La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 26 aprile 2016

Sperimentare città collaborative

di Daniela Patti, Levente Polyak, Mauro Baioni
La trasformazione neo-liberale dell’economia e della governance urbana, in combinazione con la crisi economica del 2008, ha portato moltissime città europee ad attuare misure di austerity e a ridurre alcuni benefici del precedente welfare.Le politiche nazionali di riduzione del budget e di tagli alla spesa pubblica hanno avuto impatti molto forti sulle città.
In questo contesto, molti gruppi di cittadini, iniziative sociali e organizzazioni culturali hanno iniziato a creare autonomamente spazi e servizi. Queste iniziative sono diventate forze produttive nel dare forma alla città creando nuovi spazi pubblici ed erogando nuovi spazi sociali, creando così un’infrastruttura civica parallela. Questo è il caso dei servizi sanitari auto-organizzati di Atene, delle piazze pubbliche di Madrid o delle palestre popolari di Roma. La grande importanza di questi servizi pubblici auto-gestiti sono spesso supportate da una grande volontà di migliorare il proprio contesto tramite il coinvolgimento volontario e intensivo di molte persone.
Sebbene in alcuni contesti, come quello romano, molte di queste iniziative siano spesso poste in maniera antagonistica rispetto ad una amministrazione sprovvista di mezzi e comprensione di nuovi modelli di cooperazione, vediamo invece sperimentazioni in altre città. Questo è il caso dell’ormai noto Regolamento di Bologna (leggi Possiamo prenderci cura della città di Paolo Cacciar, ndr) ma anche di altre città europee che hanno identificato degli ambiti in cui le risorse, economiche ma anche umane e di conoscenze, possano essere messe a disposizione delle comunità locali.
Alcune città, come Rotterdam in Olanda o Tartu in Estonia, stanno sperimentando da alcuni anni i modelli di bilancio partecipativo. La piattaforma di budget partecipativo di Tartu è promossa dal Comune in collaborazione con l’Accademia di eGovernance e sin dal 2013 viene deciso tramite un processo condiviso con la cittadinanza l’1 per cento del bilancio di investimento del Comune, per un ammontare di 140.000 euro. Sebbene il budget sia tuttora molto esiguo, è stata un’occasione per sperimentare una maggiore partecipazione della cittadinanza, ponendo le basi per l’obiettivo di rendere trasparente al pubblico anche l’uso del bilanio complessivo dell’amministrazione.
Seguendo una direttrice similare, altre amministrazioni hanno sperimentato modelli di crowd-funding, come Ghent in Belgio che gestisce dal 2015 la piattaforma Crowdfunding.Gent dove i cittadini possono proporre un progetto di interesse pubblico e raccogliere donazione dai concittadini. Questa è stata l’esperienza di Gastvrij Gent che ha raccolto più di 6.000 euro per l’accoglienza dei rifugiati. Per i progetti riconosciuti di interesse pubblico anche dall’Amministrazione viene garantita una coperura del 50 per cento da fondi pubblici, per un totale di 55.000 euro. L’amministrazione non aiuta le iniziative solo con finanziamenti ma anche con training di comunicazione e project management perchè una società civile competitiva è un patrimonio della collettività.
La capacità di un’amministrazione di riconoscere il valore del contributo dei propri cittadini offre la possibilità di potenziare i propri servizi disponibili alla cittadinanza. Emblematico è il caso di Synathina, una piattaforma online iniziata dal Comune di Atene per fare fronte al crescente numero di iniziative cittadine per sopperire ai tagli del welfare. Negli ultimi anni infatti gli ateniesi hanno organizzato un sistema auto-gestito di mense popolari, dopo-scuola, servizi sanitari, gestione dei rifiuti e tanti altri servizi. Per questo l’amministrazione ha mappato le iniziative, ha dialogato con loro circa le loro necessità e ne ha identificate alcune che potessero beneficiare di maggiore collaborazione con l’Amministrazione. Questo è il caso di Bourume, una piattaforma logistica che organizza la raccolta degli scarti alimentari da ristoranti e supermercati per fornire le mense sociali della città. Il contributo dell’Amministrazione non consiste in finanziamenti, che peraltro Boroume non vorrebbe, ma di supporto nella trattativa con le catene di supermercati, didisponibilità di camionette per trasportare il cibo, di messa in connessione con le altre iniziative della città.
