di Augusto Illuminati
“Carta cacata” ovvero carta igienica usata, così nel suo raffinato lessico latino Catullo (Carmina, XXXVI) chiamava i libracci di allora e oggi possiamo chiamare i giornalacci tipo Repubblica del 18 e 19 marzo, contenente in due puntate l’intervista al maresciallo Al Sisi. Il dittatore si muoveva nella sua reggia di Heliopolis «senza troppe cerimonie», aveva cambiato la divisa con «un abito grigio e camicia bianca» e aveva sostituito gli stivali «con scarpe nere lucide». A spolverarle si sono prostrati ginocchioni il direttore di Repubblica Mario Calabresi e il vice-direttore Gianluca De Feo. L’odore dell’incenso era sovrastato dai vapori volatili della benzina e sullo sfondo si stagliava l’ombra grassottella di Renzi.
Per due ore il Presidente egiziano sproloquia sui rapporti privilegiati con l’Italia e con l’Eni, rimarcando in particolare «la grande stima e profondo rispetto per Matteo Renzi, che considero un vero amico mio e dell'Egitto.
Abbiamo un ottimo rapporto e lui è persona di principi che non dimentica gli impegni e i legami che abbiamo». Ogni sospetto di tono ricattatorio è certo infondato: “lui” non dimentica e ci siamo fatti delle offerte che non si potevano rifiutare.
Abbiamo un ottimo rapporto e lui è persona di principi che non dimentica gli impegni e i legami che abbiamo». Ogni sospetto di tono ricattatorio è certo infondato: “lui” non dimentica e ci siamo fatti delle offerte che non si potevano rifiutare.
Alla fine della prima tornata di domande il Faraone scandisce: «Permettetemi di rivolgermi alla famiglia di Giulio Regeni». Ha capito «cosa il mondo si aspetta da lui» e «guardando un punto fisso nel vuoto ricomincia a parlare lentamente in arabo per essere sicuro che il traduttore non perda una parola». Un pezzo sublime di giornalismo vecchia maniera, che i blogger che vuoi che cazzo capiscano.
«Mi rivolgo a voi come padre prima che come presidente, comprendo totalmente la pena e il dolore che state provando per la perdita di vostro figlio, sento il senso di amarezza e lo sconvolgimento che ha spezzato il vostro cuore. Lo comprendo e il mio cuore e le mie preghiere sono con voi. Vi faccio le mie più sentite condoglianze e sono solidale con la vostra grande perdita. Vi prometto che faremo luce e arriveremo alla verità, che lavoreremo con le autorità italiane per dare giustizia e punire i criminali che hanno ucciso vostro figlio».
Contrito e, al tempo stesso, deciso a far luce. Chissà che paura si stanno prendendo i suoi sbirri e come saranno contenti i genitori di Giulio. Almeno quanto direttore e vice-direttore. Ma in cosa consistevano le forti domande poste a schiena flessa dai due valorosi giornalai? Regeni, per forza. Quanto la sua atroce agonia e fine abbia sconvolto gli italiani. Il danno che ne viene alle buone relazioni con l’Egitto. Al Sisi è serafico (ai torturati e assassinati locali, del resto, ci ha fatto il callo): «Per prima cosa voglio dire agli italiani che questa morte è uno shock per l'Egitto come per l'Italia. Ciò che è accaduto è terribile e inaccettabile, non ci appartiene e sconvolge non solo il governo ma tutto il popolo egiziano». Ai turisti non mai stato torto un capello (ci mancherebbe!), Regeni rimane un caso unico. Chissà chi si è sbagliato. Le indagini ridicole? Tutto è in mano alla magistratura e si lavora giorno e notte per scoprire i colpevoli.
