La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 20 giugno 2016

Storie dal mondo (dei rifiuti)

di Michele Salsi
Da New York al vulcano Tacanà, passando per le coste della Corsica fino a Mumbai. Alcune storie (a lieto fine) di rifiuti. L'impresa di ridurre drasticamente la produzione di rifiuti è possibile grazie a forza di volontà e a una serie di accorgimenti, da portare avanti nella pratica quotidiana. Buona parte dell'opera si può fare già al supermercato (o evitando il supermercato) scegliendo di non comprare tutti i prodotti che presentano imballagi. Ma non basta stare attenti a ciò che si compra per riuscire ad emulare gli straordinari risultati di quella che, fino ad ora, è stata probabilmente la più brava: Lauren Singer, ragazza di New york, negli ultimi due anni ha prodotto una quantità di rifiuti pari al volume di un barattolo di marmellata.
Anche io per un periodo ho vissuto senza quasi produrre rifiuti. In Patagonia, dai miei amici Laura e Dario, un indigeno mapuche, il processo di riciclaggio e smaltimento veniva autogestito in totale autonomia. La differenziata iniziava in cucina: organico, inorganico e carta. Tutto quanto era organico finiva nell'orto, nella cassa del compostaggio. La carta tornava utile per accendere il fuoco, eccessi di carta sporca venivano invece gettati sul fuoco e “inceneriti“. L'inorganico veniva intanto separato: latta e bottiglie di plastica venivano accumulati in un contenitore apposito e venivano riutilizzati con riciclo creativo o per la costruzione. Tutto quanto non era riciclabile e non poteva essere utilizzato finiva negli eco-mattoni, ovvero bottiglie di plastica piene di rifiuti pressati a mano con l'aiuto di un bastoncino.
Il lavoro di “produrre“ eco-mattoni era da fare circa una volta alla settimana. Tante volte ho dovuto farlo, molte volte controvoglia. Una volta devo averlo fatto capire a Dario, che mi ha risposto dicendo: “Se non lo facciamo, quella plastica viene bruciata in discarica e genera diossina che fa ammalare i bambini“. Da quel momento non ho più protestato, in fondo non era un lavoro faticoso.
Zaini pieni di spazzatura
Non lascio mai rifiuti in posti dove nessuno li raccoglie. Anzi, varie volte e in diversi posti ho raccolto ciò che altri hanno lasciato. Credo che l'unico rifiuto che io abbia mai lasciato in un ambiente naturale sia un cellulare perso durante un'escursione solitaria sui monti. Fortunatamente era uno dei vecchi e indistruttibili Nokia: c'è la speranza concreta che un giorno qualcuno lo troverà e potrà riutilizzarlo.
Fino ad ora, la montagna più alta su cui sono salito è il vulcano Tacanà (4100 metri s.l.m. circa), sul confine tra Messico e Guatemala. Per gli ultimi mille metri di ascesa non c'erano cartelli nè altre indicazioni per il sentiero e per un momento io e il mio amico francese Remi che mi accompagnava ci siamo trovati un pò in difficolta. Ma “per fortuna“ ogni qualche metro c'era un rifiuto gettato per terra ad indicarci la retta via. Scendendo abbiamo deciso di riempire gli zaini di spazzatura e l'abbiamo accumulata nei pressi di un rifugio sperando che qualcun altro si incaricasse di portarla via di lì.
Ci sono persone che studiano l'impronta degli animali selvaggi; anche io so riconoscerne diverse, ma la più facile è sicuramente quella dell'uomo: se trovi per terra un rifiuto non ci sono dubbi, di lì è passato il più ingrato e superbo tra gli animali.
Un sacco al giorno
Sulle spiagge della Corsica fin da bambino, insieme ad altri amici, e senza che nessun adulto ce lo dicesse, raccoglievo i vari rifiuti lasciati sulla spiaggia o arrivati dal mare (e che comunque nessun adulto raccoglieva). Protesto fermamente contro le proibizioni di fumare in spiaggia, ma più di una volta ho rimproverato compagni che lasciavano mozziconi in spiaggia e ne ho sempre portati via più di quanti possa averne mai lasciati. Da anni in Corsica nei supermercati non ci sono più sacchetti di plastica, ma borsoni in plastica dura con una scritta che recita “Difendi la natura, difendi la Corsica“.
