di Stefania Barca
Per combattere il cambiamento climatico “abbiamo bisogno di tutti”, ha affermato la Climate March di New York City (settembre 2014). Forse, però, più di tutti abbiamo bisogno dei/delle lavoratori/trici, e delle loro organizzazioni; il movimento operaio deve essere parte del movimento per la giustizia climatica. Questo perché il lavoro è l’interfaccia fondamentale tra la società e la natura. Tutti i tipi di lavoro: produttivo, riproduttivo, di servizio, di cura, intellettuale e immateriale; tutti presiedono e regolano il metabolismo sociale, lo scambio di materia ed energia che sostiene la vita umana e la riproduzione sociale. Il lavoro non governa questo processo, tuttavia in quanto il capitale è responsabile di ciò che gli eco-marxisti chiamano la seconda contraddizione del capitalismo: il rapporto tra capitale e natura.
Di conseguenza, i/le lavoratori/trici sono spesso costretti/e a subire ogni sorta di attività insostenibili, malsane ed ecologicamente distruttive, al fine di ottenere un salario che permetta loro di sopravvivere nell’economia di mercato. Questa seconda contraddizione ha luogo nei corpi dei/le lavoratori/trici, e nei loro ambienti di vita e di lavoro (Barca 2012).
Di conseguenza, i/le lavoratori/trici sono spesso costretti/e a subire ogni sorta di attività insostenibili, malsane ed ecologicamente distruttive, al fine di ottenere un salario che permetta loro di sopravvivere nell’economia di mercato. Questa seconda contraddizione ha luogo nei corpi dei/le lavoratori/trici, e nei loro ambienti di vita e di lavoro (Barca 2012).
Ma altri due fattori importanti restano da considerare.
Come l’economia politica femminista ci ha ricordato, non tutto il lavoro è controllato dal capitale e del mercato. In realtà, questo potrebbe essere solo la punta di un iceberg, composto in gran parte di lavoro (non alienato?) effettuato al di fuori del sistema del lavoro salariato capitalista, tra cui: servizi sociali, lavoro domestico e comunitario, cooperative, istituti di beneficenza, attraverso baratto o moneta alternativa, e nell’agricoltura di sussistenza o familiare (Gibson – Graham 2006) .
Questo è un punto di partenza promettente per una rivoluzione ecologica, cioè una rivoluzione nel modo in cui produzione, riproduzione e coscienza interagiscono tra loro (Merchant 1987), come teorizzato da molte studiose e attiviste eco-femministe e dall’agroecologia, che considerano la sovranitá alimentare come punto zero della rivoluzione (Federici 2012). Pertanto, se l’ecologia può diventare una piattaforma per una nuova agenda (internazionale) del lavoro, e se il lavoro può diventare un soggetto di primo piano nella mobilitazione climatica, allora tornare all’analisi sull’accumulazione originaria potrebbe essere un buon punto di partenza. L’accumulazione originaria ha storicamente portato alla separazione dei/le lavoratori/trici dalla terra e allo sfruttamento eccessivo di entrambi. Un nuovo tipo di società potrebbe essere costruito su forme di lavoro non alienato che sostiene e valorizza la vita in tutte le sue forme, iniziando così a rivendicare nuove possibilità e nuove identità per i/le lavoratori/trici, con l’obiettivo di sovvertire la cosiddetta seconda contraddizione del capitalismo. L’obiettivo è quello di porre fine alle produzioni insostenibili ed ecologicamente distruttive e abbracciare nuove forme di metabolismo sociale.
È qui che entra nel dibattito un secondo punto, per quanto inquietante possa risultare, il fatto cioé l’esperimento socialista in Europa orientale, in Cina e altri contesti, ha lasciato una eredità di distruzione e ingiustizia ambientale. Le ragioni di questo fallimento stanno nel fatto che il ‘socialismo reale’ è stato per lo più sinonimo di industrializzazione forzata, colonizzazione interna ed esterna, programmi ambientali altamente modernisti e tecnologie che hanno fatto concorrenza a quelle impiegate nei regimi capitalisti in fatto di ‘distruzione creatrice’.
