di Antonio Mazzeo
Le immagini che segnano inequivocabilmente l’estate 2015, i crimini globali dell’Europa del capitale e dei profitti, dei diritti violati e negati, dell’apartheid e delle discriminazioni. I raid aerei in Iraq, Pakistan e Afghanistan. E quelli in Libia e Corno d’Africa. Centinaia di bombe sganciate in Siria, Kurdistan, Yemen. L’esodo forzato dei sopravvissuti, le tragiche marce per i deserti, i naufragi negli abissi del Mare Mostrum. La stazione di Budapest come Auschwitz, i treni dei rifugiati bloccati, sequestrati e piombati dai poliziotti e dall’esercito in tenuta antisommossa. Un nuovo filo spinato di 200 km al confine con la Serbia, protetto da tank, cingolati, carri armati e dalle truppe d’élite addestrate per i conflitti Nato del Terzo millennio. Chi fugge attraverso i Balcani dagli inferni di guerra mediorientali e africani non deve arrivare in Austria o in Germania. Altri treni sono bloccati dalle forze armate della Repubblica Ceca. Gli avambracci dei profughi, bambini compresi, vengono marchiati con numeri indelebili. Le autorità di Praga e Vienna ordinano il trasferimento di decine di migliaia di militari ai valichi di frontiera sud-orientali. In Macedonia è decretato lo stato d’emergenza, ogni sospetto di migrazione può essere arrestato o deportato, il confine con la Grecia è armato e ipermilitarizzato. Pugno di ferro anche a Sofia, tolleranza zero per siriani e afgani, la Gendarmeria e i cingolati dell’esercito schierati ai valichi con Macedonia, Grecia e Turchia, ancora un muro elettronico e altro filo spinato a presidio dell’Europa lager-fortezza.
Cariche, botte, idranti, pallottole di gomma e gas per i migranti in lotta nel Canale della Manica o a Ventimiglia, per i disobbedenti nei centri di reclusione di Berlino, Parigi e del sud Italia e per migliaia di rifugiati approdati nell’isola greca di Kos o nelle coste meridionali della Turchia. “Dei 6.600 militari impegnati nell’operazione Strade Sicure - ammonisce il sito del ministero della Difesa italiano - 870 sono impegnati nella sorveglianza dei siti che ospitano i rifugiati e richiedenti asilo, così come gli stranieri in attesa di identificazione”.
Cariche, botte, idranti, pallottole di gomma e gas per i migranti in lotta nel Canale della Manica o a Ventimiglia, per i disobbedenti nei centri di reclusione di Berlino, Parigi e del sud Italia e per migliaia di rifugiati approdati nell’isola greca di Kos o nelle coste meridionali della Turchia. “Dei 6.600 militari impegnati nell’operazione Strade Sicure - ammonisce il sito del ministero della Difesa italiano - 870 sono impegnati nella sorveglianza dei siti che ospitano i rifugiati e richiedenti asilo, così come gli stranieri in attesa di identificazione”.
