di Maurizio Landini
Quando, nel febbraio scorso, il presidente del consiglio si è recato a Mirafiori per rendere omaggio all’amministratore delegato della Fiat (pardon, Fca…), e indicarlo al paese quale riferimento per le strategie da adottare anche nel rapporto con i lavoratori, ho pensato immediatamente a Pietro Ingrao.
In particolare, al suo discorso di trentasette anni prima alle acciaierie di Terni.
Ricorreva il trentennale dell’entrata in vigore della nostra Costituzione e Ingrao, all’epoca Presidente della Camera, che si recò in quello stabilimento su invito del Consiglio di Fabbrica per parlare della nostra Carta fondamentale, si rivolse agli operai presenti definendoli «costituenti». Li collocò solennemente e formalmente tra i padri costituenti.
Si dirà: ma in questi trentasette anni è cambiato il mondo! Ed è senz’altro vero. Ma da qui ad assumere, per quanta acqua sia passata sotto i ponti, come una naturale evoluzione del senso civico il rovesciamento della funzione sociale del lavoro, così come definita e posta a fondamento della nostra Repubblica, ce ne passa.
E’ stata utilizzata la lunga crisi di questi anni per portare a compimento una gigantesca operazione di regressione del lavoro, nel tentativo di riportarlo a mero rapporto di scambio, alla originaria dimensione di merce.
Un’intera generazione di giovani lavoratori è schiacciata da una precarietà diventata condizione strutturale. La corsa alla modernizzazione del lavoro nell’epoca dell’economia globale si sta concludendo al traguardo del ritorno all’antico. Una lunga stagione segnata dall’affermazione dei diritti del lavoro e nel lavoro si sta rovesciando nel suo contrario. Quando si passa, come con il Jobs Act renziano, dalla tutela dei lavoratori alla tutela dai lavoratori non si è semplicemente di fronte ad una discutibile riforma del mercato del lavoro, ma al compimento di una strategia che vuole riscrivere un intero modello sociale e chiudere a doppia mandata un intero ciclo di conquiste che hanno avuto i lavoratori come protagonisti.
Solitudine politica delle persone che lavorano e frantumazione dei legami sociali non possono essere l’epilogo di questa fase. La Fiom ad esso non si rassegna. Ecco perché pensiamo sia giunta l’ora di non limitarsi solo ad un’azione di resistenza per ritardare il compimento di un destino scritto nei processi reali, che per quanto ci riguarda si tradurrebbe nel rinchiudere una storia nel recinto dell’aziendalismo e del corporativismo. Ecco perché pensiamo come necessario ritessere la trama di legami sociali solidali che, per effetto dei processi economici e delle scelte politiche, è stata sfilacciata.
Ecco perché lavoriamo al progetto di coalizione sociale.
Diventano centrali, in questa situazione, i temi e le domande sul senso del lavoro, e sul rapporto tra lavoro e vita, che Pietro Ingrao da anni va ponendo all’attenzione del dibattito politico, spesso inascoltato o non compreso. La sua capacità di leggere con largo anticipo i processi di fondo, il dubbio assunto come metodo, hanno costituito gli elementi fondanti di una relazione feconda e strettissima intrecciata nelle lotte dei metalmeccanici con il loro sindacato, la Fiom, e con chi l’ha diretta in anni difficilissimi ma ricchi di successi, come Bruno Trentin.
Per me scrivere di Ingrao nel momento in cui la sua vita raggiunge un’età straordinaria è motivo di particolare gioia e orgoglio. Per ciò che Ingrao rappresenta per la Fiom (di cui è il primo iscritto onorario!); per ciò che rappresenta per intere generazioni che hanno in lui un riferimento politico, etico e morale.
E per dirgli pubblicamente ciò che non ho avuto modo di fare privatamente: che la sua inesauribile curiosità per le cose grandi e piccole del mondo e della vita rappresenta uno stimolo formidabile per tutti noi ad andare avanti.
Buon compleanno, Pietro.
Fonte: il manifesto
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