Un ragazzo olandese, Tommy Kleyn, ogni giorno mentre si recava a lavoro in bici passava accanto a un fiume i cui argini erano cosparsi di rifiuti di ogni tipo. Un bel giorno Tommy, tornando da lavoro, ha pensato di fare ciò che nessuno faceva. Si è fermato, è sceso dalla bici e ha riempito di rifiuti un grosso sacco di plastica. Per riempire un sacco ci voleva mezz'ora e poteva raccogliere solo una piccola parte di tutti i rifiuti. Allora decise di riempire un sacco ogni giorno e grazie ai social network ha trovato - insieme ai consensi - anche offerte di aiuto da parte dei suoi concittadini. In poco tempo l'argine è stato quasi totalmente ripulito e Tommy ha avuto la soddisfazione di vedere un cigno nidificare dove prima non c'era altro che un cumulo di rifiuti.
Piccoli gesti per un mondo migliore
Anche da noi in Italia, e anche nelle città, fino a meno di un secolo fa era naturale fare il bagno nei fiumi. Prima ancora era normale berne l'acqua. Oggi quegli stessi fiumi sono guardati generalmente con un po' di pietà e una dose di schifo: nessuno ci metterebbe dentro i piedi. Eppure l'acqua, quasi miracolosamente, continua a sgorgare limpida dalle sorgenti. Se non arriva limpida alle foci la colpa è di noi appartenenti alla specie più evoluta che abita il pianeta Terra...
Comunque, soprattutto in tempo di crisi, ce lo ripetono in continuazione: in fondo siamo fortunati. Cos'è un fiume inquinato? A pagamento possiamo nuotare in bellissime piscine! E poi in altri luoghi del mondo le cose vanno decisamente peggio. Per esempio in India, in un quartiere di Mumbai è separato dal resto della città da un fiume di spazzatura e fango. Ogni giorno tutti gli abitanti dovevano attraversarlo a piedi e le acque nauseabonde trasmettavano malattie e pezzi di vetro e altri materiali tagliavano i piedi di adulti e bambini. Fino a che nel 2013, Eshan Balbale – un ragazzo del quartiere di 17 anni – ha deciso di costruire un ponte, con materiali a basso costo e coinvolgendo altri volontari, senza aspettare un'iniziativa del governo. Un piccolo gesto, che non è la soluzione a tutti i problemi, ma da cui possono scaturire tanti altri piccoli gesti, per costruire oggi un mondo migliore.
Quei rifiuti nel cielo
Il 4 ottobre 1957, con la missione spaziale Sputnik, l'Unione Sovietica inaugurava l'avventura dell'uomo sullo spazio, ma inaugurava anche un nuovo capitolo della storia umana: la spazzatura spaziale; ai tempi c'erano altri problemi più scottanti a cui pensare, ma ormai è giunto il tempo di pensarci. Una parte fluttua nel vuoto dello spazio infinito e una gran parte orbita intorno alla terra, ma una parte è arrivata anche su Venere e su Marte. E sulla nostra bella Luna ci sono venti tonnellate di rifiuti spaziali.
Tra gli oggetti lasciati dall'uomo nello spazio, le cui dimensioni variano da quelle di un tir a quelle di una piccola scaglia, ce ne sono anche di curiosi. Devono ancora essere da qualche parte lassù in alto il guanto perso da un astronauta del Gemini 4, durante la prima passeggiata spaziale, e la macchina fotografica persa dell'astronauta Michael Collins durante la missione Gemini 10. Oggi c'è maggior coscienza ecologica e anche la NASA si deve allineare: può continuare a cercare altri pianeti da distruggere oltre al nostro, ma deve cercare anche di inquinare un po' meno.
Gli enti specializzati stanno studiando il modo di ridurre l'enorme quantità di rifiuti che gravita intorno al nostro pianeta. Chissà forse un giorno qualcuno concepirà un piano per trasformare Marte o Venere nella discarica della Terra. Sarebbe davvero bello se con grande maestria l'essere umano riuscisse, grazie alla sua sconfinata intelligenza, a raccogliere tutta l'immondizia che ha lasciato lassù e quindi chiudere subito dopo e per sempre la sua avventura nello spazio. Kubrick ha già fatto “2001: Odissea nello spazio“, Bowie ha gia composto “Life on Mars“ e Carl Sagan ha già scritto “The pale blue dot“. Forse è l'ora di ritenersi soddisfatti, concentrarsi sulla missione di rendere più felice la grande famiglia degli esseri terrestri e buttare definitivamente tutti i progetti di nuove, grandi missioni spaziali nella spazzatura.