Pertanto non è sufficiente rimpiazzare il capitalismo e ridurre le disuguaglianze sociali, perché è necessario anche abolire modelli economici maschilisti, produttivismo, estrattivismo, crescita del PIL, guerra, razzismo, imperialismo, colonialismo e tutto ciò che produce violenza contro le persone e il loro ambiente. Il passo successivo sarebbe quello di sostituirli con un nuovo sistema di produzione e riproduzione, basato non solo sull’eguaglianza, ma sul rispetto per la vita in tutte le sue forme. Non c’è altro modo per fare una rivoluzione ecologica, nessuna scorciatoia attraverso il sistema attuale.
Per costruire un nuovo sistema, ci dice il materialismo storico, è necessaria una classe operaia organizzata e cosciente, che sappia prendere l’iniziativa. Ma il punto che voglio sottolineare qui è che, affinché la classe operaia diventi il soggetto politico di un nuovo sistema di relazioni ecologiche, una nuova coscienza deve prendere forma: una coscienza ecologica di classe, sulla base di un rinnovato, molteplice processo di soggettivazione, in grado di trasformare la classe operaia nel principale soggetto storico per una rivoluzione verde votata all’emancipazione, e non a nuove forme di oppressione (come sarebbe il caso in un ‘capitalismo verde’). Al fine di diventare il soggetto di questa rivoluzione ecologica a venire, le organizzazioni sindacali dovrebbero trasformarsi profondamente in modo da mettere al centro delle loro visioni e strategie politiche l’ecologia. Resta da chiedersi se questo cambiamento di politica del lavoro è possibile nel mondo di oggi.
Ma non è solo il movimento operaio che necessita di una trasformazione, e del resto il lavoro non può trasformarsi in un vuoto sociale. È necessario un grande processo di emancipazione, di cambiamento culturale che permetta la formazione di nuove solidarietà e alleanze al fine di reclamare il soggetto dimenticato del lavoro al di fuori del dominio e dello sfruttamento. Qualcosa di simile a ciò che il film Pride ricorda: una storia in cui attivisti/e gay e lesbiche da Londra collegano la loro lotta per il riconoscimento a quella dei minatori di carbone del Galles del Sud. La storia mette in evidenza l’efficacia di aggirare molte barriere e pregiudizi culturali e di comunicazione, dimostrando così che nuovi tipi di politica sono sempre possibili da costruire, soprattutto quando le persone e le organizzazioni non sono bloccati nella reiterazione infinita di identità date. Inoltre, il film esemplifica una politica trasformativa che sfida le identità e porta ad una maggiore capacitá di liberazione e rivoluzione.
Dopo decenni di neoliberalismo, che hanno quasi sconfitto il lavoro su tutti i fronti possibili, vi è la necessità di aumentare il potenziale dei/le lavoratori/trici per l’auto-trasformazione, attraverso nuovi tipi di organizzazioni con nuovi tipi di visioni e strategie. Dal momento che non siamo in grado di costruire una rivoluzione senza un qualche tipo di organizzazione e strategia, dobbiamo sforzarci di creare quelle che sono più adatte a questa lotta.
Combattere il cambiamento climatico è una sfida in cui i movimenti dei/le lavoratori/trici dovrebbero essere in prima linea perché essi/e sono già in prima linea nella guerra del capitalismo contro il clima, insieme ai popoli indigeni, alle comunità rurali, ai/le disoccupati/e e alle donne di tutti questi gruppi. Pertanto, organizzandosi per difendersi, essi/e difendono tutta l’umanità dalla rovina ecologica. Tale tipo di lotta richiede, evidentemente, una profonda trasformazione di visioni e slogan tradizionali del mondo del lavoro e della sinistra in generale .
