La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 21 febbraio 2016

Ripensare l'università per costruire una nuova sinistra

di Alessandra Finotti
Nel dibattito sulla costruzione di una nuova sinistra, che sia sociale e dia uno sguardo costante ai territori e alle varie realtà che li popolano, un'attenzione speciale va riservata alle università.
Ciascuna delle università italiane è popolata da decine di migliaia di studenti di varia estrazione sociale, di età differenti e di diverse appartenenze politiche all'interno della stessa sinistra: è quindi il luogo ideale per dar vita a un soggetto in grado di includere realmente quella maggioranza invisibile che ancora non si sente rappresentata, facendosi portatore di determinate istanze. Ma chi fa parte di questa maggioranza invisibile?
Tutti quegli studenti e quelle studentesse, ricercatori e ricercatrici, che continuano ad essere, e forse qualcuno lo dimentica, cittadini e cittadine, i quali si sentono abbandonati da un sistema che non li tutela, nonostante paghino tasse tra le più alte in Europa. Ma non solo, di questa maggioranza invisibile fanno parte anche tutti coloro che all'università non riescono ad iscriversi a causa delle insufficienti capacità economiche o del contesto sociale di provenienza che, di fatto, impedisce loro di proseguire gli studi, in particolare nel Sud Italia dando vita ad una vera e propria questione meridionale.
Risulta evidente che ci troviamo di fronte ad un Paese che tutto sta facendo tranne che avanzare verso l’equità sociale. Una quota sempre maggiore della popolazione, soprattutto nelle periferie delle grandi aree metropolitane e nelle regioni del Sud del Paese, è relegata ai margini della società e non riesce a godere di un’effettiva uguaglianza sostanziale.
Le università pubbliche italiane rappresentano quel microcosmo in cui si ripresentano le problematiche che caratterizzano allo stesso modo l'Italia in quanto macrocosmo: sono investite da continui tagli che vanno a colpire quasi esclusivamente i soggetti più deboli e senza tutele, come le categorie di studenti e ricercatori. I governi cambiano ma i tagli, mascherati da riforme e razionalizzazioni, restano. L'Italia è, infatti, il Paese che ha la tassazione universitaria tra le più alte d'Europa(è al terzo posto per importo medio delle tasse universitarie, dopo Inghilterra e Paesi Bassi), a fronte dei minori investimenti in un sistema come quello del Diritto allo Studio Universitario, finanziato quasi esclusivamente dalla contribuzione studentesca(nel 2014, l’Italia ha investito 490 milioni di euro per le borse di studio, di cui ben 225 milioni provenienti dalle tasse degli studenti).
All'interno di questo contesto, soprattutto per un nuovo soggetto politico che miri a rappresentare queste categorie troppo spesso lasciate senza voce, bisogna ripensare al ruolo stesso che spetta all'università: deve essere il luogo di formazione e trasmissione di un sapere critico oppure deve seguire la logica portata avanti dai vari governi, che siano stati di destra o di "sinistra" non fa alcuna differenza, dell'università come un mero ufficio di collocamento? Perché se non ci si vuole arrendere all'idea della cultura come merce bisogna portare avanti una seria battaglia per un'università più inclusiva, in cui far tornare quei 65 mila iscritti persi in soli dieci anni. Un'università in grado di garantire borse di studio al pari degli altri paesi europei( in Germania e in Francia i beneficiari di borse di studio sono rispettivamente il 25% e il 34%, mentre in Italia ci fermiamo all' 8%), riprendendo tra le mani gli articoli 33 e 34 della Costituzione al fine di esigere che quest'ultima venga rispettata ed attuata.
L'Italia è l'unico Paese in cui esiste la figura degli "idonei non beneficiari" di borse di studio; in cui il diritto degli studenti a studiare ciò che più gli piace viene continuamente attaccato da un sistema iniquo come quello del numero chiuso, pieno di contraddizioni e di falle: infatti, se si è una persona non particolarmente abbiente e non si supera il test d'ingresso(che non valuta affatto le reali capacità dello studente) almeno per un anno non si può accedere al corso di studi tanto desiderato; se, al contrario, si dispone di abbastanza soldi si può accedere ad uno dei tanti corsi di medicina(riconosciuti e aventi valore legale) di università straniere sul suolo italiano, bypassando così il test e mandando a quel paese tutti i discorsi sul merito per tornare ad un'università accessibile su base censitaria e altamente discriminatoria.
Si torna così al discorso su che tipo di università si abbia in mente, un'università pubblica e autonoma, perché non soggetta alle logiche di mercato, o un'università costruita su un modello aziendale.
Le battaglie contro il numero chiuso(che come UDU stiamo vincendo in tutta Italia, facendo ammettere senza riserva ai corsi di medicina più di 9000 studenti inizialmente esclusi dal test), le battaglie contro la Valutazione della Qualità della Ricerca(VQR) che stiamo portando avanti insieme ai ricercatori e ai professori delle nostre università e le battaglie e le contestazioni portate avanti in tutte le sedi opportune affinché il Governo decida di uniformarsi alla media europea degli investimenti devono essere lette in un'ottica più ampia, perché è da queste battaglie e dai soggetti che le portano avanti nei singoli atenei che, a mio parere, dipende il futuro di questo Paese e della Sinistra in Italia.
Chiediamo un Paese più uguale in cui tutti siano liberi di studiare e nel quale è necessario che avvenga una consistente inversione di tendenza rispetto agli ultimi anni in cui alle università sono stati sottratti miliardi di euro, con l’intento preciso di svuotare i luoghi d’istruzione della capacità di essere ascensore sociale e luogo d’incontro e promozione della cultura.

Fonte: Commo.org 

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