di Giulio Cavalli
Il cosiddetto “appoggio esterno” che tutti nel Pd fingono di avere senza accorgersene, la criniera leonina imbiancata che ha soccorso Renzi inchiodandolo al vecchio, il principe delle trattative Denis Verdini, oggi è un problema. O meglio: oggi è ufficialmente condannato ma che avesse superato già diverse volte il confine dell’opportunità lo sapevano anche i muri, in Parlamento. Tranne Renzi e la sua combriccola di giovani marmotte democristiane catapultate nella stanza dei bottoni.
Del resto il processo che lo condanna (pena sospesa) a due anni è abitato dal grumo di malaffare che dal solito Balducci a Fabio De Santis, ex provveditore delle opere pubbliche della Toscana, passando per l’imprenditore Francesco Maria De Vito Piscicelli (quello che rise al telefono per la notizia del terremoto aquilano) mette in mostra un pezzo della miseria politica e imprenditoriale italiana degli ultimi anni. Al di là della condanna, questo processo ci ricorda (e rimarca) la provenienza di Denis Verdini: l’ex braccio destro di Berlusconi è questa cosa qui.
E ha un bel dire il capogruppo PD Rosato che «Verdini ha semplicemente votato in occasione di un voto di fiducia ma non è nella maggioranza», con la solita brutta abitudine (politica) di interpretare i numeri come se fossero opinabili: Verdini è la stampella di un governo claudicante che si finge capace di correre. Verdini è l’uomo che ha permesso a Renzi di fare “il bullo” con la minoranza interna.
Qui non bastano nemmeno i superpoteri di Cantone: la frittata è grossa. La condanna è scritta. E ci manca solo che ora sia colpa dei giudici.
Ma forse se lo sono già detti, hanno solo un po’ di vergogna a ripeterlo in pubblico.
Fonte: Left
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