloniale e ordinaria estensione di una sola sottocultura.
Espansionismo con ambizione planetaria di una cultura scarnificata: indetenibilecomplesso di superiorità, aggrappato all’adorazione dell’usura come elemento fondante della socialità.
In pratica, colonizzazione della vita quotidiana come feroce determinazione acancellare i legami profondi che ricongiungono i vivi ai morti, il passato al presente, e questo al divenire. Difendere la pluralità e policentrismo delle culture dall’assalto di ogni universalismo. Soprattutto quando si riduce a scoria inquinante della macchina economica che pretende assoluta sottomissione dell’umano e del naturale.
Difendere la biodiversità significa attestarsi sui campi di resistenza della civiltà umana. Far quadrato contro l’individualismo e l’atomizzazione sociale e culturale, passa per il superamento dell’unipolarismo, cioè del concetto erroneodi un centro unico e molte periferie. Al contrario, lo stato attuale delle cose evidenzia con forza l’esistenza multicentrica di vari poli, diversi e confluenti, lontani da ogni universalismo, scientista o pseudo-religioso.

Fonte: cambialimondo.org

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