di Giuliano Santoro
La macchina si rimette in moto, i seggi riaprono e il claudicante dispositivo del silenzio prima del voto vacilla. È il secondo tempo di una partita elettorale che ha ridisegnato la politica romana e che pare destinata a cambiare gli equilibri politici di una città e probabilmente del paese. Decifrarne la cartografia serve a capire meglio il voto di oggi e anche a prevedere gli scenari futuri. Parte davanti Virginia Raggi. Ha raccolto il vantaggio che le hanno lasciato i partiti (tutti) all’indomani di Mafia Capitale e le rocambolesche vicissitudini del sindaco Ignazio Marino. La mappa del voto indica la capacità di Raggi di raccogliere il voto delle periferie, della parte di città globale dimenticata, al di fuori del parco a tema per turisti e benestanti. Ma i freddi numeri dicono qualcosa di più.
Intanto, raccontano un voto speculare all’incapacità del Pd e della sinistra di uscire dalla ridotta della città storica. «Il voto al Pd e alla Sinistra di Fassina è inversamente proporzionale alla distanza dal Campidoglio, al contrario di quello al M5S» spiega analizzando il risultato del primo turno per il Centro per la Riforma dello Stato Federico Tomassi. Il quale osserva che le curve dei voti per Stefano Fassina e Roberto Giachetti in qualche modo «si somigliano», seguono andamenti corrispettivi. I voti dei delusi del Pd non vanno a sinistra del Pd.
Chi smette di votare per gli ex partiti del centrosinistra opta per tutt’altra soluzione.
Alle comunali del 2013, avevano votato per i 5 Stelle i giovani meno istruiti, i meno occupati e i residenti dei quartieri a bassa densità. Il M5S era il partito dello sprawl urbano, della città dispersa in cerca di rappresentanza.
Questa volta, pur mantenendo quella base, Raggi va meglio tra giovani imprenditori e ceto medio e (relativamente) peggio tra donne e poveri. Pesca in periferia ma anche nel ceto medio riflessivo. «La distribuzione del consenso adesso rispecchia più un candidato moderato che un outsider antisistema», dice un altro analista del Crs, Nicola Genga.
Questo sfondamento corrisponde a un movimento decisivo, che colloca il M5S in una posizione centrale nello spettro della distribuzione del voto. Questo è uno dei motivi che fa ritenere che il vantaggio di Raggi sia davvero incolmabile: il M5S conquista una posizione mediana, diventa il baricentro dell’elettorato.
Almeno a Roma, il sogno renziano del Partito della Nazione, soggetto leggero, trasversale a classi sociali e collocazione politica, si realizza col M5S. Il suo successo per la prima volta combacia col boom delle politiche del 2013 perché il voto assume un significato nazionale. Il clima da plebiscito annunciato da Renzi in ottobre conosce una specie di anticipazione, che spiegherebbe il modo in cui tutti gli anti-renziani, di qualsiasi parte politica, si trovano a loro agio sotto l’ombrello pentastellato.
Se si osservano le tabelle dell’«indice di personalizzazione» (cioè del rapporto tra voto al sindaco e voti a liste), scopriamo che Virginia Raggi non ha rappresentato un valore aggiunto, meglio di lei da questo punto di vista hanno fatto Meloni e persino Fassina. A Roma, dice Ipr, la Raggi si è presa il 28,4% dei voti del Pd, il 15% di quelli di Forza Italia e pure il 12,3% degli elettori di Giorgia Meloni. A confronto con le comunali precedenti, al M5S sono andati un terzo dei voti che furono di Marino e il 20% di quelli che finorono rispettivamente a Gianni Alemanno e a Alfio Marchini.
Se questa polifonia contraddittoria eppure vincente dovesse tradursi in soluzioni amministrative, la retorica del «buon senso» e delle soluzioni «oneste» si scontrerebbe con la durezza dei fatti. Il difficile percorso di costruzione della giunta e le (poche) caselle riempite dicono qualcosa. La candidata pentastellata ha detto che le Olimpiadi «non sono una priorità» e ha scelto una figura come Paolo Berdini, oggettiva garanzia sulle scelte urbanistiche.
Dovrà mettere mano alla delicatissima questione rifiuti ma la storia professionale dell’assessore in pectore Paola Muraro non la descrivono esattamente come nemica degli inceneritori o sostenitrice dell’«opzione zero».
Dal direttorio grillino molti lasciano intendere che la partita di Roma si vincerà solo continuando a proiettare le sue ombre sulla scena nazionale. Ecco perché quel breve tratto di strada che separa il Campidoglio da Palazzo Chigi, le difficoltà del governo Renzi, a vedere dall’incerta base sociale della giunta Raggi, saranno forse ancora più determinanti.
Fonte: Il manifesto
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