di Massimo Villone
Si è tenuta a Roma un’assemblea, affollata e partecipata, dei comitati referendari, per il lancio della campagna per la raccolta delle firme. Un passaggio importante, soprattutto per aver visto insieme i promotori dei referendum istituzionali e di quelli sociali. Perché un forte iniziativa referendaria? Rodotà ha scritto (su Repubblica) di come le nostre istituzioni siano diventate indisponibili all’ascolto, traendo anche da questo la spiegazione del drammatico calo di fiducia degli italiani. Ha ragione. Perché e come fidarsi di istituzioni indifferenti?
Il sostanziale dissolversi dei partiti, e l’emarginazione dei sindacati da parte del governo, unitamente alla caduta di rappresentatività delle assemblee elettive, hanno azzerato i sensori che rendevano le istituzioni aperte e percettive rispetto agli orientamenti del paese. Ed ecco l’indifferenza verso manifestazioni, scioperi, petizioni, leggi di iniziativa popolare, per quanto fortemente sostenute.
Ecco l’illusione che l’arte del governare sia decisione e comando piuttosto che confronto e sintesi. Ecco la caricatura di una democrazia in cui i cittadini siano usi a obbedir tacendo. E dunque il referendum rimane l’unico strumento attraverso il quale il popolo sovrano possa riguadagnare il ruolo garantito dalla Costituzione.
Ecco l’illusione che l’arte del governare sia decisione e comando piuttosto che confronto e sintesi. Ecco la caricatura di una democrazia in cui i cittadini siano usi a obbedir tacendo. E dunque il referendum rimane l’unico strumento attraverso il quale il popolo sovrano possa riguadagnare il ruolo garantito dalla Costituzione.
Proprio per questo il governo teme i referendum. Ha lasciato in piedi solo uno dei referendum No-Triv delle regioni. Per questo ha scelto la data del 17 aprile, nella speranza di farlo fallire per mancato raggiungimento del quorum. Lo stato maggiore del Pd attacca con il trito argomento del costo, dimenticando che proprio il governo ha rifiutato l’accorpamento con le amministrative che avrebbe evitato la spesa. E altresì argomentando che con il Sì il popolo sovrano reca danno al paese. Ma come può dirlo chi va ad approvare una nuova Costituzione insieme al condannato Verdini, tassista di una nuova maggioranza?
Perché referendum istituzionali e sociali insieme? Non è una bulimia referendaria, né una sommatoria per fare numero. È invece importante far convergere nella battaglia referendaria mondi diversi, per dare il segnale che una parte importante del paese chiede con forza un cambio di rotta.
Per questo una stagione referendaria ad ampio spettro, che partirà con il voto del 17 aprile e la raccolta delle firme, passerà per il cruciale No alla riforma costituzionale in ottobre, e si concluderà nel giorno in cui la metà più uno degli aventi diritto – questo è l’auspicio – andrà a votare si ai referendum abrogativi delle leggi renziane.
D’altronde la connessione tra referendum istituzionali e sociali è nelle cose. L’attuale degrado politico-istituzionale avviene con la Costituzione vigente, prima della riforma. Questo dimostra che un No alla riforma può certo evitare maggiori guai, ma non basta a tirarci fuori dalla palude in cui siamo caduti.
Non si può non guardare anche alla legge elettorale. Se dovesse rimanere in piedi il modello Italicum, ne verrebbe un parlamento non migliore – anzi peggiore – di quello del Porcellum. Quanto resisterebbero i risultati conseguiti dai referendum sociali in un tale parlamento?
L’esperienza dell’acqua pubblica insegna che il referendum può abbattere una legge, ma non cancella l’indirizzo politico che la esprime, e che può ripristinarla tradendo la volontà popolare. Cosi domani un referendum vittorioso sulla cattiva scuola potrebbe essere azzerato da una scuola peggiore. Solo i referendum istituzionali possono creare condizioni in cui i risultati dei referendum sociali non siano fatalmente effimeri.
Dobbiamo anche considerare che se vincesse sulla riforma della Costituzione, Renzi vorrebbe probabilmente sfruttare il successo con uno scioglimento anticipato e nuove elezioni, che gli consegnerebbero istituzioni riformate e un parlamento addomesticato. Un potere consolidato per la legislatura.
Se ciò accadesse, i referendum abrogativi slitterebbero al 2018. E di per sé il passare del tempo non favorisce certo una battaglia referendaria.
Per questo bisogna impegnarsi, da subito. Per la raccolta delle firme sui quesiti referendari, e il voto del 17 aprile. Un voto che anche il governo ritiene importante. Non chiede agli italiani di andare al mare solo perché l’acqua è ancora troppo fredda.
Fonte: il manifesto
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