Ma avrete un'idea di cosa possa essere successo al ricercatore italiano? – domandano con un filo di voce gli intervistatori. Al Sisi assume un tono oracolare: «Sulla morte di Regeni ci sono molti interrogativi che dobbiamo porci» –credo bene! – «il primo è sulla tempistica, in particolare sulla scoperta del corpo. Perché è accaduta durante la visita di una delegazione italiana di imprenditori»? Tecnica classica del “non è un caso se”, qualcun altro ha voluto danneggiarci attribuendoci un misfatto, scoperta a orologeria. Il problema non è l’assassinio, ma il rinvenimento del cadavere. «Chi ha interesse a boicottare o bloccare l'ampia collaborazione tra Italia ed Egitto sul fronte dell'energia e della sicurezza, in una fase di turbolenza in tutta la regione»? Ovvero: non rompete i coglioni, altrimenti ne va del vostro petrolio e vi scarichiamo terroristi e migranti economici. Gli assassini sono i nemici di Al Sisi, come si evince da una caterva di fatti senza collegamento con l’affare Regeni (attentati ai magistrati e turisti, abbattimento dell’aereo russo, ecc.). I bravi giornalai avallano di fatto quel depistaggio e prendono per buona la promessa di intensificazione delle indagine e individuazione dei colpevoli. Peccato che le autorità egiziane (tutte infiltrate e ostile al Presidente?) hanno dato molteplici versioni di quella morte e scovato già improbabili capri espiatori poi prontamente mollati (qualcosa mi ricorda piazza Fontana e commissari e questori di allora). Poi salta fuori (lungi da noi ogni idea di ricatto) «Adel Moawad Heikal, un egiziano che è scomparso cinque mesi fa in Italia ma di cui non abbiamo mai avuto notizie. Tutti gli sforzi di ricerca non hanno avuto successo». Siamo pari, insomma. Non è che sarà andato in Svezia o in Germania come decine di migliaia di altri migranti “spariti”? Vogliamo rovinarci la vita per questo? «I tempi duri mostrano e testano la forza e la durata delle relazioni di amicizia tra i Paesi». Saggezza orientale…
Qui subentra – previo cambiamento di voce, ma quanto è umano lui – l’ipocrita messaggio alla famiglia di Regeni, sopra citato, subito seguito da ammonimenti sul pericolo del terrorismo sulla legittimità di combatterlo con ogni mezzo – del tipo di quelli che emergono dall’autopsia di Regeni. Lotta al terrorismo e ai suoi sponsor (supponiamo che voglia denunciare l’Iran, non i suoi protettori sauditi). Meno male che «Renzi ha capito perfettamente cosa c'è in gioco e per questo ci sostiene e io sono grato per il sostegno dell'Italia». L’interessato risponde prontamente, in effetti: «Adesso tutti insieme troviamo i colpevoli», parenti e connazionali della vittima insieme agli assassini. «Quelle di Al Sisi sono parole importanti» e confermano il «rapporto speciale tra Italia ed Egitto».
Seconda tornata dell’intervista, l’affaire libica. Cosa cazzo vogliono fare gli europei?
Exit strategy, ragazzi. Malgrado l’arazzo bellico fiammingo che fa da tappezzeria (descrizione letteraria del medesimo), il generale sta assai cauto. Chi comanda, come si entra in Libia e come se ne esce? Chi provvederò a proteggere la popolazione e a saldare i danni? Tutto deve avvenire su richiesta libica – cioè del “suo” governo fantoccio, quello di Tobruk, non dell’altro di Tripoli o di fantomatici esecutivi di riconciliazione timbrati Onu come quello di Fayez al Sarraj insediato a Tunisi – e della Lega araba a direzione saudita. Il nemico non è solo Daesh ma tutti i gruppi qaedisti assortiti e alla fine legati con gli odiatissimi Fratelli musulmani, influenti nel governo di Tripoli. Si guardino bene l’Italia e l’Europa dall’appoggiarlo – come invece Renzi sta un po’ facendo, per la delega che ha ricevuto di impicciarsi solo della Tripolitania e del terminale Eni di Mellitah. Sostenete invece, come i francesi, l’opera del generale Haftar, pazienza che lavora per la Total. Altrimenti l’Egitto dovrà intervenire direttamente e sarà peggio per il ruolo italiano e per il petrolio cirenaico. Per non parlare dei profughi che vi invaderebbero. Noi già non ce la facciamo a tenerli in transito da noi, figuriamoci se ci rompete le palle con scelte strategiche sbagliate o accuse di tortura.
Infine Al Sisi conclude con pelosa misericordia: «Non abbandonate i poveri e i deboli, non voltate loro le spalle». Fatto il servizio, gli intervistatori si congedano. Sperando nel Pulitzer dei lustrascarpe.
Fonte: dinamopress.it
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