La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 18 settembre 2016

Islam, uno scisma proiettato sul presente

di Ernesto Milanesi
Un agile compendio dedicato ai 200 milioni di devoti sparsi dall’Iran all’Azerbaigian, dal Libano fino al Bangladesh. E soprattutto l’indispensabile vademecum per comprendere una fede assolutamente alternativa all’eresia Daesh. Mohammad Ali Amir-Moezzi, professore di Esegesi e teologia dell’islam sciita all’Éecole pratique des Hautes Études alla Sorbona, racconta la storia dell’altro islam insieme all’identità di una minoranza spesso perseguitata. L’islam degli sciiti. Dalla saggezza mistica alla tentazione politica (Edizioni Dehoniane, pp. 88, euro 8) tradotto da Giovanni Cerro schiude una prospettiva «ecumenica» a partire dall’assunto: «Lo sciismo è una imamologia esattamente come il cristianesmo è una cristologia».
Lo «scisma» risale al 632, quando Abû Bakr e ‘Umar scipparono ad Alî la naturale guida della comunità alla morte di Maometto. E già qui scatta la radicale alternativa al Califfato che culminerà nel massacro di Karbala nel 680, quando all’iniziale «complotto» dinastico si aggiunge il «tradimento» nei confronti dell’eredità del profeta di Allah.
Così il «partito» si fa stato di fede fino a coltivarne l’occultamento con il dodicesimo imam. Spiega Mohammad Ali Amir Moezzi: «Imam è una parola che, nel mondo sciita, non rappresenta semplicemente gli esperti della religione, bensì guide spirituali veneratissime. La specificità di questa corrente sta proprio nella profonda devozione agli imam, che dà forma alla teologia – lo sciismo è la religione della guida spirituale – così come alle espressioni di fede popolare. Con tutte le forme di venerazione a Muhammad, Fatima e Ali, ai loro figli Hasan e Husayn e a tutti i discendenti».
Con la rivoluzione del 1979, gli sciiti sono diventati sinonimo di seguaci di Khomeyni nella Repubblica degli ayatollah che hanno sancito la religione di stato in Iran.
Tuttavia, questo islam si rivela ben più complesso e ricco delle semplificazioni geo-politiche anche di stretta attualità. È una visione duale del mondo, della fede, della teofania: «Tutte le realtà, dalle più sacre alle più banali, possiedono almeno due livelli: uno apparente (zâhir) e un livello segreto, non manifesto (bâtin) che a sua volta può contenere altri livelli ancora più segreti (bâtin al bâtin). Il livello nascosto, esoterico di Dio, è il livello dell’inconoscibile, dell’assoluto nascondimento divino».
Per gli sciiti il Corano è libro silenzioso, guida muta perché spetta all’imam il ruolo di «Corano parlante». Tant’è che ai «musulmani smarriti» fa da contraltare la disciplina dell’arcano. «Iniziazione e lotta: tutto il destino storico dello sciismo può essere considerato come una tensione tra queste due costanti, poiché esso ritiene che la prima determini la spiritualità dell’umanità e la seconda la sua storia. Il fedele sciita è costantemente chiamato a tenersi in equilibrio al punto di intersezione di questi due assi» conclude Mohammad Ali Amir Moezzi.
Islam, dunque, con una secolare storia parallela. Dottrina «ermeneutica» e insieme fede diversa. È la gente della walâya: «Il termine significa sia prossimità, amicizia, amore e alleanza, sia potere, autorità o anche carisma e santità. Nella sua accezione tecnica sciita il termine possiede due significati principali: l’uno legato al fedele credente, l’altro alla figura dell’imam».
Allora se a Teheran l’islam sciita è approdato all’ideologia della guida suprema anche in termini politici, resta il fatto che la «saggezza mistica» di questa fede non si lascia liquidare tanto facilmente né confondere con le banali categorie del dopo 11 settembre. Forse, occorre misurarsi laicamente con un mondo tutt’altro che estraneo alle nostre stesse radici. A maggior ragione, in tempi di «guerra di religione».
Tanto più che Mohammad Ali Amir Moezzi ci aveva ammonito per tempo: «L’islam politico e radicale era praticamente inesistente, qualche decennio fa. È divenuto il mostro potente e onnipresente che sappiamo soprattutto dopo l’invasione dell’Afghanistan e della Cecenia e quella americana dell’Iraq, con le atrocità commesse da questi invasori sulle popolazioni locali».

Fonte: Il manifesto 

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