Negli ultimi due decenni, la ricerca militante sulle Information and Communication Technologies e sul social networking ha svolto un ruolo fondamentale nel trasformare modi e possibilità di organizzare, attraverso il Peer2Peer movement[1] e il Social Network Unionism in generale[2]. Queste risorse non creano un potere di contrattazione diretto, ma migliorano le visioni strategiche e potere di mobilitazione; il sindacalismo virtuale non può sostituire il sindacalismo locale o nazionale, ma può aiutare nella sua auto-trasformazione e rafforzamento.
Nuove forme di organizzazione del lavoro e di networking per la ricerca militante si trovano anche in pubblicazioni open access come per esempio le riviste accademico-attivisteInterface. A journal for and about social movements[3] e Global Labour Journal, oppure le online magazines Roar. Reflection on a revolution e The Jacobin[4]. In Italia ha giocato un ruolo significativo sul ripensamento del lavoro, e delle sue implicazioni ecologiche, il sito di movimento www.comune-info.net; riflessioni importanti in questa direzione si trovano anche in alcuni libri pubblicati negli ultimi anni[5]. Questi nuovi strumenti possono aiutare a trasformare i movimenti dei lavoratori in direzione di un più ampio inserimento di questioni ecologiche e soprattutto di ricerca di nuove alleanze. Inoltre, essi sono stati fondamentali per creare le premesse per una convergenza tra lotta climatica e politica del lavoro, come dimostrano la Blue-Green Alliance[6] negli USA e la campagna One Million Climate Jobs nel Regno Unito e in Sud Africa[7]. Queste nuove coalizioni hanno prodotto risultati visibili, come testimoniato dalla massiccia presenza delle organizzazioni sindacali alla Climate March di New York, per esempio, e dall’incorporazione delle questioni legate al cambiamento climatico nella International Trade Unions Confederation (ITUC) e nell’Organizzazione Internazionale del Lavoro delle Nazioni Unite (ILO) .
Naturalmente questo è un processo complesso, certo non lineare di trasformazione interna, costituita da diverse componenti – talvolta contrastanti – e che spesso incontra resistenze dall’interno. Questo è il passaggio attraverso cui la prospettiva dell’ecologia politica potrebbe entrare nel movimento operaio, in quanto strumento di analisi dei conflitti e delle lotte originate da contraddizioni ecologiche. Queste contraddizioni spesso entrano nel movimento operaio e lo dividono lungo il divario locale / nazionale / globale, il divario di genere, il divario Nord / Sud, la divisione del lavoro tra specialisti/e e non qualificati/e, il divario città / campagna, insieme a diversi tipi di fratture ideologiche e di identità.
Combattere i cambiamenti climatici significa dunque cose diverse per diverse organizzazioni sindacali. Per la ITUC (International Trade Unions Confederation) ha significato l’adozione di una strategia di ‘posti di lavoro verdi’ sulla base di un approccio basato sull’Economia dell’Ambiente che sostiene la cosiddetta crescita verde. Per sindacati anti-sistema come la spagnola Solidaridad Obrera, invece, significa un’agenda molto più radicale di ‘rivoluzione verde’, basata sulla riduzione del tempo di lavoro, sulla re-comunizzazione dei servizi pubblici, sulla riduzione del consumo di materia ed energia, sulla ri-localizzazione della produzione, per il controllo democratico dell’economia, per sistemi energetici decentrati, e con la partecipazione del sindacato nelle mobilitazioni anti-fracking e simili a livello locale di base (Ojanguren Flores et al 2014). La terra di mezzo è occupata da un gran numero di organizzazioni che non hanno ancora elaborato una posizione autonoma sui cambiamenti climatici, come è il caso della World Federation of Trade Unions (che unisce un grande numero di sindacati di tradizione marxista). L’unica menzione esplicita all’ecologia in un rapporto annuale del 2013 proviene dalle deliberazioni del suo secondo meeting di affiliati panafricani, che impegna i membri ‘a lottare attivamente contro le pratiche ecologiche catastrofiche delle multinazionali e dei monopoli’[8]. Dato il ruolo centrale svolto dalla estrazione di minerali nel determinare il cambiamento climatico, con le sue ripercussioni profondamente disuguali, questo è un ottimo punto di partenza per costruire la piattaforma di un sindacato di lotta per una ‘sostenibilità giusta’ a livello globale. Essendo un’organizzazione indipendente molto orientata alle questioni di classe, la WFTU ha la potenzialità di sviluppare una critica radicale del ‘capitalismo verde’ e una forma avanzata di ecologia di classe in grado di posizionalrla in prima linea nella lotta per la giustizia climatica.