Come la Grecia anche il Portogallo è stato fortemente colpito dalla recente crisi economica, ma la storia di Lisbona di questi ultimi anni serve da esempio a varie realtà del Sud Europa per organizzarsi e reagire costruttivamente alle difficoltà.Un’esperienza di grande rilievo è quella dei BIP/ZIP (Bairros e Zonas de Intervenção Prioritária de Lisboa – Quartieri e Zone di Intervento Prioritario di Lisbona) iniziato dal Comune di Lisbona nel 2011. Il programma ha identificato le aree socialmente ed economicamente critiche nella città e attivato un bando per le associazioni del territorio al fine di promuovere progetti di inclusione e rigenerazione nei quartieri usufruendo di un contributo pubblico. A seguito di un avviso pubblico, il Comune ha selezionato oltre 150 proposte di intervento, sulle oltre 400 presentate dai cittadini, alle quali garantirà un proficuo accompagnamento di 50.000 e un sostegno nella fase di avvio. I progetti selezionati hanno dovuto dimostrare la propria rilevanza sul territorio, il coinvolgimento sociale nonché la propria sostenibilità economica nel tempo. Questo è il caso di Largo Residências, un ostello gestito da una cooperativa che comprende anche delle residenze per artisti e un cafè locale nel quartiere di Intendente, fino a pochi anni fa uno dei più problematici della Capitale. Oltre a fornire una serie di iniziative culturali per i cittadini del quartiere, Largo dà lavoro alla popolazione del quartiere rimanendo allo stesso tempo in contatto con il resto della città. Un altro esempio è quello di Cozinha Popular da Mouraria,una mensa sociale nel quartiere popolare della Mouraria che offre impiego, cibo economico e salutare oltre che spazio di comunità agli abitanti locali. Sulla base dell’esperienza del BIP/ZIP è sorta la nuova rete di Community-Led Local Development, che consente ad un partenariato pubblico, civile e privato di promuovere progetti di lotta alla povertà tramite l’uso dei fondi strutturali europei 2014-2020.
Le iniziative descritte in questo articolo, e molte altre conosciute attraverso le iniziative di Eutropian, tentano di fornire risposte a domande sociali riguardanti la casa, il lavoro e l’assistenza alle persone e alle famiglie che non trovano più soddisfazione nelle tradizionali politiche pubbliche. Per svolgere questo ruolo di supplenza, i promotori raramente si pongono in contrapposizione con le istituzioni. Da un lato aspirano ad una sostenibilità economica che ne garantiscaindipendenza e libertà d’azione. Dall’altro, chiedono all’amministrazione pubblica di svolgere il proprio ruolo di regolatore, attraverso la definizione di criteri e regole certe per l’affido degli spazi e l’ottenimento dei permessi necessari per svolgere le attività. E già questa interlocuzione minima, specialmente in Italia, costituisce un terreno di sfida.
L’amministrazione, tuttavia, può fare molto di più. Innanzitutto, può essere un partner collaborativo di queste iniziative, costruendo al proprio interno un ambiente abilitante e disponibile, quali una struttura interna o un’agenzia di scopo, in grado di raccogliere le sollecitazioni che provengono dal mondo dell’innovazione sociale, per costruire insieme ai promotori progetti di sviluppo e iniziative simili a quelle sopra descritte, e per aiutare la loro diffusione in contesti più fragili, socialmente ed economicamente. Una struttura siffatta (che ricorda sotto certi aspetti il Gebietsbetreuung di Vienna, la struttura di accompagnamento sociale dei municipi con maggiori difficoltà socio-economiche, avrebbe il compito cruciale di ricostruire le connessioni tra il livello locale (il distretto, il quartiere), con le strutture che agiscono alla scala più vasta (la città metropolitana, la regione).
In secondo luogo, si può modificare l’agenda delle politiche pubbliche, ingaggiando i cittadini in programmi di intervento che riguardano luoghi e settori strategici. Un primo passo in questa direzione è stato compiuto, per esempio, dalla Città di Lisbona con il suo programma BIP/ZIP. Ci si può spingere ancora oltre. Se ci pensiamo bene, tutte queste iniziative chiedono di superare la tradizionale divisione in livelli, settori e competenze tradizionali dell’amministrazione pubblica. Agiscono in modo puntuale, alla scala di prossimità, ma hanno rilevanza ed effetti a scala metropolitana. Chiedono di superare le modalità tradizionali di intervento riguardanti l’ambiente, i trasporti, l’uso del territorio, l’agricoltura, la produzione di servizi sociali, e il sostegno alle attività economiche. Pretendono innovazione e integrazione.
Per tornare alla questione iniziale, la riduzione del perimetro dell’azione pubblica non va considerata come un fenomeno ineluttabile, ma come un’occasione per ridisegnare le politiche pubbliche. Il coinvolgimento della società civile – del settore non profit e di quello profit, integrati tra loro – non deve surrogare l’iniziativa di amministrazioni pubbliche sempre più deboli e paralizzate. Ma al contrario va considerata come una straordinaria opportunità per fornire risposte più efficienti e più efficaci alle domande sociali. E, in prospettiva, per intervenire sulle cause che determinano crescenti squilibri economici e fragilità sociali, contribuendo a consolidare un diverso modello di sviluppo.

Fonte: comune-info.net 

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