L’Unione europea conferma ogni giorno di più il suo fallimento politico-istituzionale ma condivide unanimemente le pratiche di guerra xenofoba-razzista, respingimenti e reclusioni. Le cancellerie sono divise, la moneta unica è in caduta libera sui mercati della speculazione, ma c’è un accordo generale sui tagli alla spesa sociale e sulla necessità di rafforzare l’offensiva militare contro il flusso di migranti. Così l’estate 2015 è anche quella delle decine di unità navali, aerei da guerra, elicotteri, velivoli senza pilota che pattugliano le acque del Mediterraneo con l’obiettivo di proiettare ancora più a sud le frontiere dell’Unione. Per poi occupare militarmente le città costiere di Libia, Tunisia ed Algeria e trasferire in Africa centri d’identificazione e “prima accoglienza” e strutture detentive per rifugiati e richiedenti asilo. Dal 27 luglio è divenuta pienamente operativa la missione navale EuNavFor Med “contro le reti di trafficanti e scafisti in nord Africa”. Il comando ha sede presso l’Operational Headquarter Ue di Centocelle-Roma, mentre alle operazioni contribuiscono fattivamente con uomini e mezzi 14 paesi europei, anche se oggi la forza navale ha in dotazione solo 4 unità navali (la portaerei italiana “Cavour”, la fregata tedesca “Schleswig-Holstein”, la rifornitrice tedesca “Werra” e la nave ausiliaria britannica “Enterprise”) e 5 tra elicotteri ed aerei (due italiani, uno francese, uno inglese e un pattugliatore marittimo lussemburghese Seagull Merlin III schierato nella base siciliana di Sigonella). Il contributo italiano include pure un sommergibile e due velivoli a pilotaggio remoto “Predator” per un totale di circa 800 uomini a cui si aggiungono le unità e i reparti assegnati ad un’altra operazione di “sorveglianza” marittima - solo italiana - Mare Sicuro, avviata il 12 marzo 2015 a seguito dell’incancrenirsi del conflitto libico.
Bruxelles ha stabilito che la nuova forza navale dovrà procedere con l’identificazione e il monitoraggio dei network dei trafficanti attraverso la raccolta delle informazioni e la sorveglianza delle acque internazionali. In verità, l’Unione europea si prepara a gestire in prima persona vere e proprie operazioni belliche nel Mediterraneo centrale e in nord Africa. Alle unità di EuNavFor Med sarà assegnato infatti a medio termine il compito di intercettare e abbordare le imbarcazioni di migranti e richiedenti asilo già in acque libiche e, finanche, di bombardarle in rada. Lo scorso 19 giugno, l’Ue ha approvato un piano che struttura l’intervento militare in tre fasi. La prima riguarda la raccolta di dati d’intelligence sui traffici e il pattugliamento in mare aperto, a cui seguirà una seconda fase con l’intervento diretto dei reparti militari d’élite a bordo delle imbarcazioni che trasportano migranti “per disabilitarle e arrestare i trafficanti”. La terza fase prevede che queste operazioni vengano estese in acque territoriali libiche e “possibilmente all’interno del paese stesso”. Gli interventi saranno coordinati direttamente con la Nato e con le forze armate statunitensi di stanza in Europa. Il Segretario generale dell’Alleanza Atlantica, gen. Jens Stoltenberg, ha fatto sapere che la Nato è pronta a intervenire contro gli scafisti nordafricani, con la giustificazione che “sui barconi dei migranti potrebbero imbarcarsi anche terroristi o miliziani ISIS”. In realtà è perlomeno dal 2010 che il comando alleato di stanza in Campania (Aftsouth Napoli) condivide alcune delle informazioni raccolte dalle imbarcazioni e dai velivoli Nato con l’Agenzia europea per il controllo delle frontiere Frontex e con l’Ufficio di polizia europeo Europol. Ed è perlomeno dal 2005-2006 che la Nato fornisce assistenza alle diverse agenzie nazionali anti-migranti dei Paesi partner del Mediterraneo. Proprio in vista di una più stretta cooperazione Ue-Usa-Nato nel contrasto delle migrazioni, il 28 e 20 luglio scorso il comandante in capo di EuNavFor Med, l’ammiraglio italiano Enrico Credendino, si è recato in visita a Washington per incontrare i responsabili del Dipartimento di Stato e della Difesa e della US Coast Guard. La risposta del Pentagono è arrivata in tempi record per bocca del Capo di Stato maggiore degli Stati Uniti d’America, generale Martin Dempsey. “Dobbiamo affrontare unilateralmente con i nostri partner questa questione come un problema generazionale, e organizzarci e preparare le risorse ad un livello sostenibile per gestire questa crisi dei migranti per i prossimi 20 anni”, ha dichiarato Dempsey. In che modo lo spiega il primo ministro britannico Cameron. “Per risolvere il problema alla radice entro ottobre inizieremo una campagna di raid aerei contro le postazioni dell’ISIS e lanceremo un’azione di intelligence contro i trafficanti di esseri umani in Siria e in Iraq”, ha dichiarato il premier al Sunday Times. Anche autorevoli strateghi militari occidentali e lo stesso governo australiano ritengono che “un incremento dei bombardamenti contro il Califfato potrebbe aiutare a rallentare il flusso dei migranti”, specie se affiancato da un dispositivo aeronavale che si faccia carico nel Mediterraneo dei cosiddetti ‘’respingimenti assistiti” (o dei “migranti riaccompagnati’’), espressione sulla scia del politicamente corretto come quella sulla “guerra umanitaria” di famigerata memoria.