Il guerriero della spazzatura
Micheal Reynolds è l'architetto protagonista del film “Garbage Warrior“, il guerriero della spazzatura. Si è meritato questo appellativo per essere stato tra i primi a costruire case utilizzando rifiuti. In particolar modo: copertoni di automobili usati, lattine, bottiglie di plastica, bottiglie di vetro. Le case sono costruite direttamente dall'architetto e dal suo team di manovali, sono belle e super ecologiche, riscaldate dal sole per irradiazione diretta. Nel documentario vengono raccontate anche le vicessitudini giuridiche di Micheal, radiato dall'ordine degli architetti per le sue “eresie“ anti-commerciali, verrà poi re-integrato. Ormai in tante parti del mondo bottiglie di plastica, di vetro, copertoni, sono riconosciuti come buoni materiali da costruzione.
“Il cibo non va buttato“
Tanti poveri dei paesi ricchi si alimentano ogni giorno frugando nell'immondizia, ma ci sono anche sempre più persone che, per necessità o per vocazione anti-consumista, si organizzano per ottenere gratis, da supermercati o negozi alimentari, cibo che altrimenti finirebbe nella spazzatura.
Un ragazzo francese, Baptiste Dubanchet, ha percorso 3mila chilometri in bicicletta, da Parigi a Varsavia, alimentandosi esclusivamente con ciò che trovava nei cestini della spazzatura. Scopo dell'impresa voleva essere portare l'attenzione su quanto cibo viene gettato nei rifiuti ogni giorni. La molla che lo ha spinto a compiere quest'avventura è stato vedere durante suoi viaggi in Colombia e nel Sud-Est Asiatico tante persone che non hanno scelto di essere povere e non hanno di che mangiare.
In Argentina, nella città di Tecuman, è stato inaugurato un frigorifero sociale. Con una scritta che recita “Il cibo non va buttato“, il frigorifero è posto sulla via pubblica e chiunque può aprirlo per prendere o per lasciare avanzi di cibo. L'iniziativa si sta propagando in altre città argentine.
Milioni di automobili
Il problema dei rifiuti è inevitabilmente connesso all'età industriale dell'umanità. Agli albori dell'industria nessuno pensava probabilmente alla quantità di rifiuti che si sarebbero generati nell'anno 2000. Al contrario è risaputo che l'avvento dell'automobile, cavallo di battaglia dell'industrialesimo, veniva visto come la cosa più ecologica del mondo: finalmente sarebbe stato spazzato via dalle città il problema degli escrementi dei cavalli, motori animali delle carozze.
La logica del consumo, dell'usa e getta, sta alla base dello sviluppo industriale e del capitalismo. E questo ormai lo sanno tutti. Non tutti sono consapevoli che le merci hanno un'obsolescenza programmata all'origine e molti meno sanno che l'ultima tendenza è – in un certo senso – lavorare per produrre dei rifiuti. Sono lontani i tempi in cui le famiglie potevano comprare ogni anno una nuova automobile, e oggi tutte le grandi compagnie automobilistiche possiedono, cosparsi per il mondo, enormi parcheggi dove vengono lasciate tutte le automobili non vendute. Si tratta di milioni di automobili che, anziché diventare la nuova felicità temporanea di un automobilista, resteranno là parcheggiate fino a un giorno in cui verranno distrutte per riciclarne alcune parti.
Non si possono certamente regalare! Dopo le tante persone sacrificatesi vendendo per anni la propria manodopera per poter pagare le rate dell'automobile con cui vanno a lavorare. E produrne di meno? Vorrebbe dire abbassare la produzione, scomparire dal mercato, licenziare migliaia di operai: sarebbe una vera tragedia.
