La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 26 aprile 2016

Chernobyl 30 anni dopo

di Umberto Mazzantini
L’11 marzo è stato il quinto anniversario del disastro nucleare di Fukushima Daiichi, oggi è il trentesimo anniversario della più grande tragedia del nucleare civile della storia: quella di Chernobyl, avvenuta in un’altra era, quando ancora esisteva l’Unione Sovietica e la Guerra fredda non era ancora finita, nonostante la Perestroika di Mikhail Gorbaciov.
Come sottolinea l’Ong scientifico-ambientalista norvegese/russa Bellona, «in breve, questi disastri – a differenza di molte altre catastrofi industriali e ambientali del nostro tempo – sembrano non avere alcuna reale fine. Mentre Fukushima è alle prese con un altro scarico di acqua radioattiva in mare, Chernobyl sta ancora, dopo tre decenni, avendo problemi per contenere le radiazioni all’interno del sarcofago di cemento realizzato sopra il reattore n. 4 per impedire le emissioni radioattive». Incredibilmente, gli altri 3 reattori di Chernobyl avevano continuato a funzionare fino al 2000, quando la pressione internazionale ha costretto il governo dell’Ucraina a chiuderli.
Sergei Mirnyi, che nel 1986 aveva 27 anni e che è stato uno degli almeno 600.000 “liquidatori” inviati a Chernobyl a fermare praticamente a mani nude l’eruzione di radiazioni dalla centrale nucleare, ha detto aBellona News: «Un disastro travolge tutte le reazioni che erano normali in una società prima che avvenisse. Il disastro vero e proprio inizia dopo il momento che la CNN, e le troupe televisive fanno i bagagli e tornano a casa, quindi le persone vengono lasciate sole e alienate».
Il direttore esecutivo di Bellona e fisico nucleare Nils Bohmer è tra quelli che non si è mai scordato di Cernobyl e qualche giorno fa ha preso la sua macchina fotografica ed è andato nella la zona di esclusione per documentare la situazione attuale. Le sue foto, che pubblichiamo, rivelano che in gran parte dell’area proibita tutto è praticamente rimasto immutato dai giorni successivi alla catastrofe. Dentro il cadavere radioattivo di Chernobyl ci sono ancora più di 200 tonnellate di uranio, lo stesso che nei 109 giorni di terrore dopo l’esplosione del reattore 4 continuò a bruciare, spandendo le sue velenose nubi radioattive su tre quarti del continente europeo e contaminando forse per sempre vaste aree di Ucraina, Russia e Bielorussia, dove gli agricoltori coltivano ancora sui terreni radioattivi.
Quella che le autorità sovietiche avevano presentato come la soluzione definitiva per intrappolare le radiazioni di Chernobyl, la costruzione di un enorme sarcofago di cemento sui resti del reattore No 4, era stata considerata subito un errore da molti ingegneri e anche da Leonid Lvov, il liquidatore che venne incaricato di progettare la struttura di contenimento e che ora dice a Bellona News che «la decisione del sarcofago è stata un fiasco. Non hanno ascoltato quelli di noi che volevano qualcosa di più permanente. Volevano dimostrare che era stato fatto qualcosa di grosso, anche se probabilmente non avrebbe funzionato. Era solo una questione di tempo prima che il cemento si riscaldasse, collassasse e subisse crolli, ed entro il 2005 è successo».
Nel 2010 è iniziata la costruzione di una barriera di acciaio mobile da 30.000 tonnellate, chiamata New safe confinement, per ricoprire il reattore 4: una struttura finanziata con 1,5 miliardi di dollari di donazioni provenienti da più di 40 governi gestite dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo. Il suo completamento, rimandato più volte per ritardi e mancanza di fondi, è previsto per il novembre 2.017, ma mancano ancora 100 milioni di finanziamento e nessuno sa come e dove verrà stoccato il carburante radioattivo del reattore e chi se ne assumerà i costi, così come nessuno sa chi pagherà la costosa manutenzione del New safe confinement.
Anche quando la centrale nucleare verrà ricoperta dal nuovo sarcofago, la zona di esclusione di circa 2.600 kmq resterà “inabitabile”, anche se al suo interno vivono gruppi di disperati, insieme alla fauna selvatica – alci, cervi, cinghiali, cavalli, volpi, lupi – che domina le strade delle città abbandonate dall’uomo, inconsapevole delle radiazioni che la follia umana ha sparso 30 anni fa, avvelenando terra, acqua, aria uomini e animali.

Fonte: Green Report 

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