di Belen Fernandez
Sulla ‘corniche’ di Beirut, cioè il lungomare della capitale del Libano, di recente sono stata testimone della seguente scena: quattro ragazzi siriani dell’apparente età di 13 o 14 anni, seduti su una panchina, stavano condividendo in maniera innocua degli snack, quando due membri delle Forze di Sicurezza Interna del Libano (IFS) sono scesi verso di loro in bicicletta. Sono stati chiesti loro i documenti di identità, uno dei ragazzi è stato perquisito fisicamente e un altro è stato costretto a curvarsi con le mani e le ginocchia a terra e a raccogliere fino all’ultima buccia dei semi di girasole che si erano accumulate ai piedi del gruppo, mentre uno dei poliziotti inesplicabilmente lo fotografava. (Sarà certamente una grandiosa aggiunta a qualsiasi futuro dépliant che esibiranno i servizi delle IFS).
Quando dopo il mio compagno si è avvicinato ai ragazzi per chiedere dei dettagli, hanno affermato che l’intervento era stato innescato dal loro accento siriano – un’ipotesi plausibile dato che i libanesi che erano sul lungomare continuavano beatamente a spargere i resti dei loro spuntini senza meritarsi l’attenzione da parte delle forze della legge e dell’ordine.
I ragazzi hanno aggiunto che i poliziotti avevano chiesto se anche nel loro paese buttavano i rifiuti, al che hanno adeguatamente risposto che non potevano eliminare correttamente le bucce dei semi di girasole perché il governo libanese non sapeva dove mettere la spazzatura di Beirut. In effetti, l’incompetenza intenzionale da parte dello stato ha prodotto una continua crisi della spazzatura, il che ha voluto dire che nei mesi scorsi, considerevoli settori della capitale e dei dintorni si sono trovati inondati di rifiuti che marcivano. Inutile dire che gran parte di questi scari è di gran lunga meno biodegradabile che i semi di girasole.
La schedatura e le molestie come queste sono soltanto due dei modi con i quali il governo libanese ha complicato l’esistenza ai profughi siriani. Lo scorso ottobre, per esempio, ha smesso del tutto di ammettere i profughi e ora richiede loro che quelli già presenti paghino un’imposta annuale di 200 dollari per rimanere nel paese. Un mucchio di altri si sottrae alla logica: i profughi devono fornire una promessa autenticata di non lavorare in Libano e anche copie di un contratto di locazione o un atto di proprietà. In quanto ai profughi che sono sia poveri che forzatamente senza lavoro, nessuno sa la risposta circa la fonte da cui proviene il denaro per un alloggio o i 200 dollari.
La xenofobia selettiva dello stato è stata, naturalmente, replicata dai settori della cittadinanza libanese. Dei coprifuoco specifici per i siriani sono stati messi in atto a intermittenza dai vigilantes in certe aree e alcuni insediamenti di tende per i rifugiati sono stati incendiati in maniera dolosa. Un’opposizione meno partecipativa alla presenza dei profughi viene praticata dai clienti dei bar e dei ristoranti di élite che si limitano a deplorare il panorama antiestetico dei bambini siriani che chiedono l’elemosina.
Non è quindi esattamente chiaro di quale “Libano” l’Alto Commissariato dell’ONU per i Rifugiati, (UNHCR) stia parlando nel suo rapporto sulle operazioni del 2015 nel paese, dove loda “l’eccezionale ospitalità del Libano” e “l’impegno attivo per i problemi dei profughi.” Il rapporto fa anche la bizzarra affermazione che “i profughi hanno accesso ai servizi più basilari tramite le pubbliche istituzioni dove le autorità continuano a svolgere un ruolo attivo nel facilitare il coordinamento della risposta e la pianificazione.” In realtà, l’eccesso ai servizi di base è una cosa che non si può dire neanche riguardo a gran parte della popolazione libanese stessa – e dimenticate il coordinamento in un luogo dove le autorità non sono state in grado di scegliere un presidente fin dal maggio 2014.
Tra gli attuali servizi dell’ONU in Libano, c’è l’assegnazione mensile di 13,50 dollari a ogni profugo registrato, da usare per acquisto di cibo – cioè, approssimativamente un gaziollionesimo degli stipendi che sappiamo guadagnano dei dipendenti dell’ONU in Libano. Per molte profughi non sono registrati, come quelle 200 persone che vivono in mezzo a pozzanghere d’acqua nel seminterrato di una fabbrica abbandonata.
Il rapporto dell’UNHCR mette in risalto che una “effettiva dimostrazione di solidarietà e supporto internazionale è fondamentale per il Libano” per esplicare adeguatamente le responsabilità di accoglienza dei profughi. Però il problema di questa formula è che gran parte della solidarietà che arriva sotto forma di denaro è rapidamente fatta passare nelle tasche dei politici – uno stato di cose prevedibile, data la corruzione istituzionalizzata del Libano. In quanto ad altri sforzi verosimilmente filantropici, dei profughi con i quali ho parlato di recente nella Valle della Bekaa del Libano, hanno dato versioni meno che entusiaste su molte delle ONG operanti nella zona che hanno descritto, nel migliore dei casi come inette, e, nel peggiore, apertamente motivate dal profitto.
Come ho osservato in un mio articolo per Middle East Eye, i guai dei profughi iniziano proprio all’inizio del loro ciclo di vita. In vari ospedali della Valle della Bekaa, il 75% dei costi per il parto dei neonati dei profughi siriani viene coperto dall’UNHCR, ma l’impossibilità di molte famiglie di mettere insieme la differenza, può portare alla confisca della tessera di rifugiata della madre fino a quando non vengano pagati i conti dell’ospedale o – in alcuni casi, della “detenzione” in ospedale del neonato stesso.
Nel frattempo, ritornare in Siria o per partorire o per registrare una nascita significa che alla madre è vietato entrare di nuovo in Libano con lo status di profugo. Un indagine del 2014 citata dall’UNHCR ha scoperto che il 72% di 5.799 neonati siriani in Libano mancava di un certificato ufficiale di nascita, aggiungendosi quindi al numero stimato dall’UNHCR di “decine di migliaia di persone senza uno stato” nel paese.
Attualmente, il Libano ospita circa 2 milioni di profughi siriani, sia registrati che non registrati, il che significa che i profughi ora costituiscono un terzo dell’intera popolazione libanese. Resta da vedere che tipo di futuro è in serbo per una nazione che normalmente disumanizza e criminalizza una parte considerevole della sua popolazione ma per il momento è sicuro confermare lo status del Libano come un non-rifugio.
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Originale : teleSUR English
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2015 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0
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