Uscire dalle molteplici crisi che affliggono il mondo di oggi, tanto quella economico-occupazionale che quella ecologica, richiede lasciare completamente andare il Treadmill of Production – cioè l’ideologia e la politica di crescita del PIL illimitata. Ciò che serve è invece una ver rivoluzione ecologica – come teorizzata da Carolyn Merchant: un cambiamento completo nell’organizzazione sociale della produzione, della riproduzione e della coscienza. Un altro modo di lavorare e di vivere, di produrre e distribuire ricchezza, radicato in un lavoro dis-alienato, nel rispetto della vita e nel principio del ‘comune’, deve essere la piattaforma politica su cui costruire la nuova alleanza.
Riferimenti bibliografici
BARCA, S. (2012), On Working-Class Environmentalism. A Historical and Transnational Overview. Interface. A Journal for and about Social Movements, vol 4 (2), p. 61-80
BARCA, S. (2014), Workers and environmentalists of the world, unite!, Roar. Reflections on a revolution, June.
DE MARZO, G. (2012), Anatomia di una rivoluzione, Roma: Castelvecchi.
DI PIERRI, M., GRECO, L. e FALOCCO, C. (a cura di) (2016), Riconversione: un’utopia concreta, Roma: EDS.
FEDERICI, S. (2012), Il punto zero della rivoluzione. Lavoro domestico, riproduzione e lotta femminista, Verona: Ombre corte.
GIBSON-GRAHAM, J-K (2006), A Postcapitalist Politics, Minneapolis: University of Minnesota Press
MERCHANT, C. (1987), The Theoretical Structure of Ecological Revolutions, Environmental Review, vol. 11 (4), p. 265-74
OJANGUREN FLORES, A., GALÁN SANZ, M. y CARRETERO MIRAMAR, J.L. (2014) El sindicalismo debe estar dispuesto a promover una alternativa global hacia una sociedad poscapitalista. El Ecologista nº 80: http://www.ecologistasenaccion.org/article27798.html
VIALE, G. (2011), La conversione ecologica, Rimini: NDA.
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NOTE
[5] Viale (2011); De Marzo (2012); Di Pierri, Greco e Falocco (2016)
[7] http://www.campaigncc.org/greenjobs per il Regno Unito ehttp://climatejobs.org.za/about/ per il Sud Africa.
[8]http://www.wftucentral.org/download/documents/documents%20en/2014_01_07%20Report%20of%20Action%202013%20EN%20Small.pdf
*Questo articolo é la traduzione italiana di un capitolo dal titolo ‘Labour and climate change. Towards an emancipatory ecological class-consciousness’, pubblicato in Temper L., and Gilbertson T., (a cura di). Refocusing resistance to climate justice: COPing in, COPing out and beyond Paris, EJOLT report no. 23, 2015. Una traduzione spagnola è stata pubblicata nel n. 50 della rivista Ecología Política.
Stefania Barca – Centro de Estudos Sociais, Universitá di Coimbra e Pufendorf Institute for Advanced Studies, Universitá di Lund
Immagine in apertura: The lost garden of Heligan, Pentewan (GB).
Fonte: Effimera
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