In Inghilterra, la Nissan (adattandosi ai tempi) ha convertito un suo autodromo per test su strada in parcheggio di auto non vendute e vicino a San Pietroburgo una pista di atterraggio dell'aeroporto è stata riempita di automobili importate dal resto d'Europa e mai vendute. Ma sono molti di più i parcheggi di auto a chilometri zero e sono tutti comodamente visitabili con Google Maps.
Quello delle automobili non è certo un caso isolato: basta pensare da quanti anni ogni giorno giornali e riviste vengono mandati al macero senza esser state lette da nessuno.
L'inceneritore di Vercelli
Quindi come si risolve il problema dei rifiuti? Il sistema ha la risposta pronta: gli inceneritori, anzi i “termovalorizzatori“, sono la soluzione. Distruggere i rifiuti bruciandoli e trasformandoli in particelle talmente piccole che non si possono vedere (e se possibile neanche monitorare).
Se non fosse per interesse personale e per “militanza ambientalista“ penso che non sarei mai venuto a conoscenza, al pari di milioni di italiani, del rapporto dell'Arpa di Vercelli sull'inceneritore locale. Lo studio epidemiologico, incaricato dalla procura, è stato svolto stranamente bene (nel senso che di solito non è così), e da scienziati che non sono affatto contrari agli inceneritori (semmai contrari a inceneritori un po' antiquati, come era quello di Vercelli). Poche settimane dopo i maggiori responsabili dell'Arpa di Vercelli, Cadum e Cuttica, sono stati gentilmente sollevati dai loro incarichi, e i dati dello studio sull'inceneritore non hanno certo avuto la risonanza che meritavano. Lo studio andrà rifatto, e rifatto meglio (il che lascia intendere: risultati differenti). D'altra parte c'è lo “Sblocca Italia“ che prevede come “strategia nazionale“ la costruzione di 12 nuovi impianti di incenerimento: non ci si può permettere di sbagliare su queste cose.
Cosa emergeva da quel rapporto? “I risultati della mortalità mostrano rischi significativamente più elevati nella popolazione esposta [...]. Anche per tutti i tumori maligni si evidenziano rischi più alti tra gli esposti rispetto ai non esposti (+60%), in particolare per il tumore del colon-retto (+400%) e del polmone (+180%). Altre cause di mortalità in eccesso riscontrate riguardano la depressione (rischio aumentato dell'80% e più), l'ipertensione (+190%), le malattie ischemiche del cuore (+90%) e le bronco pneumopatie cronico-ostruttive negli uomini (+ 50%)“.
“Lavorare per morire“
Guy Debord nel suo saggio ‘'Il pianeta malato'' suggerisce qualcosa che non era affatto troppo scontato ovvero il legame tra il lavoro-merce e la produzione di inquinamento. “Nella sua forma statale e regolamentata, la “lotta contro l'inquinamento“ è tenuta, in un primo momento a supporre non più di nuove specializzazioni, ministeri, posti di lavoro per i ragazzi e promozioni all'interno della burocrazia. L'efficacia della lotta sarà perfettamente in sintonia con tale approccio. Mai esso porterà ad una reale volontà di cambiamento, fino a che l'attuale sistema di produzione non sarà del tutto trasformato“. La vera ultima funzione, essenziale e riconosciuta, del sistema è di produrre posti di lavoro (lavoro salariato) fino ad arrivare al punto in cui “stupidamente, sono messe a rischio le fondamenta stesse della vita delle specie“.
In Italia, con quello che è stato il caso dei lavoratori dell'Ilva di Taranto, sembra che si sia arrivati a questo punto. Politici, sindacalisti già lo sapevano, ma ora anche i lavoratori se ne sono convinti: il lavoro prima di tutto. Poco importa se si inquina il mondo. E (questa è stata la “grande“ novità) poco importa anche se, in cambio di un salario, si produce inquinamento per il territorio, si produce la propria morte e quella dei propri concittadini. Meglio morire, meglio distruggere che restare senza lavoro. Meglio morire tra un po' che suicidarsi subito.
L'antichissimo “Arbeit match frei“, dopo esser stato iscritto sulla vita di tutti gli abitanti del pianeta, è stato rimpiazzato con la filastrocca per liberi consumatori “lavorare per vivere / vivere per consumare“. Ora questa frase sembra essere diventata fin troppo cortese e umana: è giunto il momento di correggerla con un più realistico “lavorare per morire“.

Fonte: A Rivista 

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