di Piero Terracina
Leggo sul manifesto di mercoledì l’articolo «Pharrajimos genocidio Rom». Avete fatto molto bene a ricordare lo sterminio dei migranti (Rom ma anche Sinti) perpetrato dalle SS naziste la notte tra il 2 e il 3 agosto 1944. Si tratta di un tristissimo episodio di cui si parla poco, troppo poco e non è giusto. Erano e sono esseri umani anche loro. Si tratta di un popolo ricco di cultura, tradizioni e di folklore che meriterebbe di essere protetto e non dimenticato come se si trattasse di un popolo senza storia: da dimenticare e dimenticato. Non è esatto che non ci sono più testimoni; io ero lì quella notte terribile.
Non ho potuto vedere niente perché ero rinchiuso in una baracca del lager D di Birkenau, separato dal lager. E dove erano rinchiusi Rom e Sinti separati da loro soltanto dal filo spinato dove passava la corrente ad alta tensione, ma ho sentito tutto. Nella notte sentimmo arrivare le SS e l’abbaiare dei cani. Credevo che venissero nel nostro recinto e insieme agli altri rimanemmo col fiato sospeso in attesa degli eventi che ci aspettavamo che non avrebbero potuto che essere terribili.
Ci rendemmo invece subito conto che tutto accadeva al di là del nostro recinto, nel lager E.
Prima ordini urlati in tedesco col continuo abbaiare dei cani; poi un grande frastuono, grida di gente che veniva colpita, le persone che gridavano a gran voce per cercarsi, il pianto dei bambini che erano stati svegliati in piena notte. Un inferno. Poi, dopo aver sentito che tutti si allontanavano, il silenzio.
La mattina dopo appena svegli alle 4 e mezza del mattino il primo pensiero fu quello di andare a guardare dall’altra parte del filo spinato; non c’era più nessuno, solo silenzio. Un silenzio agghiacciante. E fu sufficiente dare uno sguardo ai camini dei forni crematori che andavano al massimo della potenza per capire che erano stati tutti assassinati nella notte.
Com’era prima mi sembrava un’oasi felice: nel settore dove ero io era soltanto disperazione e morte; dall’altra parte c’era la vita. C’erano tanti bambini, molti dei quali certamente nati dentro a quel recinto; giocavano, gridavano, si rincorrevano e dove ci sono i bambini c’è la vita, c’è speranza, c’è il futuro. Invece…
Sono convinto che Rom e Sinti li rinchiusi fossero certi che quelle attrezzature di morte che loro bene conoscevano non fossero per loro, che un giorno quei cancelli per loro si sarebbero aperti e avrebbero ripreso le vie del mondo con i loro carri, liberi e senza confini come gli «Zingari» sono sempre stati.
Fonte: il manifesto
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