A seguito della decisione del governo Renzi di porre termine alla controversa operazione militare Mare Nostrum, troppo dispendiosa e comunque incapace a contenere il flusso d’imbarcazioni di migranti e richiedenti asilo verso il sud Italia, il 1° novembre 2014 Frontex ha dato vita all’Operazione Triton, prioritariamente con finalità di sorveglianza marittima e, solo sussidiariamente, di “salvataggio”. Inizialmente Frontex aveva destinato alle attività di pattugliamento 2,83 milioni al mese, 65 “agenti” e 12 mezzi militari, limitando l’area operativa alle acque territoriali italiane e solo parzialmente alle zone SAR (search and rescue) di Italia e Malta, per un raggio di appena 30 miglia nautiche. In primavera però la Commissione europea ha deciso di prorogare sino alla fine del 2015 il programma Triton, stanziando una dotazione aggiuntiva di 18 milioni di euro ed estendendo a 138 miglia nautiche a sud della Sicilia il raggio d’azione militare. Attualmente il dispositivo di Frontex nel Mediterraneo centrale conta su tre aerei, sei navi d’altura, dodici pattugliatori e due elicotteri. Bruxelles tuttavia intende finanziare le operazioni aeronavali dell’agenzia anche per il prossimo anno. Sarebbero pronti infatti altri 45 milioni circa da destinare a Triton2016 e alla missione anti-migranti Poseidon avviata da tempo nell’Egeo e in territorio greco.
L’Ue ha pure deciso d’istituire in Sicilia una centrale mediterranea di Frontex. “La base regionale avrà sede a Catania, costituirà un progetto pilota che potrà essere replicato anche in altri Stati membri e riguarderà i cosiddetti hotspot, i centri proposti dalla Commissione dell’Unione europea nella sua Agenda per l’immigrazione dove concentrare gli sbarchi dei migranti e sottoporre questi ultimi a un primo screening”, ha dichiarato il direttore di Frontex, Fabrice Leggeri. Secondo le primi indiscrezioni sarebbero già cinque gli hotspot individuati in Sicilia (Augusta, Catania, Lampedusa, Porto Empedocle e Pozzallo) per le attività di schedatura, fotosegnalamento, prelievo coatto delle impronte digitali, ecc.. Si profila all’orizzonte un ampliamento del numero e delle azioni di confinamento forzato dei potenziali richiedenti asilo e di tutti i migranti in veri e propri hub detentivi, replicando il modello criminale e criminogeno del CARA di Mineo. Per i nuovi centri che amplieranno il giro d’affari delle borghesie mafiose locali e nazionali è già pronto un primo elenco di (ex) caserme. “La Difesa collabora strettamente con le altre articolazioni dello Stato rendendo disponibili infrastrutture e siti militari non più utilizzati a fini istituzionali per l’accoglienza dei migranti”, ha annunciato a fine agosto la ministra Roberta Pinotti. In Sicilia, c’è già disponibile a Messina, l’(ex) installazione dell’Esercito di Bisconte, in grado di “accogliere” sino a 800 “ospiti”.
Articolo pubblicato in Sicilia Libertaria, n. 353, settembre 2015
Fonte: Antonio Mazzeo Blog
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